Politica

Meloni lavora in silenzio ma combatte sia sul fronte interno sia su quello esterno

08
Ottobre 2022
Di Ettore Maria Colombo

Se sta zitto Mollicone, stanno zitti tutti tutti…

Totoministri? Pensiamo all’Italia. Non so nulla di Salvini all’Interno, lavoriamo per l’Italia. Non posso dirle se Giorgia Meloni è alla Camera. Stiamo continuando a lavorare. Non spetta a me parlare, siamo in silenzio stampa, io sono solo un parlamentare”. E se lo dice Federico Mollicone, uscendo a palazzo Montecitorio, c’è da credergli. Come si sa, infatti, l’onorevole Mollicone – in predicato di diventare sottosegretario all’Editoria (oggi, però, si dubita parecchio che lo diventi), settore di cui si occupa da sempre – durante la campagna elettorale si è fatto ‘fregare’ (da solo, cioè con le sue mani) a parlare (male) di Peppa Pig (la vorrebbe vietare perché, nella sua versione inglese, fa vedere cartoons femmine che si baciano tra loro) e (malissimo) delle coppie omosessuali (secondo lui sono “coppie illegali”, peccato che esista una legge, quella sulle unioni civili, varata dal governo Renzi, nel 2016, che le ha rese le coppie di fatto legali, anzi legalissime) c’è da credergli. Neppure Mollicone, insomma, vuole incorrere in altre, eccessive, gaffe cosmiche e di portata planetaria, come quelle già pubbliche. Figurarsi gli altri. Muti, dentro FdI, come pesci. E tutti ma proprio tutti. Giorgia Meloni ha imposto, a tutti loro, la “consegna del silenzio”. “qui si lavora, non si parla” di fascista memoria.

A dirla tutta, un’eccezione c’è: Guido Crosetto

Con l’eccezione di un ‘battitore libero’, il quale, invece, continua, ogni tanto, a dare interviste, andare in tv ed esternare il suo pensiero, ma specie sui suoi temi, quelli economici e sociali, spaziando dal tetto al prezzo del gas alle bollette, etc. Insomma, un’eccezione c’è sempre, in ogni dream team che si rispetti, ed è Guido Crosetto.

Il quale, pur avendo ‘co-fondato’ FdI, nel 2013, non si è voluto ripresentare come parlamentare (lo è stato, nella passata legislatura, ma dopo un po’ di anni si è dimesso, uno dei rari parlamentari ad averlo mai fatto: una fatica, per lui, farsele votare, dalla Camera, le dimissioni, diceva sempre di no), pur avendo certezza di rielezione.

Da anni ha ‘solo’ un ruolo da imprenditore privato (presiede l’Aiad, l’associazione, affilata a Confindustria, delle imprese dell’aerospazio), ma è rimasto un – utilissimo – consigliere della presidente del Consiglio in pectore su vari temi.

Infatti, lei lo ausculta molto, lui offre consigli e, ovviamente, nel toto-ministri, il suo nome figura spesso (agli Esteri, alla Difesa, al Mise, a palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza, etc.), anche se lui si schermisce e, agli amici, increduli, assicura che resterà a fare il “privato cittadino”.  

Ecco, però, solo Crosetto è molto attivo, in FDI. Almeno sul suo social preferito, che poi è Twitter. Va anche detto che Crosetto, dopo essersi speso moltissimo in campagna elettorale per ‘tirare la volata’ a FdI e a Meloni, almeno in queste settimane si è limitato a rintuzzare le pesanti accuse che gli piovevano addosso. I giornali il Fatto e il Domani vorrebbero dimostrare l’indimostrabile, e cioè che si tratti di uomo ‘sporco’ e ‘colluso’, rovistando tutti i cassetti possibili e immaginabili che gli capitano a tiro: finora non hanno trovato un bel nulla, difficile che lo trovino proprio ora, Crosetto è solo un imprenditore che guadagna bene, il che, fino a prova contraria, non costituisce un ‘dolo’. Ma, come si diceva, al netto di Crosetto – che, insomma, il diritto/dovere di difendere il suo buon nome e quello delle aziende che rappresenta lo ha, fino a prova contraria – gli altri tutti muti. E come pesci. Persino Mollicone. Proprio tutti tutti.

