Politica
C’è più da riflettere che da festeggiare sia a destra sia a sinistra
Di Daniele Capezzone
La grande specialità dei partiti (forse l’unica abilità davvero transitata dalla prima alla seconda Repubblica) è stata sempre quella, nel giorno del commento al voto, di selezionare ciascuno un pacchettino di risultati favorevoli per tentare di veicolare uno “spin” positivo sull’esito della consultazione.
Stavolta, sconsiglieremmo agli uni e agli altri un’operazione simile. Tra l’altro, un paese già preoccupato per l’economia, il post pandemia e la guerra, mi parrebbe poco predisposto ad appassionarsi alla propaganda incrociata. Meglio allora un po’ di analisi onesta e sincera – dall’una e dall’altra parte – con un focus particolare su ciò che non ha funzionato.
Preciso che, mentre scrivo, lo spoglio è ancora in corso, ma alcune tendenze mi paiono chiare.
A sinistra, queste amministrative dovevano rappresentare un primo test per l’alleanza strutturale di Pd e M5S: ecco, dove questa intesa è stata formalizzata ed esibita (da Genova a Palermo), sono venute sconfitte clamorose. È sicuro il Pd della bontà dell’operazione? In cosa dovrebbe risolversi il mitico “campo largo” se non in un’ammucchiata confusa, priva di coraggio riformista, e comunque spesso perdente dove la destra esprime un candidato più forte?
A destra, l’analisi è più articolata e differenziata, e non basterà il consolatorio “uniti si vince”. La Lega non esce bene, in primo luogo per il naufragio referendario, che è stato causato da moltissimi e prevalenti fattori esterni (la Consulta che ha tolto di mezzo i quesiti più popolari, la totale mancanza di informazione, un effetto-disincentivo che emerge con chiarezza comparando l’affluenza referendaria con l’affluenza – doppia o tripla – nelle maggiori città dove si votava per le amministrative). Tuttavia, una qualche riflessione autocritica su come, dopo aver meritoriamente promosso la campagna, il Carroccio nazionale l’abbia condotta con il freno a mano tirato, andrà pur svolta.
Quanto al complesso dei risultati amministrativi, il partito di Matteo Salvini soffre un po’ ovunque, com’era previsto: anche a Nord. E con un prevedibile effetto-travaso, cresce invece moltissimo Fratelli d’Italia, che tuttavia non può ancora festeggiare in attesa del ballottaggio di Verona.
La sensazione è che da un lato ci sia un oggettivo problema legato alle momentanee condizioni della leadership leghista, ma dall’altro esista la necessità di una riflessione a tutto tondo sull’offerta politica complessiva del centrodestra. È sicuro il centrodestra, nella sua attuale scelta di toni e priorità, di saper fronteggiare il rischio di un forte astensionismo di destra? È sicuro di essere attualmente percepito come una opzione davvero credibile per il governo del paese? È sicuro di saper fare il pieno – elettoralmente parlando – di autonomi, partite Iva, lavoratori del privato? È sicuro di aver fatto il massimo su quello che dovrebbe essere il suo tema forte e unificante, e cioè la questione fiscale? Suggeriremmo un’analisi sincera di ognuno di questi interrogativi. Troppo facile concentrare la riflessione critica solo sulla figura di Salvini.