Politica

Trattative e mediazioni sono incompatibili con la superpolarizzazione social

08
Agosto 2022
Di Daniele Capezzone

Essere buoni profeti è a volte facile: è sufficiente prevedere il peggio, e si hanno buone probabilità di centrare il pronostico. Dicevamo qui la scorsa settimana che la politica dovrebbe essere qualcosa di diverso dai social, o, meglio, che i leader farebbero bene a non confondere la realtà vera con il microcosmo di una piattaforma social. 

L’epilogo devastante dell’intesa tra Pd e Azione (baci e abbracci il martedì, pesci in faccia la domenica successiva) ci aiuta a completare il ragionamento. La cosa può piacere o no: ma una trattativa – qualunque trattativa, tra ogni tipo di interlocutori – richiede una quota di mediazione, di accettazione reciproca, di impegno bilaterale ad autolimitarsi. Al contrario, la dimensione social ha per sua intrinseca natura due caratteristiche opposte: per un verso, l’assoluta personalizzazione (“io, io, io”), non di rado con un confine sottile tra l’essere egoriferiti e il diventare un po’ mitomani; per altro verso, una sempre più spinta polarizzazione, che induce a esacerbare le differenze tra sé e l’altro, chiunque altro. 

Ciascuno comprende che non è possibile perseguire il primo obiettivo (un’alleanza, una trattativa politica) attraverso i social (una comunicazione social ossessiva, minuto per minuto, mentre le cose devono accadere o stanno accadendo): in quest’ultimo caso, è evidente che i contraccolpi emotivi, gli sbalzi d’umore, le impressioni di un momento, finiranno per essere altrettante mine poste sotto il tavolo. E le mine, a un certo punto, fanno il loro sporco mestiere: esplodere.

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