Cronache USA

Ucraina, dazi, migranti, la presidenza “sta andando in pezzi”

25
Aprile 2025
Di Giampiero Gramaglia

Verso i cento giorni dall’insediamento per la seconda volta di Donald Trump alla Casa Bianca, s’intensificano i segnali di difficoltà per la nuova Amministrazione: sui fronti internazionali, Ucraina e Medio Oriente; interni, migranti e guerre con i giudici e le università; ed economici, dazi e mercati. Al punto che questa mattina una delle firme di punta del Washington Post, Aaron Blake, si chiede se le cose, per il magante presidente, “non stiano andando in pezzi”, a partire dalla trama dei conflitti con i tribunali sulle deportazioni dei migranti che “s’infittisce” e che non riguarda, aggiunge il New York Times, solo giudici liberal, ma anche giudici conservatori.

Un colpetto a Putin e una bastonata a Zelensky

E, ancora sul Washington Post, Ishaan Tharoor afferma che “l’approccio di Trump a Cina e Russia non sta funzionando”, mentre la Cnn percepisce “un linguaggio claudicante” del presidente Usa verso il presidente russo Vladimir Putin. Nei cui confronti, osserva la Ap, Trump ha ieri espresso una “rara” nota critica, chiedendogli in modo per lui imperativo (“STOP!” scritto tutto maiuscolo e con il punto esclamativo sul suo social) di fermare i bombardamenti sull’Ucraina dopo l’attacco della notte tra mercoledì e giovedì su Kiev, che ha fatto una decina di vittime e oltre 70 feriti. Il giorno prima, però, Trump se l’era presa di nuovo con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, accusandolo di volere prolungare la guerra e la carneficina rifiutandosi di accettare il piano di pace degli Usa, che è in realtà un piano di resa: riconoscimento della sovranità della Russia sulla Crimea – annessa nel 2014 – e fine delle sanzioni allora decise; cessate-il-fuoco lungo la linea del fronte, quindi lasciando di fatto alla Russia i territori occupati – e annessi nel 2022 -; accordo per cedere agli Stati Uniti lo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine, in cambio dell’aiuto militare e finanziario prestato; rinuncia per sempre all’adesione alla Nato. Ieri, il New York Times metteva in rilievo le dichiarazioni del vice-presidente JD Vance, i cui piani per l’Ucraina “favoriscono la Russia in modo netto”, con la minaccia di lasciare i negoziati, se Kiev non li accettasse. In partenza per Roma, dove arriverà in serata e dove domani assisterà ai funerali di Papa Francesco, Trump si dice pronto a fare incontri, eventualmente anche con Zelensky, ma l’agenda della Casa Bianca non ne prevede al momento nessuno.

Dazi e mercati, marcia indietro su Powell

Il Wall Street Journal sostiene che la vera controparte di Trump sui dazi non è la Cina, ma sono piuttosto i mercati: le decisioni del presidente sui dazi hanno suscitato opposizioni nei tribunali, cadute nei sondaggi e resistenze politiche; ma chi lo ha davvero convinto a fare passi indietro sono stati i mercati. Che hanno pure risentito dell’altalena di dichiarazioni sul presidente della Fed Jerome Powell: prima, propositi di licenziamento (ammesso che Trump possa farlo); poi, una repentina retromarcia. Il WSJ la spiega così: collaboratori del presidente lo avrebberoconvinto ad abbassare i toni, perché le sue dichiarazioni stavano danneggiando i mercati e l’economia.

E, dopo la California, altri 12 Stati fanno causa all’Amministrazione e contestano alla Casa Bianca “il diritto di imporre dazi in modo arbitrario”. A impugnare le decisioni del presidente sono Arizona, Colorado, Connecticut, Delaware, Illinois, Maine, Minnesota, Nevada, New Mexico, New York, Oregon e Vermont – tutti a guida democratica, tranne Nevada e Vermont -. I 12 Stati contestano il diritto del presidente di “imporre tariffe arbitrariamente” e denunciano il caos creato nell’economia statunitense. Trump ha imposto i dazi appellandosi all’International Emergency Economic Powers Act, norma che si applica in risposta a minacce insolite e straordinarie. Ma – recita l’azione legale – “nessun altro presidente ha imposto dazi sulla base dell’esistenza di una situazione d’emergenza nazionale”. Anche la Cina sollecita Trump a tornare sui suoi passi: lui ci starebbe pensando, secondo il WSJ, ma sul suo social Truth scrive “I prezzi della benzina e dei prodotti alimentari sono molto scesi, proprio come io avevo detto che sarebbe successo”

Per il portavoce del ministero del Commercio cinese He Yadong, gli Usa “dovrebbero

annullare completamente tutte le misure unilaterali contro la Cina e cercare di risolvere le divergenze attraverso un dialogo paritario”Ucraina, dazi, migranti, la presidenza “sta andando in pezzi”.

