Politica
Calcio, Calcagno (AIC): «Il DL Crescita favorisce una concorrenza sleale ai danni dei giocatori italiani»
Di Andrea Maccagno
«Mio figlio ha 12 anni, non ha mai visto l’Italia ai Mondiali. Se sarà fortunato la vedrà appena prima di diventare maggiorenne, per la prima volta». Così ha scritto tal Giovanni sui social, all’indomani della vittoria della Macedonia del Nord sull’Italia. Se sarà fortunato. Perché, dopo aver fallito le qualificazioni prima ai mondiali del 2018 e poi a quelli del 2022, resta la speranza dei mondiali 2026. Speranza, quella sì ultima a morire, quella strettamente correlata al concetto di fede, che porta a convinzioni senza alcun riferimento concreto o verosimile. Perché già nel 2018, all’indomani dell’eliminazione da parte della Svezia, le contromisure della Federazione furono blande, a parte il cambio dell’allenatore. Anzi, il Governo Conte I diede alla luce il cd “Decreto Crescita”. Un insieme di norme volte ad aiutare la solita malata economia italiana, prima ancora che si palesasse l’incubo coronavirus. Tra le misure anche quella per incentivare il ritorno dei “cervelli in fuga”, con una riduzione del 50% dell’imponibile per cinque anni ai residenti all’estero che decidevano di trasferirsi in Italia. Una norma che voleva attrarre l’eccellenza, ma che in alcuni settori si è rivelata un boomerang. Come nel calcio, sempre più preda di stranieri che invadono i nostri campi da gioco: dalla primavera alla Serie A, a scapito dei calciatori italiani. Dai cervelli in fuga ai piedi in fuga il passo è breve.
Una “concorrenza sleale”, la definisce Umberto Calcagno, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, intervistato sul tema da The Watcher Post. «Badi bene – aggiunge – non sono mai stato uno da “Prima gli italiani”, ma la deriva verso la quale si sta andando è preoccupante. Come se non bastasse, il DL Crescita è stato partorito successivamente alla mancata qualificazione ai Mondiali del 2018. In pratica, la politica che si doveva occupare di sport se n’è occupata al contrario. Dovevamo pensare ai vivai, non agli stranieri».
Presidente Calcagno, cosa non la convince del DL Crescita?
«Sicuramente la parte che favorisce a livello economico la contrattualizzazione di un calciatore straniero a scapito di quello italiano: una disparità competitiva davvero troppo elevata».
Cosa propone l’Associazione Italiana Calciatori per superare la norma?
«Noi siamo per l’abrogazione tout court. Ma riteniamo che la mediazione del Senatore Nannicini rappresenti un primo passo importante che può mettere d’accordo noi, la FIGC e la Lega Serie A. Sto parlando dell’introduzione della soglia di due milioni annui lordi di stipendio sotto la quale non far scattare il vantaggio fiscale. Un compromesso accettabile, sotto il quale però non intendiamo muoverci. C’è chi discute di abbassamento a 500mila euro: si rasenterebbe l’inverosimile. Spiace che oggi lo scontro stia avvenendo tra grandi e medio/piccoli club, quando il discrimine è tra chi gioca a calcio da anni in Italia e chi vi arriva beneficiando di sgravi ad altri negati».
Per bilanciare, si potrebbe introdurre uno sgravio analogo che aiuti i giovani calciatori italiani formatisi nei nostri vivai?
«Assolutamente no, non bisogna confondere i due livelli. Quella prospettata è una “furbata” della Serie A per annacquare le sorti dell’emendamento Nannicini. Siamo invece tutti d’accordo sull’introduzione di un apprendistato professionalizzante per il mondo del calcio. L’interlocuzione sul tema va avanti da anni con il governo, ma nulla ha a che fare con il DL Crescita, che rimane aberrante dal punto di vista sportivo. Dobbiamo pertanto eliminare gli sgravi fiscali per chi viene dall’estero e successivamente introdurre una forma di apprendistato che ci consenta di seguire meglio la formazione dei nostri ragazzi».
Anche perché dopo l’ennesima débacle mondiale bisogna far ripartire una generazione azzurra vincente…
«Per ripartire davvero bisogna rivedere attentamente le norme interne al nostro sistema. Dobbiamo sostenere il progetto delle seconde squadre, che l’AIC aveva proposto addirittura nel 2014. Ma dobbiamo anche aumentare il numero dei cresciuti in Italia nelle liste di Serie A e B e lavorare sulla base, promuovendo il calcio sul territorio».
A proposito di seconde squadre, perché non sono mai decollate ad eccezione del modello Juventus?
«Perché è molto più comodo andare a prendere ragazzi formatisi all’estero. Si vedano i dati della nostra Primavera 1: 30% di minutaggio registrato da stranieri, per di più distribuito quasi esclusivamente su determinati ruoli chiave. I giovani calciatori italiani nell’ultimo anno di primavera vedono la competizione di coetanei già plasmati che provengono dall’estero. Istruire e investire nel settore giovanile, creando un modello davvero vincente, non è solo un impiego di risorse, ma una forma mentis che bisogna essere in grado di attuare: questa è la chiave di lettura, unita alla mancanza di progettualità che sconta l’intero nostro mondo del calcio».
Infine uno sguardo al calcio femminile, a cui è stato recentemente riconosciuto il grado di professionismo: un passaggio economicamente sostenibile per i club?
«In un primo momento ci sarà sicuramente un aggravio dei costi, legati al riconoscimento delle opportune tutele. Ma anche qui, grazie al Senatore Nannicini, è stato creato un fondo di quasi 12 milioni di euro al quale soltanto il calcio femminile ha avuto accesso, per garantirne la sostenibilità fin da subito. Poi, ovviamente, dovremo anche essere bravi a cercare di aumentare i ricavi interni al settore. Però non dobbiamo commettere l’errore di pretendere dal mondo professionistico al femminile ciò che il maschile non è mai riuscito a fare, cioè arrivare ad una ferrea sostenibilità economica. Mi auguro che altri sport, sull’esempio del calcio femminile, ci seguano».