Politica

Bentornato vecchio bipolarismo! Una prima guida al voto delle Amministrative

21
Agosto 2021
Di Ettore Maria Colombo

Bentornato, caro, vecchio bipolarismo!

Bentornato, caro, vecchio, bipolarismo all’italiana! Considerato che i 5Stelle, al netto di un nuovo capo politico eletto in via plebiscitaria dagli iscritti, sono fuorigioco di fatto ovunque – tranne nelle città, grandi e medie, dove si limitano a svolgere il ruolo di portatori d’acqua, per quanto scarsa e mefitica, di Pd e centrosinistra – la sfida delle prossime amministrative (si vota il 3 e 4 ottobre per il primo turno, 15 giorni dopo, 17 e 18 ottobre si svolgeranno gli eventuali ballottaggi, sono 1.162 i comuni al voto, 18 i capoluoghi di provincia, cinque quelli di regione, tra cui Roma, Napoli, Torino, Milano, Bologna, più due elezioni suppletive, a Roma e a Siena, e una elezione regionale, quella per la Calabria) torna ad assumere il volto, classico e rassicurante, del bipolarismo all’italiana. Quello che ha imperato durante tutta la Seconda Repubblica, senza dire che, almeno a livello amministrativo, nella Prima vigeva il bipolarismo pure allora: Dc e alleati laici minori contro Pci-Psi e pezzi vari di sinistra. Insomma, almeno stavolta gli elettori avranno davanti a sé una scelta chiara: volete voi votare, certo, il vostro sindaco uscente, vostro beniamino, o il suo ben noto sfidante, ma volete voi, anche, dare una mano a sostenere il centrosinistra di Enrico Letta (e, in parte, il M5s di Giuseppe Conte) o il centrodestra della triade, sempre litigiosa, Salvini-Meloni-Berlusconi? Messa così, oggettivamente, è una scelta facile.

“Clamoroso al Cibali!”. Il centrosinistra parte in vantaggio praticamente dappertutto…

L’altra novità – e questa sì che ha del clamoroso – è che il centrosinistra, almeno nei grandi centri, quelli che, giornalisticamente e mediaticamente parlando ‘fanno’ l’intera partita, non solo è aiutato dai favori del pronostico, ma parte in testa e nettamente in praticamente tutti i sondaggi. Il che, se si considerano i rapporti di forza delle due coalizioni, a livello nazionale, è cosa assai curiosa perché la somma del centrosinistra (Pd-M5s-LeU-frattaglie sparse) non supera il 35% dei consensi mentre quella del centrodestra (Lega-FdI-FI più altre forze minori) veleggia tranquillamente tra il 45% e 47% dei consensi, sfiorando anche il 50%. Ora, è vero che il centrosinistra ha una ‘tradizione’ amministrativa più antica e più nobile ma in fondo, di solito, il centrodestra non amministra poi così male. Senza dire che, ormai, governa quasi tutte le regioni d’Italia, tanto che si fa prima a dire dove non governa (Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Puglia, Campania) e che ha vinto tutte le elezioni regionali dal 2018 in poi. Non a caso, in Calabria, unica regione dove si vota per le Regionali, il centrodestra – che ha pure azzeccato il candidato, Roberto Occhiuto, a fronte di un centrosinistra diviso e logoro – non teme rivali o rimonte e vincerà in gran carrozza.

Eppure, il dato di eventuali elezioni politiche si ribalta nelle città, almeno in quelle più grandi (nelle piccole e medie il discorso è diverso).

Il ‘culo’ di Letta: buoni candidati e coalizione unita

Morale, quello che nel Pd chiamano già il famoso “culo di Letta” – che si è trovato a gestire nomi e candidature quasi nessuna decisa da lui, arrivato a febbraio, ma che gli permetterà di intestarsi le relative vittorie – consiste in due potenti fattori: aver tenuto unito il fronte del centrosinistra (dai famosi e tanto abusati ‘civici’ e ‘centristi’, Iv compresa, tranne a Roma, fino alle frange della sinistra radicale, Sinistra italiana e Verdi, nessun partitino dall’1 per cento manca all’appello…) ed essersi ritrovato nomi magari non eccelsi, ma buoni o, quantomeno, decenti e dignitosi al via.

Certo, a Torino Lorusso è un normale funzionario di partito e, a Bologna, Lepore è un assessore, non particolarmente eccelso, della giunta uscente, ma gli avversari non solo temibili e il ‘partitone’ – che, specie a Bologna, ancora conta e pesa – tiene ancora. Ciliegina sulla torta, a Bologna, come rivelava ieri il Quotidiano nazionale – Resto del Carlino, la candidatura del ‘capetto’ delle Sardine, Mattia Sartori, che correrà nel Pd per uno scranno da consigliere comunale (e qui scatta immediata la strofa di ‘Compagni di scuola’ di Antonello Venditti: “Compagno di scuola/Compagno di niente/ ti sei perso nel fumo delle barricate/ o sei finito in banca pure tu?” Beh, Sartori, è passato all’incasso: da movimento ‘de sinistra’ e di contropotere dovrà accontentarsi del gettone da consigliere comunale, del resto, di qualcosa bisogna pur vivere, a questo mondo…).

Ma a Milano si ricandida un nome blasonato come quello del sindaco uscente, Beppe Sala, che più di tanto non ha fatto rimpiangere l’astro nascente (e poi presto auto-ritiratosi) di Pisapia, che non teme rivali (men che meno Bernardo…) e a Napoli, dietro la candidatura di un nome alto e importante, quello dell’ex ministro ed ex rettore a capo della Crui, Gaetano Manfredi, San Gennaro ha persino compiuto ‘o miracolo’ di ricompattare Pd e M5s (cosa non avvenuta in nessuna altra città né grande né media né piccola, tranne poche) e di ottenere un’alleanza organica per le comunali che il responsabile Enti locali del Pd, Francesco Boccia, chiama pomposamente “Nuovo Ulivo”, ma che, al netto di Napoli, replica solo a Bologna.

