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Guerre: MO e Ucraina, speranze di tregua deluse, allarmi terrorismo, prospettive conflitti

10
Aprile 2024
Di Giampiero Gramaglia

Avanti così verso e oltre la fine del Ramadan, tra speranze di tregua deluse e allarmi terrorismo che danno brividi all’Europa, con l’Isis che minaccia gli stadi dei quarti di finale della Champions: “Uccideteli tutti!”, scrive sui suoi siti. Alternando come di consueto il caldo al freddo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu dice che il momento dell’offensiva di terra a Rafah, annunciata un mese e mezzo fa, è ormai deciso, senza però indicare la data.

Lì, s’accalcano un milione e mezzo di palestinesi rifugiati dal Nord della Striscia, dove, invece, c’è un ritiro di forze israeliane, specie da Khan Younis. La presenza sul territorio di militari israeliani scende al livello più basso dall’inizio del conflitto, innescato dagli attacchi terroristici di Hamas in territorio israeliano, che fecero circa 1200 vittime e condussero alla cattura di quasi 300 ostaggi, oltre un centinaio dei quali devono ancora essere liberati.

Non c’è da trarne auspici di tregua. L’intelligence occidentale parla di un avvicendamento delle forze, dopo mesi di combattimenti che hanno ridotto gran parte della citta in rovine, E il Ministero della Difesa israeliano dice che le truppe di stanno riorganizzando, in vista “di nuove missioni”, fra cui forse l’operazione di Rafah: “La guerra nella Striscia continua – dice Herzi Halevi, capo di Stato Maggiore -. Non stiamo per fermarci”. E, del resto, a Khan Younis, la città del leader di Hamas Yehya Sinwar, resta una presenza militare israeliana “significativa”, per condurre “operazioni mirate”.

Gli sviluppi militari d’un conflitto che dura ormai da più di sei mesi s’intersecano con l’altalena dei negoziati al Cairo tra Israele e Hamas: c’è chi parla di significativi progressi e di consensi trovati su punti controversi, ma, ogni volta, quando sembra di essere vicini a un accordo, ci sono passi indietro. Un’intesa deve prevedere una tregua in cambio della liberazione di ostaggi e della scarcerazione di detenuti palestinesi; ma i dettagli mancano: quanto lunga la tregua? Quanti gli ostaggi da liberare?, quali i detenuti palestinesi da scarcerare?

Sul fronte ucraino, il presidente Volodymyr Zelensky ripete che il suo Paese perderà la guerra con la Russia, se gli Stati Uniti non torneranno a fornire aiuti militari. E il ministro degli Esteri britannico David Cameron va a Washington, passando da Mar-a-lago in Florida, dove incontra Donald Trump, per cercare di persuadere i repubblicani a sbloccare il pacchetto di aiuti da 60 miliardi di dollari sospeso da novembre. Zelensky chiede munizioni, specialmente per la difesa aerea, e avverte che “altri Stati saranno attaccati” se l’Ucraina non sarà in grado di resistere.

La situazione è critica soprattutto presso la centrale nucleare di Zaporizhzhia, occupata dai russi da due anni, oggetto di attacchi coi droni sia domenica che lunedì. L’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, l’Aiea, parla di “un serio incidente”, che “poteva compromettere la sicurezza” dell’impianto, ma conferma l’integrità del reattore. Ucraini e russi si rimpallano la responsabilità dell’azione, mentre l’intelligence ucraina rivendica il danneggiamento di una nave russa nella exclave di Kaliningrad – i russi non confermano -.

Guerre: Striscia di Gaza, il muro di gomma di Netanyahu davanti alle presioni Usa e internazionali
Il Ramadan, il mese del digiuno musulmano, è trascorso: non ha portato le violenze temute in CisGiordania e a Gerusalemme, ma non ha neppure portato la tregua sperata. Anzi, lo sconsiderato e gratuito attacco letale israeliano all’ambasciata dell’Iran a Damasco ha accresciuto il pericolo globale: ci si attende da un momento all’altro una ritorsione iraniana, che può essere contro interessi israeliani ovunque nel Mondo, ma c’è anche il timore di derive terroristiche coordinate o opera di cani sciolti – e, quindi, impossibili da prevenire -.

Per Netanyahu, l’entrata a Rafah è necessaria “per una vittoria su Hamas completa”: un mito che il premier perpetra, sperando, in tal modo, di tenere in vita il suo traballante governo e sufficientemente coesa la sua litigiosa maggioranza. Ma ci sono ministri che lo smentiscono e altri che gli remano contro, cercando sponde per succedergli. Benjamin Gantz, leader dell’opposizione, ma membro del governo d’emergenza, propone elezioni a settembre, mentre, nel Paese, la protesta – avverte l’intelligence – “sta divenendo rivolta”.

