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Usa 2024: Trump di nuovo rinviato a giudizio tira dritto. Ma fin quando?

15
Giugno 2023
Di Giampiero Gramaglia

Donald Trump respinse a più riprese i consigli dei suoi avvocati nella vicenda dei documenti riservati portati via dalla Casa Bianca e conservati nella sua residenza di Mar-a-lago in Florida, sottraendoli agli Archivi Nazionali cui andavano consegnati. L’ex presidente si rifiutò di restituirli, anche quando alcuni dei suoi collaboratori più fidati e di più lunga data lo informarono del pericolo e gli consigliarono di renderli. Solo dopo, scattò la perquisizione della residenza da parte dell’Fbi, l’estate scorsa, e il sequestro dei documenti, sfociati nell’incriminazione del magnate – 37 i capi d’imputazione – e nel rinvio a giudizio formale, martedì, in tribunale, a Miami.

Le ultime rivelazioni del Washington Post, basate sugli elementi forniti da “tre fronti a conoscenza dei fatti”, spiegano anche perché, negli ultimi giorni, Trump abbia faticato a trovare nuovi avvocati che lo difendessero: i legali hanno ormai capito che l’ex presidente è refrattario ai consigli giuridici, tende a fare di testa sua e scarica, poi, sugli altri la responsabilità dei guai cui va incontro.

Che, negli ultimi tempi, nelle aule di giustizia, si susseguono: è sotto processo a New York, davanti a una corte statale, per vari reati, fra cui cospirazione (nel 2016, in piena campagna elettorale, comprò in nero il silenzio di una pornostar sulla loro relazione); è stato appena condannato, sempre a New York, a risarcire una scrittrice che l’accusava di violenza sessuale; ed è ora a processo, davanti a una corte federale, per 37 reati, fra cui l’avere illegalmente detenuto documenti riservati e avere ostacolato il corso della giustizia.

E ci sono altre indagini avviate: una federale, sul suo ruolo nella sommossa del 6 gennaio 2021, quando migliaia di facinorosi suoi sostenitori – e da lui sobillati – diedero l’assalto al Campidoglio di Washington per spingere il Congresso a rovesciare l’esito delle elezioni; ed una della Georgia, per le pressioni da lui esercitate sulle autorità statali, sempre per rovesciare l’esito delle elezioni.

Mentre i media liberal si interrogano su che cosa sarebbe successo, nel caso dei documenti riservati, se l’accusato non fosse un ex presidente, e nello specifico Trump, ma un cittadino qualsiasi, il magnate tira dritto con la sua candidatura alla nomination repubblicana per Usa 2024: martedì sera, era già nel New Jersey a fare un comizio, cercando di volgere a suo favore l’intera vicenda e presentandosi come un perseguitato dalla giustizia “politicamente motivata” dell’Amministrazione Biden.

Ma c’è chi s’interroga, sui media, in Congresso, fra la gente, fin quando potrà durare e se l’onda d’urto dei procedimenti giudiziari non travolgerà il Trump candidato.

La vicenda dei documenti riservati sottratti alla Casa Bianca
Martedì, in aula, il magnate s’è dichiarato non colpevole dei 37 capi d’imputazione contestatigli: era la prima volta nella storia che un ex presidente veniva rinviato a giudizio per reati federali. L’udienza è stata gestita dalla giudice Aileen Cannon, una nomina di Trump, che, nei quattro anni alla Casa Bianca, ha scelto centinaia di magistrati. L’estate scorsa, Cannon  all’Fbi l’accesso a parte del materiale sequestrato a Mar-a-lago e ne affidò l’esame a uno ‘special master’, dando una battuta d’arresto all’indagine. Questa volta, non ha inciso sul procedimento.

Per Trump, è “l’abuso di potere più malevolo e odioso” nella storia americana, fatto di “accuse false e fabbricate”. Accanto a lui, come co-imputato, un suo assistente, Walt Nauta, che maneggiò fisicamente i documenti, alcuni dei quali contenevano delicati segreti militari e che sono stati trovati dall’Fbi in varie stanze, anche sale fitness, garage, bagni.

Entrambi sono stati lasciati in libertà su cauzione, dopo un arresto ‘pro forma’ – niente manette né foto segnaletiche, solo le impronte digitali -. Nell’aula del tribunale, i fotografi non sono stati ammessi: ci sono solo disegni a riprodurre la scena.

Stando alle carte del procedimento rese pubbliche, delle centinaia di documenti prelevati da Trump, 31 sono al centro del caso: 21 ‘Top secret’, nove ‘Secret’ e uno senza stampigliatura; uno conteneva segreti “sulle capacità nucleari di un Paese straniero”, pare l’Iran.

L’ex presidente aveva chiesto ai suoi sostenitori di essere presenti numerosi davanti al tribunale, ma non ci sono stati i temuti incidenti. Gli alleati del magnate denunciano una disparità di trattamento tra lui e Hillary Clinton, che, quand’era segretario di Stato, fra il 2009 e il 2013, avrebbe gestito affari di Stato dalla sua mail privata, invece che da quella più protetta del Dipartimento di Stato. Ma le due vicende hanno pochi tratti in comune.

Ad alleggerire la posizione di Trump c’è, invece, il fatto che, messe in allerta, le autorità federali hanno poi recuperato documenti classificati negli uffici o nelle residenze di altri presidenti o vice, fra cui lo stesso Biden e il vice di Trump Mike Pence, ora uno dei suoi rivali per la nomination; e hanno addirittura rivolto un invito a tutti gli ex presidenti e vice tuttora in vita, perché controllino se, fra le loro carte, non vi siano documenti da restituire. Ma la gravità dei casi non è confrontabile: Biden e Pence hanno volontariamente reso i dossier, della cui presenza non erano forse consapevoli; Trump ne aveva scientemente portati via dalla Casa Bianca centinaia, negava di averli e non voleva restituirli.

La sua asserzione di essere innocente si basa sul suo diritto, quand’era presidente, di declassificare quei documenti. Cosa che però non fece. Nel presentare le conclusioni cui è giunto, Jack Smith, il procuratore speciale che ha condotto l’indagine, ha detto: “Le nostre leggi sono la nostra salvezza e valgono per tutti… Violando segreti, Trump ha messo in pericolo gli Stati Uniti…”.

Due i paradossi politici di questa vicenda. Trump accusa il presidente Joe Biden di volerlo mettere per via giudiziaria fuori dalla corsa alla Casa Bianca, quando Biden ha in realtà interesse ad averlo come antagonista nelle elezioni del novembre 2024 – sarebbe indebolito dai processi e non avrebbe dalla sua il fattore età: il 14 giugno ha compiuto 77 anni -. Nel contempo, le accuse federali contro l’ex presidente hanno innescato, nei suoi confronti, la solidarietà obbligata, seppur variegata, di tutti gli altri aspiranti alla nomination repubblicana, contro la ‘giustizia politica’ – nessuno vuole rischiare di passare per un maramaldo -.

E intanto continua ad allungarsi la lista degli aspiranti alla nomination repubblicana: l’ultimo sceso in lizza è il sindaco di Miami, un ispanico, Francis Suarez, che porta l’elenco in doppia cifra. Suarez, cui nessuno oggi concede una chance, ha depositato i documenti per la candidatura.

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