Politica

Tutto sulle elezioni europee: chi vota, le tensioni, gli equilibri politici che cambiano. E il futuro

06
Giugno 2024
Di Giampiero Gramaglia

Da oggi, 373 milioni di cittadini europei sono chiamati al voto per rinnovare il Parlamento europeo, 720 membri. Per 22 milioni, è la loro prima volta alle urne. L’Italia, dopo Germania (96) e Francia (81),  è il Paese con più eurodeputati: 76. Si vota da oggi a domenica, con modalità, orari e leggi diversi Paese per Paese – l’Estonia è l’unico dei 27 ad avere previsto il voto elettronico -. Ma c’è chi ha già votato, profittando dov’è possibile del voto per posta – 14 i Paesi che lo consentono – o anche del voto anticipato – solo in Finlandia e in Estonia -. Si vota per l’Europa, ma non solo: in Belgio e Bulgaria, ci sono le politiche; in Germania e Italia, regionali e amministrative; ocunque, le europee sono anche un grande sondaggio politico nazionale.

La campagna è stata segnata da tensioni e violenze. Gli episodi più gravi in Slovacchia: il premier Robert Fico è stato gravemente ferito; e in Germania, con aggressioni e scontri. Il premier polacco Donald Tusk ha ricevuto minacce di morte. Altrove si segnalano intemperanze e polarizzazioni.

Una delle sfide che segna anche queste ore di urne già aperte è la disinformazione, spesso di matrice euro-scettica o russa, con tentativi di indirizzare il voto verso quei movimenti e quei candidati che Mosca percepisce come amici o meno ostili. Gli attacchi degli hooligans cibernetici hanno persino provocato una sospensione dell’account Facebook della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che era divenuto un diffusore di messaggi fake.

Demograficamente, le elezioni europee sono l’esercizio democratico più grande al Mondo, dietro quello indiano, appena conclusosi, e davanti a quello statunitense, in calendario il 5 novembre. Questi tre appuntamenti mobilitano da soli quasi due miliardi e mezzo di persone, oltre un terzo della popolazione mondiale.

La posta in palio non è solo il futuro assetto del Parlamento europeo, ma il quadro complessivo delle Istituzioni europee, che saranno completamente rinnovate entro l’autunno, tenendo conto anche dei risultati elettorali. Nel Parlamento, i due maggiori gruppi attuali, quelli del Partito popolare europeo (Ppe) e del Partito socialista europeo (Pse), dovrebbero mantenere le posizioni, con un leggero incremento per i popolari e un leggero calo per i socialisti – la loro somma non farà però maggioranza, come è già oggi -.

Altri due gruppi fortemente europeisti, i liberali di Renew e i Verdi, dovrebbero uscire indeboliti dalla consultazione elettorale e Renew potrebbe perdere il terzo posto, a vantaggio probabilmente dei conservatori riformisti, dati in crescita, come il gruppo Identità e Democrazia alla loro destra, che potrebbero diventare la terza e quarta forza dell’Assemblea comunitaria. I riferimenti italiani sono FI per il Ppe, il PD per il Pse, FdI per i conservatori, la Lega per ID. Le varie sigle centriste confluiscono nei liberali.

I pronostici sono scritti sulla sabbia dei sondaggi e le sorprese non sono affatto escluse. Così come non è escluso che la geografia dei gruppi subisca degli scossoni, con fenomeni di osmosi e/o ridefinizione di sigle e composizioni. La maggioranza politica che gestirà la prossima legislatura è incerta: l’attuale coalizione ‘europeista’ (Ppe, Pse, liberali, Verdi) dovrebbe conservare, dopo il voto, la maggioranza; ma c’è chi pensa ad aggregazioni di centro-destra, che potrebbero, però, incontrare un ostacolo in Identità e Democrazia, ‘ostracizzata’ dagli ‘europeisti’ per le sue componenti scettiche e xenofobe. Ulteriore elemento di incognita, almeno in una prima fase, il prevedibile gran numero dei non iscritti, cioè di eurodeputati eletti in formazioni politiche che non si riconosco nei gruppi già esistenti. Gli eurodeputati italiani del M5S erano, nella passata legislatura, fra i non iscritti. Eunews anticipa una “tettonica a zolle” dei gruppi, con movimenti specie alle estreme, con sigle neo-nazi e filo-russe da una parte e sinistre rosso-brune, dall’altra.

