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IA e sostenibilità: un equilibrio necessario per il futuro
Di Virginia Caimmi
Lo aveva annunciato la Premier Meloni alla Abu Dhabi Sustainability Week: «Dobbiamo essere pragmatici, semplicemente perché è la realtà che ci chiede di esserlo. Le stime ci dicono che la popolazione mondiale raggiungerà gli 8,5 miliardi entro il 2030 e che il PIL globale raddoppierà nel prossimo decennio. Ciò spingerà inesorabilmente al rialzo la domanda di energia, anche per il crescente fabbisogno richiesto dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa, perché algoritmi sempre più sofisticati e performanti richiedono quantità di energia sempre più imponenti. L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando ogni settore economico e sociale ma il suo sviluppo ha implicazioni significative per la sostenibilità».
La crescente domanda di energia necessaria per alimentare modelli sempre più complessi di IA è una sfida che va affrontata con pragmatismo. Il consumo energetico dei data center, già pari all’1% dell’elettricità globale, è destinato ad aumentare, ponendo ai governi di tutto il mondo interrogativi sulla reale compatibilità tra progresso tecnologico e transizione ecologica. La necessità di costruire un mix energetico equilibrato porta alla ridefinizione di una nuova diplomazia energetica. Non a caso, l’Italia ha di recente ospitato a Roma la prima riunione del Gruppo mondiale per l’energia da fusione promosso dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Ma se vogliamo che la transizione energetica sia concreta e sostenibile, dobbiamo fare in modo che questo percorso sia accompagnato da un adeguato sostegno infrastrutturale. In questa rapida corsa degli Stati a dotarsi di infrastruttura tecnologica, il panorama geopolitico è legato a doppio filo allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale. La recente decisione degli Stati Uniti di limitare l’esportazione di chip avanzati per l’Intelligenza artificiale alla Cina, mentre ha risparmiato molti Paesi UE, dimostra – ancora una volta – come la tecnologia continui ad essere una risorsa strategica.
Al contempo, l’Unione europea sta rivedendo il Green Deal con il piano Competitiveness Compass, puntando a ridurre gli oneri burocratici per le imprese. Ursula von der Leyen, che lo aveva lanciato, cinque anni fa, comincerà concretamente mercoledì prossimo, con la riunione del Collegio dei commissari che varerà un piano che mira a ridurre sostanzialmente gli oneri burocratici imposti alle imprese nell’Ue, del 25% per le grandi aziende, e del 35% per le Pmi. Proseguirà poi con la presentazione, a fine febbraio, di una proposta legislativa di “semplificazione”, chiamata “Omnibus” per la revisione di una prima parte della legislazione del Green Deal già in vigore. Questo primo “Omnibus”, a cui seguiranno con tutta probabilità altre proposte simili, dovrebbe riguardare tre normative Ue che impongono alle imprese degli oneri burocratici per perseguire la sostenibilità ambientale. In particolare, saranno riviste la direttiva “Corporate Sustainability Reporting Directive” sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese, in vigore dal 2023, e quella sulla “due diligence” da parte delle grandi e medie aziende nel controllo delle loro catene del valore. La strada indicata per rilanciare la crescita dell’Ue è quella di “riaccendere la produttività basata sull’innovazione”. Il processo di revisione delle normative già in vigore, con il duplice obiettivo della semplificazione burocratica e del riorientamento a favore della competitività europea, non è di per sé una marcia indietro nel processo di decarbonizzazione dell’economia e di transizione energetica e ambientale, se la Commissione riuscirà a mantenere dritta la barra verso gli obiettivi strategici fissati dal Green Deal. In qualche misura, la “semplificazione” dell’Ue dovrà anche controbilanciare la “deregolamentazione” negli Stati Uniti. Intanto alla vigilia del Consiglio Affari Esteri, dove i ministri avranno uno scambio sulla relazione transatlantica nel formato ristretto, fonti dichiarano che la posizione dell’alto rappresentante è quella di trovare unità tra i 27: «i segnali che stiamo ricevendo da Washington è che si può raggiungere un’intesa sulla maggior parte delle questioni».
L’Italia si propone come snodo strategico tra Europa e Africa per la distribuzione energetica, attraverso progetti di interconnessione. Questo ruolo, se ben sviluppato, potrebbe trasformare il Paese in un polo d’innovazione sostenibile, in grado di integrare l’IA con soluzioni energetiche a basso impatto. Tuttavia, come sottolineato dal ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, ogni scelta tecnologica dovrà essere valutata in base a costi e sicurezza. Il futuro dell’Intelligenza artificiale e della sostenibilità dipenderà dunque dalla capacità dei governi di adottare un approccio bilanciato, che non sacrifichi l’innovazione digitale sull’altare della sostenibilità, ma nemmeno il contrario. L’Europa, pur con le sue incertezze normative, può giocare un ruolo chiave, mantenendo la competitività senza rinunciare agli obiettivi climatici. Intanto – fatto non trascurabile per gli interessi in gioco – il ministro dell’Economia saudita Faisal al-Ibrahim ha annunciato che, a partire dalla primavera del 2026, il Forum economico mondiale terrà regolarmente dei meeting in Arabia Saudita.
E da Davos è intervenuta anche la presidente della BCE Christine Lagarde, in merito alle politiche annunciate dal presidente Donald Trump, annunciando la necessità di negoziare sul nodo degli squilibri commerciali. Per Lagarde Trump sta «valutando molto attentamente la questione dei deficit di partite correnti e in particolare sul commercio» e «soprattutto sui prodotti ma non è tutto bianco e nero, c’è anche l’interscambio dei servizi e dei flussi di capitale». In ogni caso la presidente esorta a sedersi a un tavolo nell’ambito delle istituzioni preposte e seguendo le regole, perché «non si possono semplicemente rimuovere le vecchie regole, ignorare le istituzioni del mondo, con 190 paesi che sono parte di FMI e WTO, spetta a tutti noi operare assieme, quindi ti siedi al tavolo e negozi». Dello stesso tono, l’intervento della presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola. «Non voglio sentire parole di pessimismo. Noi e gli Usa», spiega, «siamo alleati storici: i nostri valori sulla democrazia e sullo stato di diritto sono gli stessi, e sulla Russia così come sull’Iran abbiamo posizioni comuni. Non voglio ripartire da Davos con un senso di disfattismo. Questo, per noi, è il momento di agire. Prima di tutto, bisogna muoverci con onestà e coerenza. Dobbiamo dire una cosa, non ventisette diverse. Abbiamo un potenziale finanziario enorme ma dobbiamo ridare fiducia al settore privato, collaborando con il pubblico all’interno di un quadro normativo adeguato, che garantisca certezze alle imprese».