Politica

Italia al voto col Rosatellum, i trucchi di un sistema ibrido. Vincerà il centrodestra?

23
Luglio 2022
Di Ettore Maria Colombo

NON SI VOTAVA, D’AUTUNNO, DAL 1919
Si vota in autunno, per la prima volta, nella storia d’Italia, anche se sarà un autunno ancora ‘caldo’, ma solo dal punto di vista atmosferico, il 25 settembre. Non succedeva dal… 1919, cioè non solo prima dell’era repubblicana, ma anche prima del ventennio fascista (1925-1943). E fu un’eccezione pure quella, visto che, subito dopo, nel 1921 e poi nel 1924, si votò sempre a maggio. Unico altro precedente il… 1865, pieno regno Sabaudo, quando solo la Camera era elettiva, mentre il Senato di nomina regia, come nel 1919, quando però – almeno quello! – venne introdotto il suffragio universale. Solo maschile, si capisce, per quello femminile tocca attendere fino al 1946 e alle elezioni per l’Assemblea costituente… Ma, al netto dei corsi e ricorsi storici (altro particolare molto divertente il fatto che, alle elezioni del ’19, vinsero in tre: socialisti, popolari e liberali giolittiani il che rese il Parlamento ingovernabile, proprio come nel 2018, anche perché, pur con un proporzionale, c’erano i collegi uninominali…), resta il punto. Si faranno le elezioni più ‘pazze’ del mondo, si vota il 25 settembre, e sarà uno spasso. 

CHI VINCERÀ LE PROSSIME ELEZIONI?
Si vota, va bene, ma chi le vincerà le prossime elezioni? Ecco una domanda dalle cento pistole che mette in crisi anche i più ferrei conoscitori di sistemi elettorali. Secondo tutti i sondaggi (si guardi la super-media di Youtrend-Agi pubblicata da poco, il 21 luglio, ma che, ovviamente, si riferisce a giorni precedenti e che raccoglie le stime di diversi istituti di sondaggi: Euromedia, Piepoli, Tecné, Swg, praticamente tutti…) il centrodestra è in netto vantaggio sul centrosinistra. Sta al 46,6%, sommando le prime tre forze: FdI (22,8%) – Lega (14.4%) – FI (8,4%), ma senza contare gli alleati minori, Udc e Noi con l’Italia, che ci sono e un 2-3% lo portano. Il che vorrebbe dire 48-49,6%…

Il centrosinistra, invece, è fermo al 28%, pur sommando tutte le sue frastagliate ‘anime’ (Pd al 22,1% -Articolo 1 all’1,9% -SI all’1,8% -Verdi al 2,2% con questi ultimi due che andranno insieme, in una ‘bicicletta’ rosso-verde, quotata al 4%). Poi, M5s al 10.8%, Azione-+Europa al 4,9%, Iv 2,7% (sommati, solo questi due, farebbe 7,6%), Ipf (Di Maio) non quotato, ala liberal ‘draghiana’ ex di FI men che meno, polo della sinistra ultra-radicale (De Magistris, PaP, Prc, Pc, etc) neppure. Fanalino di coda, Italexit di Paragone al 2.6%. 

E L’ASTENSIONE? I DUBBI DI FORNARO
I problemi che pongono queste stime sono tre. Come spiega bene un ‘mago’ di sistemi elettorali, il capogruppo di LeU, Federico Fornaro, “nessun sondaggio conta mai gli astenuti: i votanti, alle Politiche 2018, furono il 72,5%, ma credo che, stavolta, saranno molti meno, intorno al 65-68%. Poi, il M5s, dal 33% ora è al 10%. A chi vanno i voti da loro persi? E gli astenuti ‘intermittenti’ (che Fornaro distingue, giustamente, da quelli ‘cronici’, che, ormai, quando si vota non vanno proprio alle urne), i quali, all’ultimo, decidono di votare, che fanno?”. 

Un bel problema che gli istituti di sondaggio – che, peraltro, vanno ancora avanti con telefonate a ‘numeri fissi’ che nessuno ha più, in casa, e ‘non’ ai telefoni cellulari per ragioni di privacy – non riescono, minimamente, ad oggi a rilevare. Certo, sarà compito della campagna elettorale, e della competizione tra partiti, ‘invogliare’ gli elettori, specialmente gli astenuti (storicamente più forti nel campo del centrodestra e del M5s, meno nel ‘tradizionale’ bacino del centrosinistra), a tornare alle urne, ma non sarà un impresa facile. 