Un puzzle arduo da comporre e, a oggi, fermo. Giorgia si riposa (un po’), Lega&FI scalpitano.

La situazione, del resto, è quello che è. Delicata, molto delicata. E non solo per il difficile, difficilissimo, puzzle della composizione della squadra di governo su cui Meloni sta lavorando, senza riuscire, però, ancora a trovare la ‘quadra’.

Giorgia Meloni – che ieri si è presa una giornata di (semi) riposo, restando a casa sua, invece di andare in ufficio (Montecitorio e via della Scrofa) – stringe i tempi per definire la squadra del nuovo governo, annuncia un incontro con Berlusconi e Salvini, con quest’ultimo che insiste per il Viminale “dove ha fatto un lavoro indiscutibile”, fanno sapere fonti leghiste come a rimarcare che il titolare degli Interni possa essere solo lui e che “nessun veto” potrà essere messo sul suo nome (alle brutte, ci penserà il Capo dello Stato, ecco).

Il leader del Carroccio, da quel di Saronno, si inventa – e si prenota pure – un ‘nuovo’ ministero che ha ribattezzato “della Famiglia e della Natalità”, una cosa da ventennio mussoliniano che, per dire, a quelli di Fratelli d’Italia verrebbe mai in mente di chiamare così, anche perché la Meloni – che, pure, a incrementare la natalità e aiutare le giovani madri ci pensa, e seriamente – taglierebbe loro la testa (o la gola, a seconda).

Inoltre, tra FdI e FI, è scontro al fulmicotone sul posto da dare alla ‘badante’ del Cavaliere, Licia Ronzulli, che agogna di andare a ricoprire il ruolo di titolare alla Salute, ma Meloni nicchia: la Ronzulli sarebbe troppo ‘fanatica’, cioè pro-vax.

Il fronte interno: gli alleati che puntano i piedi e la prima partita: la presidenza delle Camere

La premier pre-incaricata si trova, infatti, a dover combattere su ‘due fronti’, il che – insegna ogni buon stratega militare – è un errore capitale. Quello, per capirsi, commesso da Napoleone e Hitler che combattevano, in contemporanea, sul fronte occidentale e su quello orientale (russo).

C’è il fronte interno che l’ha messa in rotta di collisione con Draghi, come vedremo bene poi. E ci sono gli alleati che, del suo ‘volare alto’, di volere una squadra fatta di tecnici e di competenze, se ne infischiano. Reclamano per sé quel riconoscimento e visibilità per rimanere a galla e non venire diluiti nel “governo Meloni”.

I più ottimisti parlavano di un vertice congiunto tra i tre leader alla fine di questa settimana, ma non ci sarà ed è molto improbabile che si tenga anche durante questo weekend. Con Matteo Salvini e Silvio Berlusconi ci si vedrà probabilmente a ridosso dell’elezione dei presidenti delle Camere, tra martedì e mercoledì 11 e 12 (la prima riunione delle Camere è fissata per il 13), cioè sul filo di lana per chiudere una partita, quella della presidenza delle Camere, che avrà ovvi riflessi sulla forma dell’esecutivo.

L’idea di una gestione ‘ecumenica’ della partita istituzionale, cioè la proposta di lasciare una delle due presidenze all’opposizione, sembra al momento definitivamente archiviata, sommersa dai veti degli alleati e pure di parlamentari di FdI che dicono cose come: “Lo candidassero pure, ma il mio voto non lo avrà”. Viceversa, è rimasta, robusta, in pista l’idea di due vicepremier, una sorta di passe partout per un Palazzo Chigi che, però, vorrebbe dire ‘cinturare’ la premier con due figure ‘politiche’ assai ingombranti, forse troppo, e cioè proprio i due leader di Lega e FI, Salvini e Tajani, che rischierebbe di farle fin troppa ombra.

