Politica
Cernobbio, “rassicurare” è quello che dobbiamo chiedere ai nostri politici?
Di Daniele Capezzone
Anche a Cernobbio, nella sempre significativa e interessante tribuna del Forum Ambrosetti, per tutto il weekend passato è risuonato il verbo “rassicurare”, con particolare riferimento a Giorgia Meloni, possibile vincitrice (e per il momento certa frontrunner) di questa campagna elettorale.
Il mantra – in lingua italiana o straniera – era ed è: “Meloni deve rassicurare”, “gli investitori chiedono rassicurazioni”, “le imprese vogliono essere rassicurate”.
E, intendiamoci bene, ad un certo livello di lettura delle cose (diciamo pure: secondo una visione di breve termine), tutto ciò è non solo giustificato ma perfettamente comprensibile. Esaminiamo freddamente la situazione: è sensato che i portatori di interessi in Italia si chiedano come agiranno una leader e un partito che (tranne un’eccezione di molti anni fa) non hanno mai avuto responsabilità di governo nazionale. Ed è altrettanto comprensibile che osservatori stranieri (che sui loro giornali, a proposito di Fdi, non leggono mai la rispettosa espressione “right-wing party” ma la minacciosa e ingiusta formula “far-right party”) possano avere riserve che noi giudichiamo immotivate, conoscendo bene le cose, ma che per loro, in base alle (spesso non buone e anzi maliziose) informazioni di cui dispongono, hanno purtroppo un certo peso.
In questo senso, è comprensibile e anche politicamente avveduto che Giorgia Meloni abbia assunto da settimane un atteggiamento giudizioso, attentissimo, volto a dissipare timori e a smontare pregiudizi. La leader di Fdi, in questo, ha mostrato un’ammirevole pazienza: e dovrà ancora far ricorso a quella virtù, perché in certe sedi gli esami non finiscono mai. Curioso doppio standard: per la sinistra le carte sono sempre considerate in regola, i documenti sono preventivamente giudicati in perfetto ordine; per la destra, invece, c’è una costante richiesta di giustificazioni. E su questo tema avremo modo di tornare in futuro.
Ma non perdiamo il filo del ragionamento. Se cambiamo ottica, se cioè adottiamo una prospettiva di medio e lungo periodo, siamo proprio certi che la cosa migliore che un politico debba fare sia “rassicurare”? Questa ossessiva esigenza di “rassicurazione” presupporrebbe che tutto stia andando bene e che dunque al nuovo pilota si chieda solo di continuare la marcia di sempre: se tutto è in ordine, il massimo che si possa desiderare è un ordinario “micromanagerialism”, senza svolte, senza accelerazioni, senza rischi.
Ma è questa la situazione dell’Italia? A chi scrive non pare proprio. Anzi: dal punto di vista degli elettori, è piuttosto incoerente lamentarsi dello stato di cose esistente e poi chiedere “continuità”. Sarebbe logico – semmai – chiedere “discontinuità”: e, in questa prospettiva, interrogare i nuovi leader su che tipo di discontinuità, che tipo di cambiamento, che tipo di innovazione vorrebbero introdurre. Su questo dovrebbe svolgersi lo scrutinio delle nuove leadership: non sul loro grado di obbedienza agli standard passati.
E ciò dovrebbe a maggior ragione valere per gli addetti ai lavori, per gli analisti, per gli osservatori della politica e dell’economia. I quali dovrebbero saper bene che una nuova proposta politica dovrebbe “rompere” più che promettere l’assenza di cambiamento. Poi, se il primo ciclo del nuovo governo sarà stato positivo, la seconda campagna elettorale potrà essere disegnata all’insegna del “non cambiare”, del “proseguire”. Ma chiederlo durante la prima campagna in cui un nuovo (nel nostro caso: una nuova) leader si candida a governare venendo dall’opposizione ha qualcosa di bizzarro.