I PROBLEMI DI SCELTE ‘POLITICHE’
Il secondo tema è tutto politico. Stabilito, infatti, che quando si vota il centrodestra si presenterà in forma coesa e che, quindi, massimizzerà il risultato elettorale (cioè la trasformazione di voti in seggi), il ‘grosso guaio’ è tutto ‘a casa’ del campo di centrosinistra. Il ‘dialogo’, in corso, tra centrosinistra e centristi quali risultati porterà? Le alleanze cambieranno? Dato per assodato che il ‘campo largo’ è, ormai, defunto, come dice, in coro, l’intero Pd, ma anche che la ‘sinistra radicale’ (LeU, rosso-verdi, etc.) verrà ricompresa nell’alleanza dei ‘Progressisti’ (si parla già di un simbolo ‘nuovo’, per il Pd: un compromesso tra logo Pd e scritta Progressisti) sarà possibile, o meno, un accordo con i centristi? Questa scelta, tutta politica, cambia l’intera scena, comprese le simulazioni, sempre di Youtrend, che puntano a trasformare i voti presi in relativi seggi. 

LE SIMULAZIONI YOUTREND SUL VOTO
Nelle simulazioni di Youtrend, infatti, si leggono tre scenari, ma solo uno è, oggi, quello ‘realistico’ e che, cioè, può realizzarsi sul piano politico. Il primo scenario è quello che vede l’alleanza Pd-5s (che, ormai, non esiste più in natura…) dover fronteggiare un centrodestra unito. Alla Camera, il centrodestra conquisterebbe 221 collegi (97 uninominali e 124 plurinominali), al Senato 108 (46 uninominali e 62 plurinominali), ottenendo una larga maggioranza in entrambe le Camere. Contro, i ‘giallorossi’ prenderebbero 149 collegi alla Camera (48 uni e 101 pluri) e 76 al Senato (25 uni e 51 pluri). Infine, il centro (Azione-Iv) ne otterrebbe 19 alla Camera e 9 al Senato, ma solo nei collegi plurinominali, cioè proporzionali. Nel secondo scenario, sempre di Youtrend, ci sarebbe un’alleanza – questa sì, possibile – tra il Pd-Progressisti e i centristi (Azione-Iv-Ipf-Cd) contro un centrodestra sempre unito. In questo scenario, disastroso per il centrosinistra, il centrodestra otterrebbe 118 seggi alla Camera (27 uni e 91 pluri) e appena 56 seggi al Senato (12 uni e 44 pluri) contro un centrodestra in formato ‘macchina da guerra’ che otterrebbe 240 seggi alla Camera (116 uni e 124 pluri) e 122 al Senato (59 uni e 63 pluri). Una vittoria nettissima, cioè, con il M5s che, da solo, racimolerebbe appena 31 collegi alla Camera e 15 al Senato, tutti solo pluri. Nel terzo scenario, anche questo politicamente improponibile, un centrosinistra formato ‘maxi’, cioè comprendente sia i centristi che il Pd e i 5s, affronterebbe un centrodestra che, sempre unito, avrebbe, però, qualche difficoltà a governare. Infatti, a fronte dei 202 seggi del centrodestra alla Camera (78 uni e 124 pluri) e dei 99 seggi Senato (38 uni e 61 pluri), il che vorrebbe dire che, sia pur per un soffio, non avrebbe la maggioranza, specie al Senato, un campo ‘larghissimo’ di csx avrebbe 187 seggi alla Camera (67 uni, 120 pluri) e 94 al Senato (33 uni e 61 pluri). Del tutto inutili per poter governare, ma un ostacolo per gli altri. Ricordato che, in tutte le simulazioni Youtrend, vanno altri (pochi, sempre i soliti) seggi alla Svp, in Trentino Alto-Adige, e a nessun altro partito, e che i seggi Estero sono sempre quattro al Senato e otto alla Camera, ripartiti in modo proporzionale, resta tutto in piedi il problema ‘legge elettorale’. 