“Non ci dormo la notte”, dice lei. “Vogliamo questo e vogliamo quello” dicono gli alleati…

In un palazzo strategico, palazzo Chigi, dove Meloni pensa a persone di strettissima fiducia per i ruoli chiave di sottosegretario alla presidenza del Consiglio e di delegato ai Servizi segreti. E qui i nomi sono quelli di Fazzalari, Crosetto, etc.

“È un appuntamento con la storia, non ci dormo la notte”, ha confidato la leader ai suoi più stretti collaboratori. Non c’è stata gioia nella vittoria, nessun festeggiamento “per rispetto al momento che sta vivendo il Paese”, come detto, ma forse non pensava nemmeno a tali tormenti.

Salvini che rivendica una poltrona cui gli è già stato ampiamente detto no, quella del ministero degli Interni. Forza Italia che pretende che, oltre a Antonio Tajani, un posto di peso lo abbia anche Licia Ronzulli, che punta alla Sanità.

Ma, per il dopo-Speranza, Meloni ha in mente una figura tecnica di alto profilo, sulla salute collettiva non vuole cedere il fianco a ideologie, a un ulteriore scontro tra rigoristi e aperturisti, e pensa a Francesco Rocca, presidente del Comitato nazionale della Croce Rossa Italiana.

Nelle ultime ore, però, qualche apertura è arrivata da via Bellerio. Timidi segnali che Salvini, ove mai ‘godesse’ del ruolo di vicepremier, potrebbe “accontentarsi” di un ministero che non sia il Viminale. Ma la “partita di scambio” mira alle Infrastrutture, uno dei portafogli più pesanti, all’Agricoltura e/o allo Sviluppo economico. Insomma, il Carroccio – per l’eventuale passo indietro – reclama un ‘pienone’ di troppi dicasteri.

Sul nome di Ronzulli, poi, potrebbe esplodere il prossimo caso. All’Esecutivo nazionale, Meloni ha spiegato che non si farà “imporre nomi che non siano all’altezza della situazione, il governo non sarà composto per risolvere beghe interne di partito o proponendo qualsiasi nome o per rendite di posizione”. Molti di FdI l’hanno interpretato come un messaggio a Berlusconi, non a Salvini.

Lunedì prossimo, la presidente di FdI riunirà tutti i suoi parlamentari, vecchi e nuovi, un appuntamento politico e ‘di partito’ importante: a loro ribadirà la volontà di costruire “un governo politico, forte e coeso, con un programma chiaro, un mandato popolare e un presidente politico”.

Ma, a una settimana dall’elezione dei Presidenti, il risiko sulle cariche istituzionali è ancora un gioco al buio. I nomi più gettonati: Ignazio La Russa e Roberto Calderoli per il Senato, Riccardo Molinari e Antonio Tajani per la Camera, sono ancora tutti in ballo, per aria, figurarsi il governo e il suo, frusto, ‘totoministri’. Poi, appunto, si è aperto anche il fronte ‘esterno’.

Le ‘ingerenze’ del governo francese sull’Italia. Le parole della Bonne e la replica della Meloni

Ieri, per dire, si è fatta sentire, dalle colonne di Repubblica (‘e come te sbaji?’, si dice a Roma), Laurence Boone, nuova ministra per gli Affari europei del governo francese, quello presieduto da Emmanuel Macron. “Vogliamo lavorare con Roma, ma vigileremo su rispetto diritti e libertà», dice la neo ministra: «È importante che il governo Meloni resti nel fronte europeo contro Mosca e in favore delle sanzioni», aggiunge la ministra, insistendo su «vigilanza e fermezza».

Traducendo dal francese all’italiano, vuol dire, né più né meno, che l’Italia è già una ‘potenziale’ Ungheria, quella governata da Viktor Orban, dove i diritti più elementari (stampa, pensiero, manifestazione, diritti delle persone Lgbt, etc.) vengono, e da anni, conculcate, con tanto di sanzioni (sostanzialmente inefficaci) della Ue.

Ora, va bene tutto, ma cosa e come si comporterà il governo Meloni, che deve ancora nascere, lo scopriremo ‘solo vivendo’, direbbe Lucio Battisti, ergo è assai faticoso e arduo poterlo dire oggi.

