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Guerre: punto, Ucraina, Gaza, conflitti si inaspriscono, verso sterili show diplomatici

29
Maggio 2024
Di Giampiero Gramaglia

Dall’Ucraina alla Striscia di Gaza, le guerre accumulano gli orrori, mentre la diplomazia prepara una serie di appuntamenti ad alta intensità mediatica, ma a priori sterili: non nascerà la pace dal Vertice del G7 in Puglia, a Borgo Egnazia, dal 13 al 15 giugno; dal ‘Vertice di Pace’ in Svizzera, sul Lago dei Quattro Cantoni, il 15 e 16 giugno, che l’assenza della Russia rende paradossale; né dal Vertice della Nato a Washington dal 9 all’11 luglio, nel 75° anniversario del Trattato dell’Atlantico del Nord.

Quanto ai negoziati per una tregua in Medio Oriente, la loro ripresa appena annunciata è stata subito sabotata da una recrudescenza di provocazioni di Hamas e reazioni fuori misura di Israele, che poco hanno di casuale, anche se il premier israeliano Benjamin Netanyahu parla di errore e annuncia inchieste. 

A precedere la gimkana diplomatica, e a condizionare le posizioni dei governi, almeno gli europei, c’è il voto dal 6 al 9 giugno per il rinnovo del Parlamento europeo, che fa da prologo al rinnovo, entro novembre, delle figure di punta di tutte le istituzioni europee. Da un Vertice franco-tedesco, viene una scossa verso la difesa europea: Berlino e Parigi sono pronte “ad ampliare ulteriormente” la già stretta cooperazione “nei settori della sicurezza, della difesa e degli armamenti, in particolare nello sviluppo di armi di precisione a distanza”, dichiara Olaf Scholz a margine della visita di Stato di Emmanuel Macron, la prima in Germania di un presidente francese da 24 anni.

Guerre: Striscia di Gaza, Israele non si ferma a Rafah, Ue preannuncia “conseguenze”
Dai fronti di guerra, vengono notizie di attacchi e combattimenti amplificate dall’impatto sui civili. Nella Striscia di Gaza, un massacro in un campo profughi di Rafah, che fa decine di vittime, donne e bambini, suscita indignazione negli Usa e nell’Ue, a prescindere dalla condanna del lancio di razzi da Rafah su Israele, anche su Tel Aviv – un ferito il bilancio –, che l’ha preceduto e forse innescato.

La situazione umanitaria nella Striscia, se possibile, peggiora. Il mare cattivo spezza il pontile che gli Statui Uniti hanno allestito al largo di Gaza e costringe a sospendere le operazioni che partono da lì di distribuzione degli aiuti ai palestinesi. Il molo, operativo da una settimana, dà problemi: quattro navi si sono incagliate, tre militari Usa sono rimasti feriti. Per il Pentagono, la struttura tornerà operativa la prossima settimana.

I ministri degli Esteri dei Paesi dell’Ue, riuniti a Bruxelles, prospettano “conseguenze” se Israele dovesse proseguire l’offensiva su Rafah. E decidono all’unanimità di verificare se Israele osserva davvero gli impegni sui diritti umani previsti dall’Accordo di associazione. Egitto, Giordania, Arabia Sauditi, Emirati Arabi Uniti e Qatar chiedono all’Ue una conferenza di pace internazionale su “come implementare la soluzione a due Stati”. Spagna, Irlanda e Norvegia attuano la decisione, annunciata la scorsa settimana, di riconoscere come Stato la Palestina: Svezia, Cipro e Paesi dell’Europa centrale lo hanno già fatto – in tutto, sono una dozzina su 27 -; altri come Belgio, Malta e Slovenia potrebbero seguirli presto. Il premier spagnolo Pedro Sanchez parla di “decisione storica per aiutare israeliani e palestinesi a raggiungere la pace”.

