Esteri
Israele: un anno dopo, più i rischi di un allargamento del conflitto che le speranze di pace
Di Giampiero Gramaglia
Un anno dall’orrore dell’alba tragica del 7 ottobre 2023: 1200 israeliani uccisi, uomini, donne, bambini, e oltre 250 presi in ostaggio da terroristi di Hamas e di altre sigle palestinesi; e, dopo, l’anno di guerra nella Striscia di Gaza, più di 41 mila vittime palestinesi, soprattutto donne e bambini, e centinaia di militari israeliani caduti. Morti e devastazioni, lutti e dolori, anche altrove: in Cisgiordania, in Libano, in Iran, tra Yemen e Mar Rosso.
Un conflitto senza sbocchi: la soluzione della ‘questione palestinese’, e anche solo il futuro assetto della Striscia di Gaza, non sono più vicini oggi che un anno fa; e, anzi, la prospettiva più immanente è quella di un allargamento delle ostilità su scala regionale, con l’inasprirsi dello scontro tra Israele e Iran. Le ultime notti sono trascorse nell’angosciosa attesa di una risposta israeliana all’ultimo velleitario attacco iraniano.
I media ricordano l’anniversario con toni e modi diversi. Le istituzioni internazionali celebrano i riti della loro impotenza a dare una risposta ai problemi e anche solo a fare cessare la carneficina in atto da un anno. Quella dell’Onu è manifesta dall’inizio della crisi ed è stata sciorinata sotto gli occhi del Mondo a fine settembre, quando la sfilata di leader all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite se, al solito, ridotta a una sequela di discorsi non connessi l’uno all’altro e sterili. Quella del G7, sotto presidenza di turno italiana, emerge dalla riunione convocata d’urgenza la scorsa settimana e risoltasi in appelli e moniti, mentre l’incontro dei ministri dell’Interno segnalava il rischio crescente di attacchi terroristici a causa dei conflitti globali.
Il New York Times offre una prospettiva statunitense. Forse per indorare la pillola dell’inefficacia e delle indecisioni della diplomazia ‘a stelle e strisce’, scrive che prima delle elezioni presidenziali del 5 novembre le guerre, dal Medio Oriente all’Ucraina, andranno aggravandosi, senza però sfociare nella Terza Guerra Mondiale – e, su questo almeno, speriamo che abbia ragione -. Politico, nella sua versione europea, sottolinea che il conflitto e l’anniversario espongono alla luce del sole “le divisioni dell’Europa”, oltre che l’impotenza. Quando il presidente francese Emmanuel Macron invita i governi a smetterla di vendere armi d’attacco a Israele, la proposta trova qualche eco positiva, ma non significativa.
Al Jazeera si limita alla cronaca, che è quella di uno qualsiasi di questi 365 giorni senza pace: Hamas spara razzi verso Israele e le sirene che suonano per l’anniversario si mescolano a quelle che danno l’allarme; Israele conduce raid aerei e operazioni di terra nella Striscia, bombarda la periferia di Beirut ed espande l’offensiva di terra nel Sud del Libano; e tiene sotto scacco Teheran garantendo ritorsioni.
L’Ap racconta la storia la storia di Ali Al-Tawil, un bimbo palestinese nato il 7 ottobre nella Striscia di Gaza: per la sua famiglia, è stato un anno zeppo di paure, ansie e incertezze, costretti a spostarsi da un luogo all’altro fra diffuse distruzioni e con pochi mezzi. La mamma, Amal Al-Tawil, ammette: “Gli avevo preparato una vita ben diversa, molto dolce… La guerra ha cambiato tutto…”.
Scrive nei suoi Appunti Stefano Feltri: “Il massacro di Hamas ha innescato una catena di violenze tra persone che non si conoscono più: i cittadini di Gaza, gli israeliani, gli studenti che protestano nei campus americani” e nelle città italiane ed europee. Nuovi crinali dividono le nostre società, dove riaffiora uno spettro del passato, l’antisemitismo, e dove diventa assurdamente difficile tenere distinta la critica – legittima e giustificata – all’operato di un governo oltranzista, quello del premier Benjamin Netanyahu, che – dice – “fa la guerra per preparare la pace” da atteggiamenti settari e razzisti nutriti di odio e di violenza.
Israele allarga i suoi fronti di guerra, dalla Striscia, da dove in un anno non ha eradicato Hamas e dove non ha neppure offerto un’ipotesi di assetto per il futuro, alla Cisgiordania, dove le tensioni sono endemiche e le violenze spesso letali, da parte dell’esercito e dei coloni, al confine col Libano e oltre e all’Iran e ai suoi accoliti, nello Yemen e in Siria.
E il Washington Post ricostruisce i retroscena delle operazioni di intelligence che hanno predisposto e reso possibili le stragi dei teledrin e dei walkie-talkie che a metà settembre con migliaia di vittime hanno preceduto il colpo mortale al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. I congegni erano stati progettati e montati in Israele, con un sistema che richiedeva che, per rispondere, la persona tenesse l’apparecchio con le due mani, così da massimizzare i danni provocati dalla loro esplosione.
In questo contesto, è ipocrita scandalizzarsi di fronte all’ipotesi che l’Iran, umiliato dall’uccisione del leader di Hamas a Teheran Ismail Haniyeh, e dopo i colpi inferti ai suoi alleati, valuti se dotarsi dell’atomica, dopo che, nel 2015, si era impegnato a rinunciarvi, con un accordo sottoscritto da Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia e Cina e riconosciuto dall’Onu e dall’Ue, ma poi denunciato nel 2017 dall’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Di fronte agli atteggiamenti a tratti irresponsabili e sconcertanti, a tratti remissivi e inconcludenti, della comunità internazionale, le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno spessore e profondità.
Mattarella mette tra le priorità, dopo avere rimarcato la vicinanza a Israele e la “ferma condanna” per il “barbaro attacco”, l’immediata liberazione degli ostaggi di Hamas e l’urgenza di sottrarre la popolazione di Gaza alla guerra e il raggiungimento di una definitiva soluzione negoziata tra Israele e Palestina che preveda la creazione di due Stati sovrani e indipendenti.
“Ciò è indispensabile – sostiene il capo dello Stato – per garantire pace e sicurezza durevoli ai due popoli e all’intera regione e per evitare che l’ostilità, l’avversione e il risentimento accumulatisi in questi mesi producano in tutto il Medio Oriente nuove e sempre più drammatiche esplosioni di violenza. È una responsabilità che, se compete, in primo luogo, a israeliani e palestinesi, deve vedere attivi tutti i popoli amanti della pace, affinché l’orrore del passato non si ripeta”.
“In questo anno – riflette il presidente – gli effetti di quella tragedia si sono moltiplicati, investendo incolpevoli popolazioni dell’intera area, mentre si diffondono gravi e inaccettabili recrudescenze di sentimenti di anti-semitismo, da condannare e contrastare con determinazione”.
Da qui il sostegno convinto dell’Italia al diritto di Israele alla propria esistenza in pace e sicurezza e alla difesa dagli attacchi, nel rispetto del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario. L’obiettivo immediato è il raggiungimento di un cessate-il-fuoco per porre un termine alla sequela di orrori che si sono susseguiti dal 7 ottobre 2023 ad oggi e scongiurare l’allargamento del conflitto. Prospettiva – osserva Mattarella – che gli accadimenti recentissimi rendono purtroppo vicina e concreta.