Lo stillicidio dei casi giudiziari

Poi, c’è lo stillicidio dei casi giudiziari: ogni media può puntare l’attenzione su filoni diversi, tanti ve ne sono: le deportazioni dei migranti, i licenziamenti collettivi o punitivi, i ridimensionamenti o la cancellazione di interi Dipartimenti o Agenzie, i tagli ai programmi per la diversità, l’equità e l’inclusione, etc.L’Ap aggiunge, con una breaking news di ultim’ora, che un giudice distrettuale ha bloccato parti della revisione del sistema elettorale degli Stati Uniti portata avanti dall’Amministrazione Trump, in particolare la richiesta di prove di cittadinanza per l’inclusione nelle liste elettorali. La riforma è contestata dai democratici e da gruppi per la difesa dei diritti civili. È sempre l’Ap aveva ieri segnalato che un altro giudice federale aveva contestato i tagli dei fondi alle scuole perché mantengono programmi per la diversità, l’equità e l’inclusione. In questo caso, promotori dell’azione legale sono la National Education Association e l’American Civil Liberties Union, che sostengono che i tagli violano la libertà di espressione sancita dalla Costituzione. Ed è emerso un secondo caso, dopo quello del salvadoregno Kilmar Abrego Garcia, di un migrante venezuelano illegalmente deportato in un carcere anti-terrorismo di El Salvador, senza attendere l’esito del ricorso da lui inoltrato. Un giudice del Maryland chiede anche per lui che sia riportato negli Usa.

Molti procedimenti sono in una fase preliminare. Ma l’Amministrazione punta in genere ad arrivare alla Corte Suprema, la cui composizione le è tendenzialmente favorevole, ma che, almeno tre volte, in questi primi cento giorni, le ha già dato torto.

I casi personali, Hegseth e Musk

I casi personali sono, in questo momento, soprattutto, quelli del segretario alla Difesa Pete Hegseth e di Elon Musk. Il Washington Post osserva che “altri hanno perso i loro accrediti di sicurezza per sbagli molto meno gravi di quelli fatti da Hegseth”, che ha ripetutamente condiviso informazioni riservate con persone non autorizzate – fra cui familiari e giornalisti – su chat pubbliche e che ha installato il suo account Signal sul suo computer al Pentagono per aggirare il fatto che i cellulari, dentro il Pentagono spesso non funzionano perché schermati.

Quanto a Musk, il New York Times ne descrive così la parabola che è ormai nella fase discendente: il responsabile del Dipartimento per l’efficienza dell’Amministrazione pubblica “teneva in pugno il governo”, con l’avallo di Trump, ma poi “s’è scontrato” con vari membri del gabinetto ministeriale. “Un alterco la scorsa settimana con il segretario al Tesoro Scott Bessent è stato l’ultimo di una serie di scontri con ministri e assistenti in questo controverso periodo, prima di annunciare il ritorno, ora imminente, ai suoi affari, che non stanno andando bene. Per un paperone high-tech che lascia Washington, uno che arriva: il New York Times rivela che Mark Zuckerberg ha comprato casa a Washington, il terzo acquisto immobiliare più costoso di tutti i tempi nella capitale federale. Infine, riflettori puntati su Dick Durbin, senatore democratico dell’Illinois, al suo quinto mandato e congressman da 44 anni: il numero 2 della minoranza democratica al Senato ha annunciato che non intende ricandidarsi nel 2026. L’uscita di scena di Durbin si aggiunge a quella di altri due senatori democratici che hanno già annunciato il loro ritiro: mosse che favoriscono il ricambio generazionale fra i democratici, ma che rendono anche contendibili

seggi relativamente sicuri.