Politica

Chiamate la corruzione “corruzione”, non “lobbying”

19
Dicembre 2022
Di Daniele Capezzone

Tra gli effetti collaterali dello scandalo Qatar-Marocco-Europarlamento, c’è anche una distorsione lessicale (e di pensiero, perché un modo di esprimersi rivela sempre anche un modo di pensare) che rischia di costare piuttosto cara a una comprensione lucida delle cose. 

Di che si tratta? Del tentativo che comincia ad affiorare qua e là di scaricare la colpa dei fatti (di quelli già scoperti in flagranza di reato, di quelli ancora da accertare, di quelli che si ipotizzano) non ad attività corruttive ma ad un’azione di lobbying. 

Il giochino è alimentato da un doppio meccanismo. Per un verso, c’è il disperato tentativo politico di buttare la palla in tribuna, di distrarre, e possibilmente di cavarsela indicando all’opinione pubblica un capro espiatorio sotto forma di diversivo. Siccome (a sinistra: sia europea sia italiana) è terribilmente scomodo fare i conti con una vergogna esplosa in casa propria, allora è più facile cercare di allargare la questione, di additare qualcosa di più vago e indistinto. Magari perfino dandosi l’aria seria di quelli che desiderano dare risposte “sistemiche”: quando l’obiettivo (ben più modesto) è quello di non fare i conti con ciò che è successo in famiglia. 

Per altro verso, c’è la tendenza (propria di una mentalità invariabilmente ostile al libero mercato, al capitalismo, alla concorrenza) a colpevolizzare attività economiche e professionali lecite per meglio occultare comportamenti illeciti. Come se i secondi fossero un prodotto “inevitabile” delle prime. Il mindset comunista e antimercato funziona sempre nello stesso modo: ha sbagliato la mia parte? No: è il sistema che è corrotto. E perché è corrotto? Perché ci sono “grandi interessi economici”. E dunque, con una sorta di proprietà transitiva sbilenca o con una specie di sillogismo zoppicante, la colpa viene fatta scivolare sul famigerato “greed”, sull’avidità come peccato originale necessariamente legato al perfido capitalismo neoliberista. 

E’ l’ora che qualcuno – anche con il coraggio di andare controcorrente e di affrontare un qualche costo di impopolarità – smonti questa costruzione farlocca. La corruzione è corruzione, punto: darle altri nomi, o tentare di sparare fango altrove, non smacchierà i vestiti di chi il fango vero ce l’ha addosso per responsabilità proprie, non certo scaricabili su altri. 

Da antichi garantisti, ci guardiamo bene dal fare qui processi sommari. Ma se – come appare probabile – eurodeputati in carica avessero preso denaro per cambiare la propria espressione di voto, o per convincere altri, o avessero fatto parte di organizzazioni (con ex eurodeputati, assistenti, dirigenti di Ong) volte, con circolazione illecita di denaro, ad acquisire (anzi, ad acquistare) il consenso politico di chicchessia, quella si chiamerebbe e si chiama “corruzione”, non “lobbying”. 

Occorre lottare contro la prima cosa, non criminalizzare la seconda. La quale – semmai, quando è svolta con professionalità e intelligenza – è un’attività che aiuta una corretta rappresentanza (e direi anche rappresentazione) degli interessi, e la incanala secondo binari limpidi, trasparenti, verificabili. 

Se sono un soggetto imprenditoriale e legittimamente desidero che il mio punto di vista sia conosciuto dai decisori politici (prima che essi compiano le loro scelte, auspicabilmente nell’interesse generale, e non per interessi particolari); oppure se sono parte di un settore economico e desidero essere informato su ciò che avviene – politicamente e legislativamente – in un’assemblea parlamentare, come devo comportarmi? Sono rarissimi i casi in cui la forza e la capacità di un’organizzazione sono tali da consentire lo svolgimento di queste attività per conto proprio. E’ invece naturale che ci si affidi a un aiuto professionale per stabilire un contatto, per esporre in sedi pubbliche e private il proprio punto di vista, per far circolare (attraverso convegni, conferenze, documenti) problemi e possibili soluzioni. Tutto ciò è non solo legittimo, ma fisiologico e salutare sia per l’economia sia per la politica (che dovrà pure “conoscere” meglio prima si “deliberare”).

E’ invece intellettualmente disonesto, oltre che politicamente stupido, confondere (in sede giornalistica e politica) quest’attività con la commissione di specifici reati: ti pago per votare o far votare in un certo modo. 

E’ troppo chiedere che, con il minimo sindacale della capacità di distinguere tra lecito e illecito, tra comportamenti legali e patenti illegalità, si smetta di fare confusione? O si pensa che bastonando l’attività lecita di lobbying si fermi l’attività illecita di corrotti e corruttori?