SI VOTA CON IL ROSATELLUM, LEGGE ‘BASTARDA’…
E sì, perché il terzo problema, non di poco conto, è la legge elettorale con cui si vota, il Rosatellum. Il Rosatellum si chiama così perché il relatore della legge, varata nel 2017, era Ettore Rosato, allora capogruppo del Pd e oggi numero 2 di Renzi in Iv) è una legge elettorale che Letta ha definito “la peggiore legge elettorale della storia”. Ora, il giudizio del segretario dem è ingeneroso. A differenza del ‘Porcellum’ o ‘Calderolum’, varato nel 2005, con cui si è votato nel 2006, nel 2008 e nel 2013, e dell’Italicum (varato nel 2015, mai entrata in vigore, un altro unicuum), il Rosatellum, con cui si è votato (Politiche 2018), non è mai stato dichiarato incostituzionale, in tutto o in parte, dalla Consulta. Certo è che il Rosatellum è un sistema ‘bastardo’ perché si compone di un mix tra un 2/3 di collegi plurinominali proporzionali (il 61% del totale) con liste bloccate e un terzo di collegi uninominali maggioritari dove vince chi prende un voto in più (il 37% dei seggi). In più, c’è un 2% di seggi delle circoscrizioni all’Estero, assegnati con metodo proporzionale. È pure un sistema ‘infingardo’, un mix micidiale, il Rosatellum, che può determinare la vittoria di una coalizione in modo larghissimo, o anche per un pugno di voti, che si trasformano in molti più seggi grazie a una spinta molto ‘polarizzante’. Una spinta ‘polarizzante’ che deriva da tre fattori: 1) la presenza dei collegi maggioritari uninominali, detti all’inglese, che funzionano secondo la logica del first past the post (“il primo oltre il palo”, termine coniato alle corse ippiche); 2) la soglia di sbarramento al 3% per tutti i partiti, che sembra bassa, in apparenza, ma che, in realtà, è difficile da superare quando si vota. E per tre ordini di motivi: 1) i collegi rispondono a una logica bipolare (‘bi-polarizzano’ la competizione), come già detto; 2) i collegi, come vedremo, sono diventati abnormi; 3) i voti delle liste che non arrivano al 3%, ma hanno preso almeno l’1%, vengono ‘ceduti’, cioè redistribuiti, ai partiti più grandi: a quelli della loro coalizione, se fanno parte di una coalizione. Poi, in modo proporzionale, a tutti gli altri, se liste singole, mentre vengono ‘buttati’, neppure contabilizzati se finiscono sotto la soglia dell’1%. 

L’EFFETTO TAGLIO SU PARLAMENTARI

L’altro effetto polarizzante del sistema elettorale non è ‘figlio’ del Rosatellum, ma della ‘riforma’ che ha ridotto il numero dei parlamentari. Un taglio secco di 345 unità (-230 alla Camera e -115 senatori elettivi al Senato, esclusi i sei a vita) che non porterà solo a eleggere ‘appena’ 400 deputati e 200 senatori, rispetto ai 945 cui siamo abituati, ma che aiuta i grandi partiti e penalizza i piccoli, ampliando a dismisura i collegi elettorali, specie al Senato, dove la ripartizione è su base regionale. 

Per dire, quattro regioni (Friuli, Basilicata, Abruzzo e Molise) eleggeranno un solo senatore. Il che rende molto difficile conquistare i collegi uninominali non solo per chi ha numeri bassi (inferiori al 30% dei voti), ma anche per chi, come il centrosinistra, non gode di un voto omogeneo nelle marco-aree del Paese, come il centrodestra, ma confinato alle sole regioni rosse. 

Dove, secondo le stime che ha in mano il Pd (stime disastrose), i Progressisti potrebbero strappare, al massimo, 20 collegi, alla Camera e, forse, una decina al Senato. Una vera debacle…

Ma per l’M5s, che, alle Politiche del 2018, fece il botto con il 33% dei voti, i collegi saranno zero. E pure i centristi non si capisce in quali zone possano ‘pescare’ i voti per trasformarli in seggi, tranne che, ovviamente, nella parte proporzionale. 

Certo, il Rosatellum ha fallito la sua prima prova, nel 2018, ma solo perché ne uscì una tripartizione (centrodestra, centrosinistra e M5s), ma, ad oggi, l’effetto tri-polarizzante è difficile che si ripeta. In buona sostanza, allarga le braccia Fornaro, “se una coalizione ottiene il 45-46% dei voti arriva al 58% di seggi, col 48% prende il 62% di seggi”. Coalizione, a oggi, con un sol nome: centrodestra. 

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