Esteri
I re Magi dell’Ue a Kiev, ma i doni non soddisfano Zelensky
Di Giampiero Gramaglia
Tante belle calde parole, qualche promessa che sa di marinaio, pochi impegni certi. A conti fatti, Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, non è soddisfatto: «Cari amici – dice a fine visita -, apprezziamo che siate oggi con noi, proprio alla vigilia di importanti eventi internazionali per noi e per l’Europa. E sono molto grato che la vostra visita sia iniziata a Irpin per vedere cosa hanno fatto gli invasori russi…». Ma poi insiste sulla necessità per l’Ucraina di avere “armi pesanti e moderne”: «Ci serve aiuto. Ogni arma è una vita umana salvata. Ogni ritardo – nella consegna, ndr – aumenta la possibilità per i russi di ucciderci e di distruggere le nostre città». La missione a Kiev giovedì 16 giugno, dei leader dei tre maggiori Paesi Ue, Francia, Germania e Italia, con il presidente romeno Klaus Johannis, aveva un forte significato simbolico: un messaggio di unità e coesione dei Paesi europei, una conferma del sostegno economico e militare all’Ucraina e della condanna della Russia per l’invasione. Ma, per ciascuno dei leader, la visita rispondeva pure a logiche di politica interna: leggerne i resoconti e le ricostruzioni, sui media francesi, tedeschi e italiani, è un esercizio alla Rashomon, la stessa realtà vista da prospettive diverse.
Per i tre leader, il rituale della missione a Kiev prevedeva 11 ore di treno insieme andata e ritorno, dalla Polonia a Kiev a viceversa; la visita a Irpin, una delle città martiri di questo conflitto; e l’accompagnamento delle sirene d’allarme che hanno suonato al loro arrivo e alla loro partenza – non ci fosse stato il precedente di Antonio Guterres, si potrebbe pensare a una messa in scena -.
I tre re Magi europei portavano i loro doni al presidente Zelensky, ben avvolti nella carta stagnola della solidarietà collettiva verso il Paese vittima dell’aggressione russa: il cancelliere Olaf Scholz porta l’oro degli aiuti per la ricostruzione – ma Zelensky vorrebbe l’acciaio delle armi -; il premier Mario Draghi l’incenso tutto fumo – vedremo perché – del sì all’adesione all’Ue; il presidente Emmanuel Macron la mirra amara dell’incitamento a negoziare.
Ma Joe Biden e l’Alleanza atlantica puntano la stella cometa dell’Occidente in tutt’altra direzione: verso la “lunga guerra”, che forse restituirà all’Ucraina l’integrità territoriale e certamente fiaccherà la Russia. La Gran Bretagna, la Polonia, i Baltici vanno loro dietro e criticano il viaggio in Ucraina dei Magi, che, oltre che di conflitto, armi e adesione all’Ue, parlano anche della ‘guerra del grano’ e auspicano l’intervento dell’Onu per sbloccare le derrate bloccate nei porti ucraini. E, in particolare, il Ministero degli Esteri polacco aveva messo in guardia Macron, Scholz e Draghi dall’esercitare pressioni su Zelensky perché faccia concessione alla Russia.
Un messaggio politico uno, ma trino
Il problema è che, al di là dei convenevoli e delle ritualità, il messaggio politico non è proprio ben definito: è uno, ma è anche trino. Berlino gioca sulla difensiva, perché si sente sotto accusa. Roma è generosa, tanto né paga né decide lei. Parigi agita il bastone e la carota: da un lato, Macron rafforza il mantra che Kiev deve vincere e che deve riprendersi persino la Crimea e offre un po’ di armi; ma, dall’altro, ha già detto che Zelensky prima o poi dovrà convincersi a sedere al tavolo dei negoziati. Per i suoi collaboratori, «spetta all’Ucraina definire la vittoria militare»: un modo di offrire una via d’uscita al presidente, che può decidere di quale risultato accontentarsi.
La missione di Macron, Scholz e Draghi, tutti e tre finora criticati per non essersi mai mostrati a Kiev, cade alla vigilia della decisione della Commissione europea se raccomandare o meno la concessione all’Ucraina dello statuto di candidato all’adesione – la decisione finale spetta al Consiglio europeo, che si riunirà la prossima settimana – e precede una serie di Vertici cruciali, Ue, G7 e Nato, a fine mese. Intanto, la Russia è sempre più vicina ad assumere il controllo del Donbass.
Sull’adesione all’Ue, Zelensky s’attende «una posizione comune sull’appoggio all’integrazione dell’Ucraina nell’Ue. Lo statuto di candidato può rafforzare la libertà in Europa, essere la decisione più importante del terzo decennio del XXI secolo. Capiamo che non basta un passo per percorrere la strada verso l’Ue, ma questa strada dobbiamo cominciare a farla».
La Francia ha già predisposto un espediente diplomatico: lasciare che la procedura d’adesione faccia il suo corso, lungo almeno un decennio; e creare subito un’Unione politica europea, una scatola sostanzialmente vuota dove mettere dentro l’Ucraina, la Georgia, la Moldavia e tutti quelli che vogliono starci, magari pure i Balcani occidentali in lista di attesa da un decennio.
Il nodo delle armi
Quello che all’Ucraina ora preme sono le armi. Su questo tasto, a dargli davvero soddisfazione, sono Joe Biden, che mercoledì ha promesso a Zelensky un miliardo di dollari in più tra missili, artiglieria e munizioni, e il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg, che, dopo una riunione dei ministri della Difesa dei Paesi che appoggiano Kiev, torna ad assicurare “aiuti militari senza precedenti”, anche se, in realtà, non può annunciare nulla di nuovo e di sostanzioso.
Stoltenberg afferma: «Lavoriamo notte e giorno, per potere consegnare gli aiuti militari all’Ucraina il più velocemente possibile… È una sfida logistica: ci sono colli di bottiglia, oltre a questioni d’addestramento del personale all’uso degli armamenti». Durante la riunione, «ci sono stati briefing per capire come risolvere questi problemi… Non ci interessa solo fare annunci, ma renderli realtà».
Scholz, ha finora centellinato le forniture belliche all’Ucraina: non una sola arma pesante è stata data da Berlino a Kiev. Secondo la Bild, che cita il produttore di armi Rheinmetall, i primi veicoli Marder tedeschi destinati all’Ucraina, mezzi corazzati per la fanteria, sono già pronti, ma manca l’ok del governo tedesco alla loro fornitura. L’azienda sta riparando un centinaio di Marder e alcuni di questi sono già utilizzabili, ma spetta a Berlino decidere se e quando spedirli.
Chi prende più sul serio la missione del trio a Kiev è la Russia, o almeno il super-falco Dmitry Medvedev, ex presidente ed ex premier, oggi ‘numero due’ del Consiglio di sicurezza, che ce l’ha coi tre leader «mangiatori di rane, salsicce e spaghetti a cui piace andare in treno a Kiev». Il ministro degli Esteri Serguiei Lavrov fa spallucce: «Il dialogo con l’Ue non è una priorità». Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov auspica che Macron, Scholz e Draghi abbiano aperto gli occhi a Zelensky su come stanno davvero le cose sul terreno – dove Mosca intende raggiungere i suoi obiettivi e occupare tutto il Donbass -.