Ovvio che, in Italia, le sue parole non sono state accolte bene, né con gioia, e proprio da nessuno. Meloni si è molto risentita, e ne ha ben donde. Le sue parole, dettate mentre si sta prendendo un giorno di (semi) riposo dalle sue consultazioni, sono un sibilo di fiele: “inaccettabile ingerenza”.

Testualmente, la nota della premier in pectore recita: “Leggo su ‘La Repubblica’ che il ministro francese per gli Affari europei, Laurence Boone, avrebbe detto: ‘Vogliamo lavorare con Roma ma vigileremo su rispetto diritti e libertà’ e ‘saremo molto attenti al rispetto dei valori e delle regole dello Stato di diritto’. Replicando lo scivolone già fatto qualche giorno fa dal primo ministro francese Élisabeth Borne (si chiamano proprio così, con nomi e cognomi praticamente identici, ndr.). Voglio sperare che, come spesso accade, la stampa di sinistra abbia travisato le reali dichiarazioni fatte da esponenti di governo stranieri e confido che il Governo francese smentisca immediatamente queste parole che somigliano troppo a una inaccettabile minaccia di ingerenza contro uno Stato sovrano, membro dell’Unione Europea. L’era dei governi a guida Pd che chiedono tutela all’estero è finita, credo sia chiaro a tutti, in Italia e in Europa». Ecco.

Meloni, inoltre, esige la smentita dall’Eliseo, che puntualmente arriva, ma a buoi scappati dalle stalle: “Le frasi di Boone sono state semplificate, non vogliamo dare lezioni. La Francia rispetta la scelta democratica degli italiani”. Incidente chiuso? Per nulla, perché lascerà molti strascichi. Anche se pure il presidente Macron, in serata, sempre da Praga, dice: “Voglio esprimere tutta la mia amicizia e la mia piena fiducia nel presidente Mattarella e nelle conclusioni che trarrà dallo scrutinio delle elezioni in Italia”. Frase dalla lingua biforcuta: ha ‘fiducia’, ma in Mattarella. La Meloni, dall’elenco, per ora resta ‘esclusa’.

A farsi ‘girare le p.’ stavolta sono gli italiani: sia Mattarella che Draghi ergono un muro

Insomma, il governo Meloni non è neppure nato e già riceve pretestuose e inutili ‘bacchettate’ da Stati esteri, così importanti, come la Francia. Rovesciando l’adagio della famosa canzone di Paolo Conte (“E i francesi che s’incazzano, che le palle ancor gli girano”, scritta da Conte, all’epoca per la vittoria di Gino Bartali al tour de France del 1948, leggenda vuole che ‘acquietò’ le masse comuniste che, dopo l’attentato a Togliatti, volevano fare ‘la rivoluzione’ in Italia), agli italiani le ‘palle’ girano e pure parecchio.

Infatti, oltre alla Meloni (parte in causa) neppure altre importanti istituzioni l’hanno presa bene. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, avverte: “L’Italia sa badare a sé stessa nel rispetto della Costituzione e dei valori dell’Unione europea”. Secco, chiaro, conciso, si può dire ‘definitivo’.

E, al Consiglio europeo informale di Praga, in corso di svolgimento in questi giorni, il premier ancora oggi in carica, Mario Draghi, rassicura, provando a gettare acqua sul fuoco: “In Europa non c’è preoccupazione per il nuovo governo”. La politica estera del nostro Paese, aggiunge, “rimarrà invariata”. Anzi, Draghi dice di più: a esplicita domanda di un giornalista risponde che “Quando c’è un cambio di governo c’è molta curiosità, ma non preoccupazione. C’è rispetto della scelta degli italiani e curiosità di sapere quale sarà l’evoluzione del governo”. Morale, Draghi smussa e circoscrive, anche se in modo assai meno ‘netto’ e duro dello stesso Mattarella.

Gentiloni ‘rassicura’ sul Pnrr, Draghi si irrita

Intanto, il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni (ex premier del Pd) torna a parlare del Pnrr su cui nei giorni scorsi c’è stata polemica – poi rientrata – tra premier in pectore e premier uscente. “L’Italia ha raggiunto obiettivi in tempo” assicura il nostro commissario all’Economia. In più, arriva come ‘un sigillo’ (buonista), a metà pomeriggio, la dichiarazione di fonti della Commissione europea che conferma come “il Pnrr italiano proceda secondo quanto previsto”.

