Politica

Il dopo Francesco: i dubbi sulla rotta della Chiesa e il toto-nomi per la successione

22
Aprile 2025
Di Giampiero Gramaglia

L’attenzione dei media di tutto il mondo cristiano – e non solo – è puntata su chi sarà il nuovo Papa e, soprattutto, su che direzione prenderà la Chiesa: se manterrà la rotta indicata da Francesco, vicino agli umili, per la pace, l’accoglienza, l’inclusione e la tutela dell’ambiente; o se la correggerà o addirittura la invertirà, orientando la prua su un ritorno alla tradizione.

Il Washington Post parla del pontefice scomparso come di “un globalista nell’era dei nazionalisti” e molti media Usa insistono sul fatto che l’ala conservatrice del cattolicesimo americano, prevalente fra i prelati, spinga per un papato che cambi rotta alla Chiesa e la riporti su percorsi più tradizionali rispetto a quella di Bergoglio.

Se tutti i media si dedicano al ‘toto-Papa’, le Monde preferisce analizzare i dossier che il successore di Francesco dovrà affrontare. “Dalla questione degli abusi sessuali alle guerre nella Striscia di Gaza e in Ucraina, i cardinali dovranno discutere, per una quindicina di giorni, prima del conclave, sui temi del momento, prima di concentrarsi sulle sfide a venire della Chiesa universale”. C’è pure da decidere come portare avanti i Giubileo, un evento sacro che, ogni 25 anni, accomuna i cattolici nel segno del perdono e del pellegrinaggio. Il nuovo Papa dovrà, fra l’altro, gestire e chiudere l’evento voluto e aperto da Francesco.

Papa Bergoglio lascia una Chiesa divisa, anche se il collegio elettorale del nuovo pontefice è formato per oltre i due terzi da cardinali da lui nominati (il che, però, non vuol dire a lui allineati). Le fonti citano cifre non sempre concordi: in Conclave, dovrebbero entrare 135 cardinali elettori, cioè al di sotto degli 80 anni, 108 dei quali sono stati scelti da Francesco, 22 da Benedetto XVI e cinque da Giovanni Paolo II.

I cardinali, in totale, sono oltre 250, ma gli ‘over 80’ non votando, pur potendo essere eletti. E’ un’incongruenza spesso sottolineata e che deriva, in parte, dall’allungamento della speranza di vita: i vescovi, raggiunta una certa età, ‘vanno in pensione’, i cardinali non sono più elettori, ma il Papa può essere eletto e continuare a governare la Chiesa senza limiti di età.

E c’è chi attribuisce ai cardinali la tendenza a non eleggere un Pontefice troppo giovane, per evitare papati che durino decenni, come fu il caso di Giovanni Paolo II, che divenne Papa a ‘soli’ 58 anni e che ha regnato per 27 anni, più del doppio di Bergoglio, salito al soglio a 76 anni e che ha regnato per poco più di 12.

Oltre che le convinzioni teologiche, dottrinali e liturgiche, un altro fattore importante, nel ‘risiko’ delle alleanze che contano per eleggere un Papa – bisogna trovare una maggioranza dei due terzi, cioè 90 voti -, è la geografia delle provenienze: fra gli elettori, gli europei sono 53 (di cui 16 italiani), gli asiatici 23, gli africani 18, i latino-americani 21, i nord-americani 16 e quelli dall’Oceania quattro.

Il Papa può non essere un cardinale, ma, da ormai quasi 700 anni, la scelta è sempre caduta su uno dei ‘principi della Chiesa’. L’ultimo non cardinale fu Urbano VI, il cui papato, nel XIV Secolo, fu segnato dallo scisma d’Occidente e dalla contesa – anche militare – con l’antipapa Clemente VII. Dei 266 Papi, 217 sono stati italiani, ma, oggi, il peso degli italiani nel collegio cardinalizio è molto ridotto, rispetto al passato.

Il che non impedisce di trovare alcuni nomi italiani fra i ‘papabili’ citati dai media internazionali, come il segretario di Stato Pietro Parolin, il presidente della Cei Matteo Maria Zuppi o il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Ciascuno di loro, come ciascuno degli altri favoriti, ha pro e contro; e nessuno tiene a essere citato, per via del fatto che “chi entra in conclave Papa ne esce cardinale”.

Certo, se il messaggio di Francesco risonasse fosse nel collegio elettorale, l’eletto potrebbe venire da una delle periferie del mondo cattolico che il papa scomparso amava visitare: un africano, come il ghanese Peters Turkson, che è però un uomo di curia, o il congolese Fridolin Ambongo Besungu; o un papa asiatico, come il filippino molto citato Luis Tagle.

Più difficile immaginare un altro sud-americano – c’è il brasiliano Jaime Spengler -; molto difficile ipotizzare un nord-americano, proprio perché i porporati nord-americani sono stati fra i più esposti nell’opposizione a Bergoglio e dovranno quindi cercare altrove un candidato che possa raccogliere voti non solo ‘anti-Francesco’ – un’opzione è l’ungherese Peter Erdo -.

E qui si può fare una considerazione non sorprendente, ma comunque avvilente, dal punto di vista dell’ipocrisia della politica. Fra i leader che più fanno l’elogio di Francesco o che almeno più gli tributano segni di omaggio esteriori, ci sono quelli che più lo hanno antagonizzato e più ne hanno osteggiato le posizioni e ignorato gli appelli, portavoce come sono di scelte d’esclusione e di odio.

Il presidente argentino Javier Milei, che in campagna elettorale gli diede dell’imbecille e lo bollò come il diavolo, proclama sette giorni di lutto nazionale. Il presidente Usa Donald Trump, le cui politiche sui migranti rappresentano l’antitesi dell’invito all’accoglienza di Bergoglio e il cui vice DJ Vance, un convertito, abbraccia il cattolicesimo più tradizionalista, sbandiera la volontà di essere al funerale: una presenza che Bergoglio certamente non desiderava, come non avrebbe mai voluto trangugiare il fiele della visita di Vance quasi in punto di morte.