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Meloni tra due fuochi: il caso Almasri e il nodo Santanchè scuotono la maggioranza
Di Beatrice Telesio di Toritto
Negli ultimi giorni, il panorama politico italiano è stato scosso da una vicenda che ha messo sotto i riflettori la premier Giorgia Meloni e alcuni membri del suo governo. Tutto ruota attorno a Osama Almasri, un militare libico arrestato a Torino il 19 gennaio 2025 su mandato della Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini di guerra e contro l’umanità.
La situazione si è complicata quando, due giorni dopo l’arresto, Almasri è stato rilasciato e rimpatriato in Libia a bordo di un aereo dei servizi segreti italiani. La motivazione addotta è stata quella di un vizio di forma nella richiesta di arresto che avrebbe impedito la convalida della detenzione. Tuttavia, questa mossa ha sollevato un polverone: la CPI ha espresso indignazione per la liberazione senza preavviso, e la procura di Roma ha avviato un’indagine per favoreggiamento e peculato, coinvolgendo non solo Meloni, ma anche i ministri Carlo Nordio (Giustizia), Matteo Piantedosi (Interno) e il sottosegretario Alfredo Mantovano.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Meloni ha difeso l’operato del governo, sottolineando che la decisione è stata presa per garantire la sicurezza nazionale e accusando alcuni magistrati di voler interferire con le decisioni politiche: “ci sono alcuni giudici che vogliono decidere la politica industriale, ambientale e dell’immigrazione. Se vogliono governare, si candidino”, ha dichiarato la nostra Premier. Parole che hanno immediatamente acceso il dibattito ma soprattutto l’opposizione. Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ha esortato la premier a riferire in Parlamento, mentre Giuseppe Conte del M5S – di cui non si sentiva parlare da un po’ – ha criticato Meloni per aver attaccato la magistratura invece di fornire spiegazioni chiare sulla gestione della vicenda.
Questa tensione tra governo e magistratura non è nuova, ma il caso Almasri l’ha portata a un livello di scontro ancora più alto. Per l’opposizione, si tratta di una gestione politica pasticciata e opaca, mentre per la maggioranza il rimpatrio di Almasri è stato un atto di sovranità nazionale. La CPI, però, non molla la presa e potrebbe tornare a chiedere chiarimenti, anche sul ruolo giocato dai servizi segreti italiani in tutta la vicenda.
Parallelamente, un’altra vicenda giudiziaria sta creando tensioni all’interno dell’esecutivo. Il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, è coinvolta in un procedimento per truffa aggravata ai danni dell’INPS. L’accusa riguarda la presunta richiesta indebita di cassa integrazione COVID-19 per 13 dipendenti del suo gruppo aziendale, che in realtà avrebbero continuato a lavorare in smart working. Il danno stimato per l’INPS supera i 126.000 euro. Il caso, già noto da tempo, ha subito una svolta importante quando la Corte di Cassazione ha stabilito che il processo rimarrà a Milano, respingendo la richiesta della difesa di trasferirlo a Roma. La prossima udienza preliminare è fissata per il 26 marzo ed entro maggio potrebbe arrivare una decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio. La posizione della Santanchè rimane incerta: nonostante la situazione, la ministra ha ribadito che non ha alcuna intenzione di dimettersi a meno che non le venga esplicitamente chiesto dalla Meloni.
Tuttavia, le pressioni interne alla maggioranza si fanno sentire. Ignazio La Russa, presidente del Senato e esponente di Fratelli d’Italia, ha commentato la decisione della Cassazione definendola “un elemento di valutazione”, lasciando intendere che le dimissioni potrebbero non essere più un tabù. Anche tra gli alleati cresce l’imbarazzo. Se la ministra dovesse essere rinviata a giudizio, Meloni si troverebbe di fronte a una scelta difficile: difendere Santanchè a costo di indebolire ulteriormente la tenuta dell’esecutivo, o prendere le distanze e accettare una sua uscita di scena.