Il vero rebus è uno solo, quello di Roma…

Certo, c’è il vulnus rappresentato da Roma, un vero grande busillis. Letta non voleva candidare Gualtieri e ha fatto di tutto per lanciare il suo predecessore, Nicola Zingaretti, ma i 5Stelle – nonostante le promesse – non hanno saputo o voluto far ritirare Virginia Raggi dalla sua corsa, minacciando persino di far cadere la giunta del governatore che, in Lazio, si regge con lo sputo. Inaspettatamente, però, la campagna di Gualtieri – che deve fronteggiare pure la discesa in campo, per primo rispetto tutti gli altri, di Carlo Calenda, ha preso quota e spessore. La deputata romana, Patrizia Prestipino, mai tenera con il nazionale, ma che ha un ottimo polso delle famose periferie, non ha dubbi: “sarà Gualtieri ad andare al ballottaggio e sarà lui a vincere, sul centrodestra”.

Professioni di eccessivo ottimismo? Forse, certo è che per Letta già spedire Gualtieri – che l’altro giorno ha presentato un buon programma, specie sui rifiuti e sulle opere – al ballottaggio sarebbe un successo, vederlo vincere sarebbe un trionfo. Anche perché, avendo già in tasca le scontate vittoria di Bologna e Milano, con ottime chanche di vincere Napoli (nonostante la presenza dell’incognita Bassolino, che si auto-ricandida), rischia qualcosa soltanto a Torino. Insomma, per Letta e per il Pd si preannuncia un netto successo e, per la sua segreteria, un’assicurazione sulla vita perché, di certo, nessuno si sognerebbe mai di mettere in discussione un segretario che ha appena vinto le comunali nelle maggiori città e che, se tutto va come deve andare, al netto dell’incognita Mps, sta per essere trionfalmente eletto ‘nuovo’ deputato dem nel collegio di Siena.

Le scelte dissennate del centrodestra

Ma se, per vincere, il centrosinistra ‘qualcosina’ di buono, stavolta, l’ha fatta, il centrodestra – novello campo d’Agramante della politica italica – in compenso ha fatto solo una serie di disastri e, dunque, rischia di uscirne con le ossa più rotte.

Colpa di scelte dissennate che il centrodestra ha compiuto, incaponendosi – specie Salvini, ma anche Meloni, e pure Berlusconi – praticamente ovunque su dei nomi ‘civici’ che si stanno rivelando dei veri flop, in alcuni casi apertamente imbarazzanti (vedi Michetti, quello di ‘Ave, Cesare!’ a Roma), in alcuni casi totalmente avulsi e lontani dalla coalizione da essere stati sul punto di esserne espulsi (Maresca a Napoli) o talmente ignoti e ignorati dai loro concittadini da non avere alcuna chanche (Battistini a Bologna) mentre solo a Torino l’imprenditore Paolo Damilano è dato, da mesi, in salita e con discrete possibilità di farcela, anche se l’avversario (Lorusso) del Pd è già temibile. Una cupio dissolvi che interroga i vertici di Lega e FdI e, soprattutto, due leader, Salvini e Meloni, che non perdono un giorno per darsi sulla voce, cercare di rubarsi voti come se fossero follower e che un Berlusconi sempre più stanco e apatico non riesce più a tenere insieme. Del resto, anche il ‘tormentone’ sulla ‘Federazione’ o ‘partito unico’ del centrodestra ricorda tanto quei balocchi con cui la sinistra si è divisa e rovinata per decenni, oltre che alienarsi le simpatie degli elettori, tra ‘Ulivi’, ‘Unioni’, ‘Federazioni’, etc. Un disastro in piena regola che porterà quasi sicuramente il centrodestra, pur forte nei numeri, a non fare un passo in avanti, anzi, probabilmente, a toglier voti alla coalizione.

Quel che resta dei Cinque Stelle…

Resterebbe da dire dei 5Stelle, ma c’è davvero poco da dire. In moltissimi centri, anche storici e importanti, neppure si presenta, specie al Sud, dove nel 2018 aveva fatto incetta di voti stile Dc. Per dire, non ci saranno liste e candidati sindaci targati M5s a Benevento, Caserta, e altre città.

A Torino candida una consigliera comunale uscente, Valentina Sganga, mai entrata in partita. A Milano, Conte e i referenti locali ancora oggi si baloccano se scegliere Elena Sironi, beniamina degli attivisti locali o Layla Pavone, nel cda del Fatto quotidiano (e, guarda caso, Conte vuole lei) ma, in ogni caso, senza avere alcuna chance. A Bologna, l’appoggio del M5s alla corsa di Lepore è e sarà del tutto ininfluente. A Roma, la Raggi ha una grande opportunità: non solo non andare al ballottaggio, ma arrivare buona terza, cioè ultima, dopo Gualtieri e persino dopo Carlo Calenda. A Napoli, per quanto Manfredi sia amico di Conte, la forza dei 5Stelle vale, se bene, meno del 10%, ma forse potrebbe essere determinante a vincere. Magra consolazione per un Movimento che, alle Politiche del 2018, prese il 33% dei voti, oggi è quotato intorno al 15%, se si votasse le Politiche, e in molte città del Nord oscilla tra il 3% e il 5%. “Ed è la morte un po’ peggiore” cantava Guccini.

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