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Recriminare non è una linea politica 

24
Febbraio 2025
Di Daniele Capezzone

Abbondano da Bruxelles a Parigi, passando per Berlino e anche per Roma i professionisti della recriminazione, esercizio invariabilmente praticato contro Donald Trump, il suo vice J.D. Vance, e naturalmente la tecno-bestia nera Elon Musk. 

Ogni giorno una lamentazione, un’invettiva, una presa di distanza etica, una scomunica politica, un richiamo storico, con abbondanti quanto sbilenchi parallelismi tra gli Anni Venti del secolo scorso e il nostro tempo. 

Lasciando da parte il contenuto di queste critiche (o spesso di queste lagne), mancano sempre all’appello un paio di ingredienti che non dovrebbero mai essere assenti in una buona cucina politica. 

Per un verso, una lucida autocritica: ammesso e non concesso che il quadro odierno sia davvero catastrofico, l’Ue non ha proprio nulla da rimproverarsi al riguardo? Le cancellerie europee sono convinte di essersi ben comportate in tutti gli snodi decisivi dell’ultimo quindicennio (crisi finanziaria, crisi greca, crisi migratoria, Covid, guerra tra Russia e Ucraina, crisi in Medio Oriente)? Se oggi l’Ue è regolarmente fuori partita su tutto, è solo colpa di altri? 

Per altro verso, una seria e tempificata iniziativa politica. Quanto intende stanziare per la sua stessa difesa l’Europa? Quanti uomini, quanti mezzi, quanto denaro? C’è la possibilità (almeno teorica) di dire a Washington che il Vecchio Continente sa badare a se stesso? O invece la riserva mentale è sempre quella di tenere grandi discorsi, salvo però rivolgersi a Washington al momento di passare alla cassa? 

In mancanza di questi elementi, il dibattito istericamente anti-trumpiano di queste settimane assumerà i contorni di un patetico vaniloquio.