Politica
Il Parlamento “ridotto”. Cosa cambia nei gruppi e nelle commissioni di Camera e Senato
Di Pietro Cristoferi
Oggi si apre la XIX legislatura e si presenta, già dal suo esordio, con tutta la specialità del nostro sistema bicamerale, paritario, perfetto. Al Senato la maggioranza, e con essa il Governo che sarà guidato nelle prossime settimane da Giorgia Meloni, si reggerà su una dozzina di senatori del centrodestra. Numeri certamente non imponenti ma sufficienti almeno a dare l’avvio a questa legislatura. Preme sottolineare che il Senato è l’unico ramo del Parlamento ad aver attuato una riforma organica alla luce della riduzione del numero dei parlamentari: sono state riunite le materie in alcune commissioni il cui numero è passato da 14 a 10 ed è stato ridotto il numero minimo per formare un gruppo parlamentare da 10 a 6. I membri delle Commissioni dovrebbero passare dai 23-25 a 20 per ognuna delle 10 commissioni. Gli equilibri per la maggioranza dovrebbero essere rispettati anche grazie al fatto che il regolamento del Senato prevede esplicitamente che la distribuzione dei senatori per Commissione deve comunque rispecchiare il rapporto tra maggioranza e opposizione.
Alla Camera nessuna modifica è stata fatta al regolamento e quindi sono rimaste le procedure di Montecitorio a quota 630 deputati. Tutto tace, ma forse sarà proprio nei primi giorni di insediamento che si deciderà di armonizzare il regolamento della Camera a quello del Senato. Qui per effetto della modifica costituzionale voluta dai 5 stelle nella precedente legislatura si sono ridotti i parlamentari, ma non è stato ridotto il numero di commissioni, quello dei componenti degli altri organi di Governo della Camera (giunta per il regolamento, giunta per autorizzazioni ecc.) e soprattutto non è stata ridotta la soglia per la creazione dei gruppi parlamentari ancora ferma a 20 componenti.
Su quest’ultimo tema il nuovo Presidente della Camera potrebbe decidere di procedere in deroga, concedendo di costituire il gruppo parlamentare alla lista Verdi/Sinistra Italiana che conta 13 deputati e a Noi Moderati che ne conta 7, come peraltro è accaduto più volte al Senato nella scorsa legislatura.
La maggioranza potrebbe reggere, ma al Senato è pur sempre sopra per 12 volenterosi senatori del centrodestra; numeri che sono solidi, ma che potrebbero assottigliarsi qualora vi fossero fibrillazioni nell’alleanza. Questa possibilità spiega l’insistenza di Giorgia Meloni nell’evitare che all’interno del Governo vi siano troppi esponenti parlamentari provenienti dal Senato. La ragione infatti è duplice: un primo aspetto è che con molti senatori nel Governo, tra ministri e sottosegretari, il rischio è quello di svuotare la maggioranza di membri del Parlamento; la seconda riguarda anche la qualità del lavoro parlamentare che rischia di essere messo sotto pressione dalla necessità di trovare dei sostituti che operino su più commissioni parlamentari al posto dei membri che occupano caselle governative.
Del resto neanche il Governo Draghi, il più ampio come consenso in Parlamento della storia repubblicana, è stato sempre rigido sulla tenuta delle file dei partiti di maggioranza e infatti ci sono stati casi in cui “è andato sotto”; si ricordi ad esempio il tema del dibattito sul catasto oppure da ultimo il caso, anche se il governo era già sfiduciato, dell’emendamento per togliere il tetto ai dirigenti apicali di Pubblica Amministrazione e Forze dell’Ordine nel Dl Aiuti-bis su cui l’esecutivo era fortemente contrario.
Almeno in questo avvio di legislatura la cabala dei numeri dimostrerà che la maggioranza è salda, ma Giorgia Meloni in fatto di numeri sa che la paura fa 90 e pertanto meglio correre ai ripari prima.