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Verso un futuro di deindustrializzazione per l’Italia?

14
Ottobre 2024
Di Daniele Capezzone

Si percepisce qua e là una sorta di leggerezza rassegnata nelle reazioni alla non brillante performance in audizione parlamentare di Carlos Tavares.

Come se il consueto mix di promesse vaghe (e statisticamente non mantenute), di pompose descrizioni di scenari, e di spropositate richieste di ulteriori sostegni pubblici, fossero qualcosa non solo di prevedibile ma, in ultima analisi, di “atteso”. 

E invece no, non può essere così. Non c’è solo – sotto i nostri occhi – lo spettacolare e pericolosissimo collasso di un ex colosso dell’automotive, purtroppo ben rappresentato dalla mediocrità del manager franco-portoghese. C’è molto di più: c’è un concreto rischio di deindustrializzazione dell’Italia

Troppi sembrano accettare questa sciagura con spirito fatalista, allargando le braccia o facendo spallucce. Ma sarebbe una catastrofe. Certo che l’Italia ha anche altre risorse, dai servizi in generale al turismo in particolare: e c’è ovviamente da esserne fieri.

Ma non possiamo ridurci alla dimensione di un enorme villaggio vacanze, di un parco a tema per turisti. Lo sviluppo e la crescita italiana si sono anche storicamente appoggiati a un solido pilastro industriale che oggi appare invece sempre più fragile (e trascurato). 

A meno di ritenere, come sostenne qualcuno, che a Taranto al posto dell’Ilva ci si sarebbe potuti dedicare alla mitilicoltura. L’atroce frase ci strappò un sorriso, e illuminò il livello di un pezzo non irrilevante della presunta “nuova” classe politica qualche anno fa. Ma avrebbe dovuto farci mettere le mani nei capelli. Altro che ridacchiare.