Ci sono circostanze che hanno un valore essenzialmente rivelatorio: scatenare una campagna antifascista a Ferragosto; lanciare presunte grandi inchieste “long form” (a formato lungo), schierando ben dieci firme, neanche si trattasse di descrivere le gesta della banda della Magliana, per ripercorrere la gioventù politica di Giorgia Meloni (detta “M”, per dare ai lettori un senso di paura); tutto questo trasmette più che altro un’evidente sensazione di debolezza da parte di una sinistra, politica e pure mediatica, smarrita e senza idee. Se hai un’identità forte, se sei sicuro delle tue proposte, non hai ragioni per parlare ossessivamente, direi compulsivamente, degli altri. Se invece non hai una bussola, non hai una direzione di marcia, l’unica carta che ti resta per compattare i tuoi elettori è il richiamo della paura, meccanicamente ripetuto da quasi trent’anni: prima contro Silvio Berlusconi, poi verso Matteo Salvini, e ora la campagna antifascista nei confronti della Meloni.
Chi scrive, nell’autunno del 2021, in un videomessaggio per una trasmissione di Mario Giordano, suggerì alla leader di Fdi una mossa spiazzante: sostituire la fiamma nel simbolo del suo partito con il leone dei conservatori europei. Ma un conto è che una scelta del genere venga decisa da un partito (liberamente, se e quando vorrà farlo), altro conto è che venga pretesa a quaranta giorni dal voto dai suoi avversari. Una richiesta formulata in questi termini, insieme aggressivi e ricattatori, è semplicemente irricevibile. La verità è piuttosto semplice: alla Meloni può riuscire sia di portare al governo la sua tradizione politica, completando con successo una traiettoria, sia – nella fase successiva – di provare a lanciare, magari nel quadro di un’auspicabile riforma istituzionale, pure qualcosa che assomigli a un partito repubblicano sul modello statunitense o di un partito conservatore sul modello britannico. Poi si potrà discutere sul tasso riformatore o sulla velocità di crociera con cui la destra politica italiana sarà in grado di muoversi: ma per il momento si deve constatare che dall’altra parte, come dimostra la campagna antifascista, si procede con il passo del gambero. È per questo che – a ben vedere – una sconfitta elettorale e una legislatura all’opposizione non faranno male al Pd: la sinistra italiana ha bisogno di rigenerarsi, di ripensarsi, di darsi un profilo distinguibile, di disegnare un’identità e un ventaglio di proposte che – per una volta – non nascano solo dall’esigenza di demonizzare l’altra parte.