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Ritorno in Italia di Cecilia Sala: un test per la diplomazia italiana
Di Beatrice Telesio di Toritto
L’8 gennaio Cecilia Sala, giornalista italiana di 29 anni, è tornata a Roma dopo tre settimane di detenzione nella prigione di Evin, in Iran, dopo essere stata arrestata il 19 dicembre mentre lavorava con un regolare visto giornalistico con l’accusa di aver «violato le leggi della Repubblica islamica». Il suo ritorno in Italia rappresenta un successo significativo per la diplomazia italiana e una prova di solidità del governo Meloni nel gestire situazioni complesse di crisi internazionale. Nonostante i dettagli dell’operazione rimangano ancora avvolti dal riserbo, fonti vicine ai servizi di intelligence indicano che il ruolo del Governo – e in particolare della Meloni e di Tajani – è stato cruciale, nonostante non sia certo mancato il supporto di partner internazionali strategici. Fonti diplomatiche hanno parlato infatti di negoziati condotti in modo serrato ma discreto, che hanno richiesto una conoscenza approfondita delle dinamiche locali e un’attenzione particolare al bilanciamento di interessi geopolitici spesso in contrasto. La capacità inoltre dell’Italia di mantenere un profilo equilibrato, evitando eccessi mediatici, è stata determinante per il buon esito dell’operazione.
Questo successo arriva oltretutto in un momento in cui il governo Meloni è chiamato a consolidare la propria credibilità in ambito internazionale. La gestione della crisi legata a Cecilia Sala è stata percepita come un banco di prova per l’esecutivo, che ha dimostrato di poter agire con compattezza anche di fronte a situazioni potenzialmente destabilizzanti. Le parole della premier Giorgia Meloni, che ha sottolineato come “la sicurezza dei cittadini italiani sia una priorità assoluta del governo”, confermano la volontà di mantenere alta l’attenzione su temi legati alla protezione e al prestigio del Paese all’estero. L’esperienza italiana in operazioni di mediazione è stata più volte elogiata da partner internazionali e questo nuovo episodio consolida ulteriormente tale reputazione.
Tuttavia, la liberazione di Sala si inserisce in un contesto più ampio di transizione all’interno della diplomazia e dei vertici istituzionali italiani. Lunedì Elisabetta Belloni, direttrice del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) e figura centrale della politica estera italiana, ha annunciato di essere «pronta a lasciare» il suo incarico. Sebbene ufficialmente legate a motivi personali, le sue dimissioni hanno riacceso il dibattito sul rapporto tra politica e diplomazia, in particolare sulla gestione delle crisi internazionali. Belloni, una delle più autorevoli figure della diplomazia italiana, ha spesso rappresentato un ponte tra l’apparato tecnico e le autorità politiche e la sua uscita di scena, avvenuta in un momento di alta esposizione per la diplomazia italiana, solleva interrogativi sull’autonomia delle strutture operative rispetto all’ingerenza politica. A sostituirla, Vittorio Rizzi, figura considerata vicino alla presidenza del Consiglio, esperto di sicurezza e già al centro di importanti dossier internazionali. La nomina di Rizzi ha suscitato reazioni contrastanti. Da un lato, è vista come una scelta di continuità operativa; dall’altro, ha sollevato interrogativi sull’autonomia delle strutture operative rispetto all’influenza politica.