Politica

Carne sintetica, l’Ue scrive a Roma

02
Febbraio 2024
Di Giampiero Cinelli

Apparentemente si tratta di tecnicalità. Ma nella richiesta della Commissione europea all’Italia di informazioni sugli sviluppi della legge che vieta la carne sintetica, potrebbe aprirsi un conflitto politico ampio e anche ideologico. Ideologico non tanto per via delle convinzioni sul cibo e sulla salute, ma perché l’atto adottato dall’Italia a novembre 2023 porrebbe cogenti vincoli alla libertà di mercato. E sappiamo che tra i capisaldi della costruzione europea c’è la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone.

Il fatto
Delle deroghe sono consentite, di concerto con tutti gli Stati membri, ove si riscontrino rischi per la salute pubblica o in altre situazioni specifiche, ma nel caso della carne coltivata Bruxelles non ha sposato le posizioni scientifiche più allarmistiche. Che a dire il vero non sono ancora emerse, e dunque ha inviato una lettera a Roma chiedendo ulteriori spiegazioni.

Perché è avvenuto
La notifica fa capo a una Direttiva Ue, la 2015/1535, che obbliga gli Stati membri a comunicare ogni progetto legislativo che riguardi la regolamentazione tecnica del mercato interno. Affinché possano svolgersi gli accertamenti in merito alla violazione della libera circolazione e di altri principi. All’articolo 5, infatti, la Direttiva dice: «[…] gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione ogni progetto di regola tecnica, salvo che si tratti del semplice recepimento integrale di una norma internazionale o europea, nel qual caso è sufficiente una semplice informazione sulla norma stessa. Essi le comunicano brevemente anche i motivi che rendono necessario adottare tale regola tecnica a meno che non risultino già dal progetto».

Le motivazioni specifiche
Il motivo che però ha spinto Bruxelles a scrivere al governo è esattamente questo: dopo ogni comunicazione di un progetto di legge sensibile intercorre un periodo di sospensione entro il quale uno Stato non può adottare definitivamente il testo. Si legge all’articolo 6: «Gli Stati membri rinviano l’adozione di un progetto di regola tecnica di tre mesi a decorrere dalla data in cui la Commissione ha ricevuto la comunicazione di cui all’articolo 5, paragrafo 1».

I disguidi
Per tale ragione, nella lettera della Commissione è scritto che la procedura di notifica è stata archiviata anticipatamente, in data 29 gennaio 2024, mentre la legge del governo Meloni è stata approvata e firmata da Mattarella a dicembre 2023. Il testo però è stato presentato alle Camere tra marzo e aprile 2023. Considerando il lasso di tempo, capiamo in un attimo che la Commissione ritiene di aver ricevuto la comunicazione più tardi di quando i lavori parlamentari sono iniziati.

La richiesta
Nella missiva si legge: «Il testo è stato adottato dallo Stato membro prima della fine del periodo di sospensione di cui all’articolo 6 della Direttiva (UE) 2015/1535. La Commissione invita pertanto lo Stato membro in questione a informarla del seguito dato, anche alla luce della giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia. In questa fase non vi sono ulteriori osservazioni della Commissione«.

Il clima attuale
Insomma non sono previste sanzioni e all’Italia è dato tempo di adeguarsi, ma da notare sono sicuramente le reazioni del governo italiano, in cui il riferimento a una questione puramente pratica, riferita alle tempistiche della comunicazione inizialmente data e alle tempistiche dell’approvazione della legge, sono solo accennate. Per far spazio a dichiarazioni come quella del ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, che osserva: «Come per tutti i provvedimenti che entrano in vigore in Italia, spetta ai giudici nazionali, in sede di applicazione, l’ulteriore vaglio di compatibilità con il diritto unionale». Il sostrato politico è abbastanza riscontrabile.

Cosa dice la legge italiana
Del resto la legge Lollobrigida è perentoria e parla chiaro. Specie nell’articolo 2 dove c’è scritto: «vietato agli operatori del settore alimentare e agli opera­tori del settore dei mangimi, impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e man­gimi, vendere, detenere per vendere, impor­tare, produrre per esportare, somministrare o distribuire per il consumo alimentare, ali­ menti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti de­rivanti da animali vertebrati».

Il provvedimento aveva, oltre agli obiettivi di tutela degli interessi della filiera agroalimentare italiana, anche scopi di protezione della salute, indicati nel documento e testimoniati dalla firma, assieme al ministro dell’agricoltura, del ministro della Salute Orazio Schillaci.

La faccenda certamente non finisce qui e fornirà importanti spunti sul rapporto tra governo e istituzioni europee, e su come differenti istanze, solo parzialmente tecniche, vengono mediate tra lo Stato e l’istituzione sovranazionale.