Esteri

Siria: caduta di Assad, Trump più cauto di tutti (e, stavolta, forse fa bene lui); riflessi ucraini

09
Dicembre 2024
Di Giampiero Gramaglia

Per una volta Donald Trump è il più cauto di tutti. Mentre l’Onu e l’Ue, il presidente Usa Joe Biden e i leader europei giudicano positiva l’uscita di scena del dittatore siriano Bashar al Assad, Trump avverte che «gli Usa non dovrebbero farsi coinvolgere». Poco prima che Damasco cadesse in mano ai ribelli, scriveva sul suo social Truth: «Questa non è la nostra battaglia… Lasciate che si svolga», ricordando il fallito impegno di Barack Obama a fare rispettare, nel 2014, la linea rossa sull’uso delle armi chimiche da parte del regime siriano.

Nel testo di Trump, c’è anche un messaggio al presidente russo Vladimir Putin: la rapidità shock degli eventi in Siria è stata possibile perché la Russia, «impegnata in Ucraina, dove ha perso oltre 600mila soldati, non è stata capace di proteggerla».

Poche ore dopo, Biden, invece, si esprimeva così: «Finalmente Assad è caduto. Per i siriani, è un’opportunità storica»; e sosteneva che il dittatore siriano «deve essere portato in giustizia e punito». Su posizioni analoghe, i maggiori leader occidentali, anche quelli che erano stati soci d’affari del presidente dimessosi (alias deposto).

C’è ancora molto da chiarire nelle cause e nelle dinamiche di quanto avvenuto in dieci giorni, dopo quasi dieci anni di stallo ostile: la rivitalizzazione dell’insurrezione, sostenuta dalla Turchia; e, contemporaneamente, la ‘liquefazione’ delle forze regolari siriane, non sostenute in modo adeguato dall’Iran, la cui presenza nell’area è stata molto indebolita dalla guerra di Israele agli Hezbollah, e neppure dalla Russia; i panni dell’agnello indossati dal lupo, il capo dei miliziani Abu Muhammad al Julani, che non veste più da leader jihadista, ma parla di una «vittoria islamica» e che ripropone nella Regione la contrapposizione tra sunniti – ora vincitori – e sciiti – ora sconfitti.

Solo il futuro prossimo ci farà capire se e quanto la transizione sarà davvero indolore e incruenta, con il premier Mohammed al-Jalali che resta in carica – il che pare frutto di accordi già presi –, mentre il presidente e i suoi familiari trovano asilo politico immediato e sicuro in Russia, a Mosca.

Le cronache da Damasco riferiscono che i siriani festeggiano, nelle strade e nelle piazze, l’epilogo di mezzo secolo di potere della famiglia Assad. Ma domande sul futuro del Paese se le pongono pure loro: dietro gli auspici di una transizione pacifica e gli appelli alla stabilità regionale, che vengono dai vicini più influenti e dai Paesi occidentali, c’è la realtà di un’opposizione ad Assad divisa e frantumata per ideologia, per credo, per etnia; e ci sono interrogativi su giochi e interessi d’Israele e Turchia, oltre che di Iran e Iraq e sul ruolo e sul destino dei curdi, che combattono e vincono ovunque, contro Saddam Hussein, contro l’Isis e contro Assad, ma a conti fatti perdono sempre.

La fine del regime di Assad è «il fatto nuovo, locale e globale nello stesso tempo», osserva nei suoi Appunti Stefano Feltri: fra le incertezze, il rischio che il Paese diventi un altro ‘Stato fallito’, come la Libia e la Somalia; e il destino delle minoranze religiose, le comunità sciita e cristiana.

Secondo l’ex direttore di Repubblica Maurizio Molinari, «la caduta del brutale regime di Assad è una scossa che modifica il Medio Oriente attorno a una novità strategica: vince Ankara, mentre sono sconfitte Teheran e Mosca». Resta il dubbio che il successo del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, oggettivamente «descritto da quanto avvenuto negli ultimi dieci giorni», sia anche l’effetto di patti con il presidente russo Vladimir Putin.

L’eccezionale rapidità della caduta del presidente siriano e le prospettive di analoga accelerazione del conflitto in Ucraina hanno fatto da contesto internazionale della visita a Parigi del presidente eletto Usa Donald Trump, in occasione della riapertura della cattedrale di Notre Dame dopo l’incendio del 2019.
Trump è stato l’attrazione del fine settimana parigino, protagonista più del padrone di casa, ancora in cerca di governo, Emmanuel Macron. All’Eliseo, prima della cerimonia di riapertura, c’è stato l’incontro a tre Macron, Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che rientra nel quadro dei tentativi europei di convincere il presidente eletto a mantenere il sostegno all’Ucraina di fronte all’invasione russa.
Mentre Trump era a Parigi, l’Amministrazione Biden annunciava quasi un miliardo di ulteriori aiuti in armamenti a Kiev: la Casa Bianca sta cercando di spendere tutti i soldi già vistati dal Congresso prima del cambio della guardia.

Trump, in un’intervista alla Nbc registrata prima di partire per Parigi, ma diffusa ieri, avverte che gli aiuti all’Ucraina potranno essere ridotti e minaccia di lasciare la Nato se gli alleati non saranno «giusti» con gli Usa, cioè non pagheranno di più, oltre che ribadire molti aspetti del suo programma, dall’imposizione di dazi alla ‘deportazione’ di milioni di migranti.

Prove di dialogo tra l’Ucraina e il ‘Trump 2’ si sono già state a Washington la settimana scorsa, quando il capo dell’ufficio presidenziale di Kiev Andriy Yermak ha incontrato il team Trump, cioè l’inviato ad hoc Keith Kellogg e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, presente anche il vice-presidente JD Vance.

Kellogg avrebbe espresso sostegno agli sforzi dell’Amministrazione Biden per inviare rapidamente armi in Ucraina, affermando che ciò darà a Trump una leva per negoziare con Mosca un accordo. Ma ha mostrato scarso interesse nell’offrire a Kiev l’adesione alla Nato, ritenuta invece da Zelensky una garanzia di sicurezza fondamentale contro future aggressioni. Yermak ha incontrato in Florida anche la futura capa dello staff della Casa Bianca Susie Wiles.

Le cerimonie per la riapertura di Notre Dame hanno offerto a molti leader l’occasione di ‘flirtare’ con Trump e con il suo sodale Elon Musk. La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha parlato di «una piacevole occasione di dialogo» al ricevimento all’Eliseo con Trump e Musk, postando sulla sua pagina Facebook alcune foto.

Musk, che non era atteso a Parigi, è arrivato in ritardo nella cattedrale quando tutti gli ospiti erano già seduti. Sul suo account X, ha postato un video del soffitto a volta di Notre Dame col commento – apparentemente incongruo – «Magnificat cathedrale».

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