I rapporti di forza politica determinati dalle elezioni europee peseranno, senza essere vincolanti, nella fase di rinnovo delle Istituzioni europee: le nomine dei presidenti della Commissione europea – indicato dal Consiglio europeo, ma con l’investitura del Parlamento – e del Consiglio europeo – deciso dal Consiglio europeo -; la scelta del ‘capo della diplomazia europea’ e di tutti i commissari. Diversi partiti politici europei hanno espresso i loro candidati alla presidenza della Commisisone: fra gli altri, il Ppe ripropone Ursula von der Leyen, tedesca, e il Pse punta su Nicolas Schmidt, lussemburghese, ora commissario europeo agli affari sociali.

UvdL era considerata la grande favorita fino a qualche settimana or sono, ma le sue ‘derapate’ sull’ambiente, l’agricoltura e l’emigrazione e il suo corteggiamento insistito dei conservatori, specie di Giorgia Meloni, ha irritato molti leader e anche molti esponenti del suo partito. I media con sede a Bruxelles, come Politico.eu, Eunews, Euractiv.eu, registrano “una rivolta socialista” contro i flirt di von der Leyen con la destra. Ad avvertire che ciò potrebbe ‘silurare’ le speranze di conferma dell’esponente della Cdu, c’è, in prima fila, il cancelliere socialdemocratico tedesco Olaf Scholz, che starebbe già lavorando a un piano B, cioè a chi scegliere come commissario se UvdL cadesse. E, dentro il Ppe, Manfred Weber, tedesco anch’egli, capogruppo a Strasburgo, sconfessa alcune scelte della Commissione in materia ambientale.

Un altro nemico di Uvdl2 è il presidente uscente del Consiglio europeo Charles Michel, liberale, alla ricerca a sua volta di una – difficile – conferma. E appare fuori misura l’analisi di Euractiv.it secondo cui, dopo il voto, Meloni ‘darà le carte’ nel Consiglio europeo: la delegazione di FdI potrebbe effettivamente essere la più numerosa nell’Assemblea di Strasburgo di un singolo partito, ma la premier italiana può contare solo su due o al massimo tre capi del governo politicamente vicini (e non dei Paesi più influenti: Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia).

Il premier ungherese Viktor Orban è poi interlocutore poco affidabile: intervistato da Le Point, spinge per un campo unico Meloni / Le Pen – “Il futuro sovranista nelle mani di due donne” -, all’interno “di un gruppo unico o di una coalizione”, convinto che “la forza attrattiva della loro cooperazione sarà molto forte”, “sufficiente a rimodellare la configurazione della destra europea”. Ma, intanto, non è chiaro in che gruppo andranno i suoi eurodeputati.

Euronews prevede che “i successi dell’estrema destra potrebbero modificare l’atteggiamento dell’Ue su temi globali”, dal clima all’immigrazione alla pace e alla sicurezza. L’asse franco-tedesco appare indebolito, con leader che sono ‘anatre zoppe’ nei loro Paesi e non appaiono in grado d’indirizzare, come avvenuto in passato, le scelte del Consiglio europeo. Macron, più di Scholz, segnala pericoli con dichiarazioni che sono lanciarazzi: “l’Europa è mortale”, se non si dota di maggiori poteri e maggiore sovranità; e se non evolve verso un’Unione della Difesa.

La campagna elettorale, come sempre condotta più a livello nazionale che europeo, s’è fatta sui temi della crescita e dell’occupazione, della solidarietà e della sicurezza, del’ambiente e dell’immigrazione, delle necessarie riforea istituzionali per rendere l’Ue più efficiente e dell’allargamento ai Balcani occidentali e, in prospettiva, a Ucraina, Moldavia e, forse, Georgia. Ma il contesto internazionale, dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, al conflitto tra Israele e Hamas, ha avuto grosso peso, rilanciando, tra l’altro, l’obiettivo dell’Unione della Difesa.

Ma che sia un tema non ancora maturo lo dimostra il fatto – rileva Politico.eu – che il nuovo posto di commissario alla difesa, di cui parla UvdL, non trova per il momento aspiranti qualificati: “L’incarico prestigioso che nessuno vuole”, scrive Politico.eu. “I grandi nomi preferiscono posti più concreti, perché i poteri militari dei 27 sono molto labili”. Un conto è l’industria della difesa, per cui c’è un commissario all’industria; un conto è la politica della difesa, che presuppone una politica estera e di sicurezza comune, che non c’è e, fin quando ci sarà il vincolo dell’unanimità, non ci sarà.