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Verso le Europee, il centrodestra diversifichi e allarghi, non litighi

04
Dicembre 2023
Di Daniele Capezzone

Non è mai facile la vita del secondo partito di governo, quello che gli anglosassoni, usando un po’ il latino e un po’ la loro lingua, chiamano junior partner. Quando le cose dell’esecutivo vanno bene, la tendenza naturale è quella di attribuirne il merito al Presidente del Consiglio; quando invece vanno male, la prima tentazione è quella di puntare il dito contro qualcun altro, e – com’è come non è – sul banco degli imputati finisce regolarmente il secondo partito e chi lo guida.

Nel caso di Matteo Salvini, la sfida era ed è ancora più in salita. Dal 2019 al 2022 la Lega ha ridotto i suoi voti di ben due terzi, e l’ultima campagna elettorale per le politiche del 25 settembre di un anno fa è apparsa un po’ defocalizzata: lo slogan un po’ vago (“Credo”), qualche oscillazione, qualche eccesso di “socialismo” in economia, più il prezzo altissimo – elettoralmente parlando – dell’aver sostenuto il gabinetto Draghi e dell’aver rivotato al Quirinale Sergio Mattarella. 

Di più. Diciamolo onestamente: per quante scelte controverse possa aver compiuto in passato, Salvini è stato a lungo mostrificato dalla sinistra e dai suoi media di riferimento (cioè quasi tutti). Quello che doveva essere un merito, e cioè la sua efficace gestione del Viminale con una obiettiva stretta all’immigrazione illegale, gli ha causato un pacchetto di processi. Ed è tuttora incredibile – a me pare – che tanti autoproclamati garantisti non si scusino per aver votato per mandare a processo un avversario imputandogli niente meno che l’esercizio delle sue funzioni politiche e istituzionali. 

Anche a causa di questo (ma non solo: c’è l’antica abitudine della sinistra di massacrare il capo del partito avversario più forte, quale la Lega è stata per un abbondante quadriennio), il Salvini-bashing, cioè la bastonatura sistematica del leader leghista, è stato uno degli sport più praticati in Italia. Curiosamente, nei confronti di Salvini non è mai arrivata la fase del “servo encomio”, ma gli è quasi regolarmente toccata quella del “codardo oltraggio”.

E ora, dopo oltre un anno di nuova legislatura? A ben vedere, Salvini e la Lega sono stati molto bravi a salvare il salvabile, anzi a salvare moltissimo. Il consenso è fisiologicamente sceso rispetto ai massimi degli anni passati, ma da un anno e mezzo è miracolosamente stabile su livelli elevati ed importanti; c’è una delegazione ministeriale che occupa dicasteri pesantissimi; è c’è (tra Regioni e Comuni) un numero notevole di personalità leghiste al comando di giunte di importanza strategica. 

E allora? E allora serve – a nostro avviso – che Salvini e i suoi affrontino la stagione che si apre con serenità. Lui stesso gestisce forse il ministero più centrale in termini di possibili realizzazioni di opere nei prossimi anni: può dunque darsi una positiva e concreta dimensione di “uomo del fare”, di capofila della necessaria trasformazione infrastrutturale dell’Italia. 

In termini più politici, si tratta di mettere meglio a fuoco il rapporto con Giorgia Meloni. Servirebbe a poco il gioco delle reciproche differenziazioni quotidiane, in ultima analisi esercizio casuale ed estemporaneo, da una parte o dall’altra. Scelte del genere – chiunque le mettesse in campo – otterrebbero solo due risultati: un indebolimento complessivo del governo, e un sicuro fastidio degli elettori di centrodestra per gli artefici di un’operazione simile. 

Sarebbe più utile – in modo intelligente e concordato – una lungimirante divisione dei compiti da qui alle Europee. So bene che in politica è difficile tracciare confini troppo nitidi e che l’imminenza di una campagna elettorale proporzionale innesca una fisiologica competizione anche tra partiti che – nella compagine governativa – sono e restano alleati. E tuttavia auspico che ci sia la saggezza per scrivere un “copione” comune in cui ogni attore abbia ben chiara la sua parte senza sovrapporsi agli altri: più presidenzialista la Meloni, più autonomista Salvini, per fare un esempio banale. 

Lo stesso tema delle alleanze europee può essere intelligentemente sdrammatizzato. Salvini (come dimostra la manifestazione di ieri a Firenze) desidera rimanere agganciato a Marine Le Pen e ai tedeschi di AfD? Ne ha pieno diritto, anche perché si tratta di forze (lo mostra il caso olandese) in espansione. Sta a lui trovare la giusta misura: per un verso, non abbandonare forze con cui ha condiviso un cammino europeo negli anni passati; per altro verso, evitare che ciò apra conflitti non necessari con i suoi alleati italiani. 

Contestualmente è bene che non siano gli alleati italiani (Fdi e Fi) a porre veti preventivi verso chicchessia. Saranno i numeri, dopo il voto europeo del 9 giugno, a decidere tutto. Dunque, non c’è motivo di polemizzare tra i tre partiti italiani di centrodestra, che invece hanno tutto l’interesse a coprire ciascuno uno spazio politico, ad allargare, a diversificare. Senza pestarsi i piedi. Buon lavoro a tutti.