Guerre: Ucraina, Stoltenberg accende dibattito su armi Nato contro Russia
L’Ucraina resta esposta ai bombardamenti russi con droni e missili, oltre che agli attacchi di terra nel Nord-Est del Paese. Domenica, è stato colpito un ‘bricocenter’ alla periferia di Kharkiv: circa venti le vittime. A tenere banco, però, è una sortita del segretario generale Nato Jens Stoltenberg, secondo cui l’Alleanza deve consentire agli ucraini di usare le armi loro fornite per colpire in Russia le basi da cui partono i raid.

La sortita di Stoltenberg, affidata a un’intervista all’Economist, innesca reazioni variegate: positive in Gran Bretagna, in Polonia, nei Paesi baltici; interlocutorie negli Stati Uniti; prudenti, diffidenti o decisamente contrarie in Francia, Germania, Italia. Il ‘capo della diplomazia europea’ Josep Borrell s’allinea al segretario generale Nato: entrambi sono a fine mandato. Il presidente francese Macron, che ha più riprese ha già prospettato l’invio di truppe in Ucraina, non si tira indietro. Mosca reagisce a tutti i livelli, tra minacce ed ironie, spesso evocando lo spettro dell’olocausto nucleare. E desta allarme, nel Nord dell’Europa, l’illazione che la Russia voglia modificare i confini marittimi nel Mar Baltico.

Divisa sull’uso delle armi, l’Ue è unita nel varare nuove sanzioni anti-russe. Secondo EuNews, che dà una lettura più esplicita di altri media, le ultime riunioni dei ministri degli Esteri e della Difesa dei 27 hanno prodotto “un sostegno tutto nuovo” all’Ucraina: Ue e Nato sarebbero pronte a dare l’ok a Kiev a colpire obiettivi militari in Russia. Euronews è su una linea analoga; “Nella Nato – scrive – emerge la volontà di eliminare i vincoli all’utilizzo delle armi occidentali contro la Russia”.

In missione in Europa, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky insiste sulla difficoltà di fermare l’avanzata e gli attacchi russi senza ulteriori aiuti militari occidentali. Ma documenti statunitensi ottenuti dal Washington Post mostrano che i russi sono in grado di neutralizzare anche sistemi d’arma ad alta tecnologia forniti dagli Usa all’Ucraina: in particolare, la percentuale di obiettivi centrati da munizioni a guida Gps, compresi i proiettili d’artiglieria Excalibur, è radicalmente diminuita dopo che i russi hanno scoperto come disorientare i sistemi americani.

Georgia: un Paese tra Russia e Ue
In questo quadro bellico di azioni letali e polemiche trasversali, s’inserisce il voto del Parlamento della Georgia, che approva la cosiddetta ‘legge sugli agenti stranieri’ e, di fatto, pone un ostacolo alle speranze della gente di Tbilisi di aderire all’Ue. Gli Stati Uniti hanno già previsto sanzioni contro la nuova norma, che assomiglia a un analogo strumento legislativo russo usato per reprimere proteste e dissenso. Bruxelles aveva avvertito che il varo della legge avrebbe congelato il processo d’adesione della Georgia, che è un passo indietro rispetto a Ucraina e Moldavia.

La legge sugli agenti stranieri rende più difficile operare in Georgia per gli organismi internazionali. Il partito filo-russo Sogno Georgiano, che ha la maggioranza, cancella il veto del presidente. Il voto del Parlamento, dopo le proteste di piazza massicce dei giorni scorsi, è “una vittoria per Mosca”, scrive il Washington Post. Per il New York Times, il futuro della Georgia oscilla tra l’essere nell’orbita di Mosca o volgersi verso l’Europa.

Guerre: Striscia di Gaza, la carneficina di Rafah
Le cronache da Rafah, nel Sud della Striscia, al confine con l’Egitto, con i carri israeliani nei campi dei rifugiati, descrivono scene di straordinario orrore, in un conflitto che dura da quasi otto mesi, innescato dalla barbarie degli attacchi terroristici di Hamas in territorio israeliano il 7 ottobre (1200 le vittime, oltre 250 gli ostaggi – e che ci ha ormai assuefatto all’enormità di oltre 36.500 vittime palestinesi, soprattutto donne e bambini.

