Politica
Come farsi votare in 50 giorni
Di Beatrice Telesio di Toritto
Mancano 50 giorni alle elezioni politiche del 25 settembre e la campagna elettorale è ormai entrata nel vivo. Al centro del dibattito della settimana l’accordo tra Partito Democratico, Azione e +Europa. Dopo giorni di negoziati, veti, polemiche e tweet, Enrico Letta, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova hanno siglato un accordo per presentarsi insieme alle prossime elezioni all’interno del centrosinistra con un programma condiviso, di cui hanno definito i punti principali. Tra i nodi più importanti viene sciolto così quello relativo ai collegi uninominali, dove si sottoscrive l’impegno comune a non presentare candidati «divisivi» per i rispettivi elettorati. L’intesa quindi ha previsto che non correranno all’uninominale i leader di partito, gli ex parlamentari del M5s e di Forza Italia – con chiaro riferimento alle ex azzurre Carfagna e Gelmini. Inoltre, secondo l’accordo, i collegi verranno suddivisi con un rapporto di 70, in mano al Pd, e 30, divisi tra +Europa e Azione. Dal punto di vista politico, l’intesa può considerarsi un successo per Letta ma soprattutto per Calenda, che ha ottenuto ciò che voleva, forte probabilmente della consapevolezza che il Pd non poteva permettersi di perdere un altro alleato dopo l’interruzione dei rapporti col M5s. Se da un parte Letta e Calenda esultano per l’intesa raggiunta, «che rende le elezioni politiche veramente contendibili» a parere del segretario dem, dall’altra non sono mancate le critiche e gli scontenti per un accordo che non ha certo soddisfatto tutti. Immediata infatti la reazione di Matteo Renzi che ha confermato la corsa solitaria di Italia Viva scrivendo “quello che gli altri definiscono solitudine, noi lo chiamiamo coraggio”. Forte anche la reazione di Giuseppe Conte che, senza mezzi termini, ha definito quella del centrosinistra “un’ammucchiata”, o quella di Sinistra Italiana e Verdi che hanno deciso sul momento di rimandare l’incontro programmato con Letta per verificare le condizioni di un’alleanza elettorale. Ma è forse Luigi Di Maio tra i più colpiti dalle conseguenze dell’accordo. Il Ministro degli Esteri, che insieme a Bruno Tabacci ha presentato lunedì il nuovo soggetto politico “Impegno Civico”, puntava con tutta probabilità a farsi eleggere con i voti della coalizione di centrosinistra in un collegio uninominale. Ma il patto con Calenda, che ha posto il veto sui leader di partito e sugli ex 5s, ha cambiato le carte in tavola, lasciando Di Maio con l’amaro in bocca e con un bel rebus da risolvere. In questo contesto si inserisce la proposta del Pd di offrire il “diritto di tribuna” ai leader del centrosinistra esclusi dai collegi uninominali, tra cui Di Maio, offrendogli maggiore possibilità di ingresso in Parlamento. Tuttavia, per il momento questa proposta non sembra aver accontentato nessuno.
Nel frattempo, nel centrodestra le acque sembrano più calme e gli animi più sereni. I rappresentanti di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega hanno iniziato a scrivere un programma elettorale comune. Trovare un’intesa non sembra un’operazione così complessa visto l’allineamento della coalizione su temi importanti come l’economia, il welfare e l’immigrazione. I punti su cui è necessaria, invece, una riflessione maggiore sono quelli relativi alla guerra in Ucraina, all’eventuale riforma sul presidenzialismo richiesta da FdI, alla storica proposta della Lega di garantire maggiore autonomia alle regioni del Nord Italia e ad alcune proposte di Berlusconi come l’innalzamento delle pensioni minime. In ogni caso, la trattativa sul programma e sulla distribuzione dei collegi è ancora in corso d’opera e bisognerà attendere i prossimi giorni per avere un quadro più completo. Ciò su cui invece Lega e Forza Italia stanno in questi giorni spingendo è l’annuncio, prima delle elezioni politiche, di qualche futuro ministro. Salvini in particolare ne fa una questione di chiarezza e trasparenza: «Gli italiani dovranno votare sapendo chi fa il Ministro dell’Economia e degli Esteri se il centrodestra governerà questo Paese». Non è però escluso che il desiderio di “anticipare” il negoziato sui ministri sia dettato piuttosto dal timore della Lega e FI di contare di meno nella coalizione dopo le elezioni, essendo la Meloni la favorita nei sondaggi.
In questa gran confusione di accuse, rivendicazioni e commenti laterali – tipici, se si vuole, della campagna elettorale – si fa fatica ad avere una visione chiara di ciò che accade e di come muoversi. I rapporti di forza tra i soggetti politici appaiono instabili e confusi e il percorso verso le prossime elezioni politiche complicato. L’Italia del post Draghi presenta un profilo estremamente frammentato, con linee di “unione” e “divisione” sempre meno nette. Non a caso lo stesso Mario Draghi, al termine del Consiglio dei Ministri che ha approvato il dl Aiuti bis da 17 miliardi di euro per sostenere famiglie e imprese, ha ribadito la necessità «di coesione sociale e politica». L’incertezza, con le urne alle porte, può essere mitigata se la credibilità dell’Italia rimane tale davanti a ciò che Draghi ha definito come «nuvole all’orizzonte»: l’aumento del gas, la crisi energetica, l’inflazione, l’incertezza geopolitica e il carovita sono solo alcune delle sfide che l’autunno porterà con sé. E no, non sono poche.
Una quota molto elevata di cittadini italiani, soprattutto nelle fasce più giovani, percepisce queste difficoltà e si mostra, oggi più che mai, indecisa su chi votare ma soprattutto se votare o meno. L’obiettivo dei partiti nell’immediato futuro sarà allora quello di convincere i cittadini di essere in grado di gestire le emergenze e restituire al Paese un’unità che in questi giorni sembra smarrita. La vera domanda è: cinquanta giorni saranno sufficienti per farlo?