Politica
Al via il Governo Draghi: politico sì, ma con i tecnici nei ruoli chiave
Di Andrea Maccagno
Con il giuramento di oggi davanti al Presidente della Repubblica, è nato il governo Draghi. Esecutivo per due terzi politico, nel quale la Lega torna protagonista con dicasteri di peso. Meno numerosi i tecnici, ma in caselle importanti come Economia e Giustizia. La sorpresa, positiva, è il Turismo che acquisisce un ministero con portafoglio a sé stante. Approfondiamo.
Piano vaccinale, rilancio economico, ambiente e digitale, ma soprattutto Recovery. Sono queste le prossime sfide del nascente governo Draghi, composto da 23 ministri oltre al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio individuato nella persona di Roberto Garofoli, magistrato e giudice del Consiglio di Stato.
Una compagine formata da 16 uomini e 8 donne, nessuna proveniente dai partiti di centrosinistra, per un’età media di 55 anni. Esecutivo sbilanciato verso nord: nove ministri hanno infatti origini lombarde, mentre quattro sono veneti. Solo cinque provengono dal sud.
Sparisce la figura del ministro per le Politiche Europee, rappresentato da Vincenzo Amendola, e compare quello della Disabilità per mezzo di Erika Stefani (Lega), già ministra nel Conte I. Ma soprattutto viene assegnato al Turismo un proprio ministero, scorporandolo dal(l’ex) MiBACT: viene così data maggiore centralità ad un settore che da solo, prima della pandemia, valeva il 13% del PIL e che per l’Italia deve costituire il volano della ripartenza.
Altri due ministeri modificano in parte il nome, sulla scia dei cambiamenti che i fondi del Recovery devono portare al nostro Paese nel campo del digitale e dell’ambiente. Così, Draghi può ora contare sul Ministero della Transizione Ecologica e sul Ministero dell’Innovazione Tecnologica e della Transizione Digitale.
Ventitré ministri, si diceva, e torna a gran voce il centrodestra. Tre caselle per Forza Italia, anche se tutte in ministeri senza portafoglio: Renato Brunetta alla Pubblica Amministrazione (incarico già svolto nel Berlusconi IV); Maria Stella Gelmini agli Affari regionali e autonomie; Mara Carfagna al Sud e Coesione Territoriale. Per i forzisti un ritorno al governo dopo 10 anni.
Tre caselle anche per la Lega, che porta a casa due dicasteri di peso come Turismo e – soprattutto – Sviluppo economico, rispettivamente andati a Massimo Garavaglia e Giancarlo Giorgetti (vero leader moderato del partito di Salvini). Per Erika Stefani un ritorno all’esecutivo, anche se in questa occasione si occuperà di disabilità.
L’ingresso del centrodestra segna per reazione la contrazione dei rappresentanti delle forze di maggioranza del Conte II. Il Movimento 5 stelle perde cinque ministeri, passando da 9 a 4. Confermati Luigi Di Maio agli Esteri e Federico D’Incà ai Rapporti col Parlamento, cambiano invece dicastero Stefano Patuanelli (dal Mise all’Agricoltura) e Fabiana Dadone (dalla Pubblica Amministrazione alle Politiche Giovanili). Ma soprattutto i grillini scontano la perdita di Bonafede e Azzolina, quindi, della Giustizia e dell’Istruzione.
Dimezzato anche il Pd, che passa da 7 ministeri a 3. Rimangono Lorenzo Guerini alla Difesa e Dario Franceschini alla Cultura (che perde la delega al Turismo), mentre entra nella compagine governativa Andrea Orlando che si occuperà di Lavoro al posto della grillina Nunzia Catalfo.
E se LeU conferma Speranza alla Salute, Italia Viva deve accontentarsi della sola Elena Bonetti alle Pari Opportunità e Famiglia. Più in generale l’area moderata di centrosinistra ha ottenuto poco in termini di ministeri, vista la scarsa presenza di Italia Viva e l’assenza totale di +Europa e Azione: troveranno ricompense con i posti da viceministro?
Balzo in avanti, invece, per i tecnici, anche se quantitativamente meno sostanzioso di quanto si potesse ritenere alla vigilia. Su tutti vanno sottolineati i nomi di Daniele Franco all’Economia e dell’ex presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia alla Giustizia, oltre alla riconferma di Luciana Lamorgese all’Interno. Permane lo spacchettamento di Istruzione e Università, guidate dai professori Bianco e Messa, mentre ai due nuovi ministeri della transizione due tecnici di eccezione: alla Transizione Digitale Vittorio Colao e alla Transizione Ecologica Roberto Cingolani.
A quasi tre anni dalle elezioni del 2018 siamo dunque pronti al terzo governo. Con la sola opposizione di Fratelli d’Italia, il Movimento 5 Stelle può dire di aver governato con l’intero arco parlamentare. Dopo circa otto anni dalla fine dell’esperienza Monti, torna in campo il governo istituzionale. Con più politici e meno tecnici, Draghi ha di fronte la sfida delle sfide: spendere – e bene – gli oltre 200 miliardi di euro di fondi messi a disposizione dell’Europa per il rilancio dell’Italia. Lo deve fare con questa maggioranza e con questa squadra, che segna la rivincita della Lega ma che mantiene il Paese nel solco del filo europeismo caro in primis ai Dem e a Renzi, che ha vinto la partita del cambio di governo pur portando a casa un solo ministero senza portafoglio.