Tra domenica e martedì, bombardamenti da terra e dal cielo uccidono una cinquantina di persone, forse più, dentro le loro tende, dicono responsabili sanitari e operatori umanitari: rifugiati in fuga dalla guerra e dalle loro case al Nord della Striscia. L’offensiva israeliana su Gaza e Khan Younis ha spinto, nei mesi scorsi, oltre un milione di palestinesi a cercare riparo nel Sud, dove ora la guerra li ha raggiunti e gli aiuti non arrivano più in misura adeguata. Un giornalista del Washington Post racconta: “Ho visto con i miei occhi gente bruciare”, nelle tende in fiamme.

Netanyahu riconosce “un tragico incidente” – non certo il primo – e promette un’indagine; ma conferma che il conflitto andrà avanti, fin quando Israele non avrà raggiunto i suoi obiettivi, cioè l’eradicazione di Hamas (senza per altro chiarire quale debba essere l’assetto futuro della Striscia). Gli Stati Uniti, che hanno messo la sordina in questi giorni alle loro critiche sulle azioni israeliane, sono “attivamente impegnati” a capire l’accaduto: molti media sottolineano “il silenzio americano”, mentre cresce “la condanna globale” della carneficina di Rafah. L’Amministrazione Biden modula, forse, il suo atteggiamento sull’andamento delle proteste pro-palestinesi nelle Università americane, in calo d’intensità in coincidenza con la fine dei corsi e l’inizio delle vacanze.

Le Nazioni Unite si muovono. L’Algeria, con una proposta di risoluzione al Consiglio di Sicurezza, chiede una tregua immediata. Ma Israele ha già dimostrato la propria indifferenza alle indicazioni degli organismi internazionali, anche quando si tratta di disposizioni sulla carta vincolanti. Come, ad esempio, la sentenza della Corte di Giustizia internazionale dell’Aia, che, venerdì 24 maggio, ordinava lo stop all’offensiva su Rafah, citando “rischi immediati” per la popolazione palestinese – una previsione tragicamente confermata dagli eventi degli ultimi giorni -.

Sollecitato dal SudAfrica, il verdetto della Corte, che già aveva chiesto a Israele di adottare misure per limitare le vittime civili, è l’ennesima dimostrazione del crescente isolamento internazionale d’Israele, ma non sortisce effetto pratico, perché la Corte non ha strumenti per rendere esecutive le proprie sentenze, a meno che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non se ne faccia carico.

Nell’emettere il verdetto, la Corte nota che la guerra di Israele per distruggere Hamas nella Striscia di Gaza ha già raso al suolo larghe porzioni del territorio e ha ucciso decine di migliaia di persone, la maggior parte delle quali civili, e ridotto la popolazione alla fame.

Mentre la Corte dell’Aia pronunciava la sua sentenza, l’esercito israeliano annunciava il recupero dei corpi di altre tre ostaggi morti a Gaza – sarebbero stati uccisi il giorno stesso del loro rapimento, il 7 ottobre -. Di quelli in vita, che s’ignora quanti siano con precisione, Hamas fa sporadicamente uscire video, mentre le manifestazioni per la loro liberazione si succedono a Gerusalemme e altrove in Israele.

Ad accrescere il quadro di preoccupazioni nella Regione, il dato, contenuto in un rapporto segreto, di cui dà notizia l’Ap, che l’Iran avrebbe ulteriormente aumentato le sue riserve d’uranio arricchito e che sarebbe ormai vicino a disporre dei livelli necessari per produrre l’arma nucleare: il rapporto dice che Teheran dispone ora di 142 chili di uranio arricchito al 60%, contro i poco più di 120 chili del febbraio scorso.