Sulla carta, poteva essere l’occasione per provare a mettere un cuneo tra Cina e Russia. Joe Biden, invece, sceglie di sfidare Pechino su Taiwan e le costruisce intorno una sorta di cordone sanitario politico, militare, commerciale, correndo il rischio di consolidare il rapporto con Mosca. La mossa del presidente degli Stati Uniti coglie di sorpresa il suo staff – non è la prima volta – e suscita interrogativi sui media.
In missione in Asia, in visita agli amici più fidati degli Stati Uniti nel Pacifico, Corea del Sud e Giappone, Biden, in conferenza stampa con il premier giapponese Fumio Kishida, mette in guardia la Cina e s’impegna ad aiutare militarmente Taiwan in caso di invasione cinese.
L’affermazione sorprende la stampa Usa, che nota subito come essa si discosti della tradizionale “ambiguità strategica” – è proprio questa la formula rituale – americana su questo tema. E trova impreparata pure la Casa Bianca, che, come già fece a fine marzo, dopo la sortita di Varsavia sul ‘cambio di regime’ a Mosca, s’affanna nel tentativo di rettificare il tiro senza smentire il presidente.
Scrive il New York Times: “Nessuno s’aspettava una dichiarazione del genere da parte di Biden, fatta senza distinguo e senza fiocchi. E’ un segno della volontà di tutelare la democrazia di Taiwan più forte di quelli mai dati nei confronti dell’Ucraina”.
Dall’Asia, il presidente Usa lancia pure l’Indo-Pacific Economic Framework (Ipef), nuova alleanza economico-commerciale, cui hanno già aderito 13 Paesi: una piccola Apec in funzione anti-cinese, un cordone di contenimento dell’espansione di Pachino. I Paesi che aderiscono all’Ipef – assicura Biden – ne ricaveranno “benefici economici concreti”.
Cinque anni dopo che Donald Trump si era ritirato da un ampio accordo commerciale nel Pacifico che lui stesso aveva negoziato, l’Ipef “ricompone la partnership fra Usa, Giappone, Corea del Sud, India e Australia”. Ci sono pure Indonesia, Singapore, Malaysia, Thailandia, Vietnam, Brunei, Filippine e Nuova Zelanda: insieme rappresentano circa il 40% del Pil mondiale. Fra i Paesi che ne restano fuori, oltre alla Cina, Taiwan, la cui presenza sarebbe forse parsa provocazione eccessiva, Myanmar, Cambogia e Laos.
Il viaggio in Asia era iniziato venerdì 20 in Corea del Sud, dove c’è un presidente nuovo di zecca, Yoon Suk-Yeol, ed è proseguito da domenica 22 a martedì 24 in Giappone. A Seul come a Tokyo, Biden ha ribadito che gli Usa sono determinati a difendere la Corea del Sud e il Giappone, con cui hanno alleanze considerate “le pietre miliari” della pace e della stabilità nella regione. Sempre guardando con diffidenza a Pyongyang (senza escludere a priori un incontro con Kim Yong-un) e Pechino.
Martedì, c’è stato un vertice del Quad, con la partecipazione, accanto a Biden e Kishida, dei leader di India e Australia. Per il neo-premier australiano Anthony Albanese, laburista, di origini italiane, uscito vincitore dalle elezioni di sabato 21, è stato l’esordio nel ruolo sulla scena internazionale.
I quattro del Quad hanno concordato di non accettare “mai un cambio dello status quo con l’uso della forza”, esprimendo “comune preoccupazione” per la guerra in Ucraina. Biden dice: “Stiamo attraversando un’ora buia della nostra storia condivisa”, a causa dell’aggressione della Russia all’Ucraina. Ciò accresce il bisogno di una regione Indo-Pacifica libera da conflitti interni. Biden aggiunge che l’accordo tra i Paesi del Quad non è una “moda passeggera”: l’intenzione è che l’intesa duri e prosperi per anni. Per Kishida, “nessun Paese in questa parte del Mondo dovrà mai trovarsi nella situazione dell’Ucraina”.
Le parole e gli atti di Biden non passano senza reazione cinese. La Cina è adamantina su Taiwan: “Nessuno sottovaluti la decisa determinazione, la ferma volontà e la forte capacità del popolo cinese di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale”.
Quanto alla strategia indo-pacifica degli Stati Uniti, il commento cinese è acido: “le piccole cricche in nome della libertà e dell’apertura” hanno il solo scopo di contenere la Cina e non ci riusciranno. Lo dice il ministro degli Esteri Wang Yi: l’Ipef “è uno strumento politico degli Usa, per mantenere la loro egemonia economica regionale ed escludere determinati Paesi”: “una strada sbagliata”.
I commenti della stampa Usa sono, in sostanza, coincidenti con quelli di Wang: il nuovo blocco –scrive il Washington Post – vuole “contrastare la Cina e riaffermare l’influenza degli Usa nell’area”.
Biden a Tokyo ha atto una sola concessione alla Cina, dicendo che sta “considerando” l’abolizione di alcuni dazi commerciali non imposti dalla sua Amministrazione, per raffreddare il rialzo dell’inflazione. Poca roba, a fronte dell’impegno su Taiwan e della creazione dell’Ipef.