Ma il vaso di Pandora era già stato stappato, dopo le dichiarazioni sui “ritardi” che la Meloni aveva affidato ai suoi erano finiti sui giornali. Risultato: seria incrinatura nel proficuo dialogo instaurato, nelle ultime settimane, con Palazzo Chigi, altrettanti seri scricchiolii della fiducia che la leader di Fratelli d’Italia ripone nel poter parlare liberamente, persino con la classe dirigente di FdI. Quando, l’altro ieri, arriva alla Camera per la solita girandola di incontri sulla squadra e sui dossier la premier in pectore cerca di raffreddare la polemica, spiegando che “non c’è nessuno scontro con Mario Draghi”, che “nella Nadef c’è scritto che entro la fine dell’anno noi spenderemo 21 miliardi dei 29,4 che avevamo” e che, quindi, “con spirito costruttivo”. Semplicemente, sostiene che “dobbiamo fare ancora meglio”. Quel che trapela da Bruxelles è come una beffa che si aggiunge al danno, senza contare che Draghi si è molto irritato anche per un’altra cosa trapelata dall’Esecutivo nazionale di FdI, la scelta di non andare al vertice europeo del prossimo 20 ottobre sia perché sarebbe una forzatura sia perché, però, “sarà un fallimento”.

Le “mille trappole” che ha davanti la Meloni e ‘l’arma fine di mondo’ davanti a Mattarella…

“È per questo che ci serve la squadra migliore possibile”, avrebbe confidato Meloni, dopo aver avvertito i suoi più stretti collaboratori che asciugherà fino allo stretto necessario le ‘comunicazioni’, persino quelle con i suoi. Il labirinto che porta alla stanza dei bottoni è tortuoso e impervio di suo, ma l’evidenza che lo sia si è rivelata brutalmente, nelle ultime ore.

Al punto che sempre la Meloni avrebbe spiegato ad alcuni suoi interlocutori che se questo gioco al rialzo dovesse continuare non escluderebbe l’ipotesi di presentarsi al Quirinale con quella che ritiene la miglior lista possibile di un governo di centrodestra, “poi in Parlamento si vede”… Il che vorrebbe dire che Lega e FI, davanti a una squadra di ministri non graditi, si dovrebbero ‘accollare’ loro l’onore e l’onere di ‘non’ votare, al governo Meloni, una piena e assoluta fiducia.

Una vera e propria ‘arma da Fine di Mondo’ che getterebbe il Paese nel caos istituzionale della scorsa legislatura, quella post-elezioni 2018, quando ci vollero ben tre mesi per fare il governo.

Eppure, non sarebbe certo quello che ha detto a Sergio Mattarella, con cui – spiegano – negli scorsi giorni c’è stato un primo contatto, una telefonata. Sui contenuti il riserbo è massimo, ma che la Meloni e Mattarella – e ormai da mesi – si sentano e si confrontano, proprio come hanno fatto, per mesi, la Meloni e Draghi, è un segreto ‘di Pulcinella’ cui, ormai, non crede più nessuno, almeno nei Palazzi della Politica che contano.

È un gioco di specchi, bluff e ritirate strategiche, quello in atto. Tutti pensano a un punto di caduta a portata di mano, ma nessuno che sembra lavorarci seriamente o fa mezzo passo indietro.

“È in grande difficoltà”, sussurrano tra gli scatoloni, ormai pronti per il trasloco, i più fidati collaboratori di Draghi a Palazzo Chigi, sorpresi dalle ruvide parole di ieri dopo giorni di collaborazione, cercando di interpretare i perché dell’attacco, della palese “sgrammaticatura”.

Forse, Giorgia Meloni, è solo ‘un po’ stanchina’, come diceva Forrest Gump dopo una lunga corsa. In questi giorni si riposerà. Lunedì il verdetto. E arriverà davanti alla massima assise del partito. Poi, passerà agli alleati. Infine davanti gli italiani.

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