Gli Stati Uniti fanno sapere di non essere stati informati sulla tempistica dell’attacco a Rafah – ammesso che sia stata davvero decisa – e ripetono di temere che un’offensiva di terra “possa avere un devastante impatto sui civili e, in fin dei conti, danneggiare la sicurezza di Israele”, creando ulteriore risentimento arabo e palestinese nei confronti dello Stato ebraico. Washington chiede un piano di protezione dei civili “credibile”. L’Onu, l’Ue, gli Usa e altri vogliono che parte dei palestinesi rifugiati nel Sud della Striscia possano tornare alle macerie delle loro case nel Nord e che il flusso degli aiuti umanitari – acqua, viveri, medicinali – aumenti ancora per tamponare un’emergenza dalle proporzioni spaventose.

In una conversazione telefonica di trenta minuti, la prima fra di loro dopo il raid su Damasco e l’uccisione, “per errore” di sette operatori umanitari di un’organizzazione non governativa statunitense, il presidente Usa Joe Biden ammonisce Netanyahu che la situazione a Gaza è “inaccettabile” e lo sollecita a prendere misure per affrontare la crisi o a subirne le conseguenze. “L’atteggiamento degli Usa verso Israele ne dipende”, spiega ai giornalisti dopo la telefonata il segretario di Stato Antony Blinken, senza fornire dettagli.

Ma Netanyahu, che ha totalmente ignorato un ordine vincolante dell’Onu alla tregua, è un muro di gomma: ammette le responsabilità israeliane nell’uccisione dei sette operatori umanitari internazionali, annuncia provvedimenti per evitare che errori del genere si ripetano, caccia due ufficiali che sarebbero i responsabili “di serie violazioni” delle procedure convenute, riapre il varco di Erez tra Israele e Gaza e il porto di Ashod – erano chiusi dal 7 ottobre – per fare transitare più aiuti; ma non concede nulla sulla tregua né sull’operazione a Rafah.

L’inchiesta sull’uccisione dei sette operatori umanitari internazionali conduce ad ammissioni imbarazzanti per Israele, che deve riconoscere lacune nelle procedure di sicurezza per i civili, e rinnova lo scetticismo sull’accuratezza dei processi decisionali militari israeliani. I palestinesi e le organizzazioni umanitarie, che hanno avuto oltre 200 operatori uccisi dall’inizio del conflitto, hanno spesso accusato gli israeliani di tirare sui civili in modo indiscriminato. Scott Paul, della Oxfam, testimonia: “Quanto accaduto è tragico, ma non è un’anomalia… L’uccisione di operatori umanitari nella Striscia è stata sistematica…”.

L’Onu sta intanto valutando se dare o meno alla Palestina lo statuto di membro a parte intera. Dal novembre 2012, la missione palestinese presso le Nazioni Unite gode dello statuto di “Stato osservatore non membro”. Ma, sui luoghi del conflitto, dove l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, l’Unwra, osteggiata da Israele, opera ormai a fatica, i palestinesi temono per la loro vita e s’interrogano sul loro futuro.

Guerre: Ucraina, i ‘trolls’ si moltiplicano, le munizioni mancano
Se negli Stati Uniti la guerra in Ucraina non trova molto spazio nella campagna elettorale per Usa 2024, nell’Ue, invece, il tema agita l’attesa delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno. Molti leader di Paesi Ue invitano le opinioni pubbliche a prepararsi a un possibile conflitto: non solo i Baltici e la Polonia, anche Francia e Germania. In Italia, al contrario, la retorica politica va nella direzione opposta: la guerra non è un’opzione.

Le scadenze elettorali sono ben presenti all’attenzione del Cremlino: ‘trolls’ russi, o foraggiati dai russi, contribuiscono a diffondere sentimenti anti-ucraini in Europa e soprattutto in America, dove distribuiscono migliaia di articoli o di post sui social per incoraggiare l’isolazionismo statunitense. Il Washington Post rivela l’esistenza di un documento di Mosca in merito ottenuto da un’intelligence europea.

Se gli aiuti all’Ucraina arrivano, in questa fase, con il contagocce, e Kiev manca di munizioni anti-carro ed anti-aeree, i movimenti di truppe sul territorio della Nato sono significativi: ad esempio, reparti tedeschi vengono schierati in Lituania, in quello che è il loro primo impiego a lungo termine fuori della Germania dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Il ministro della Difesa lituano Laurynas Kasciunas esalta l’evento come “un grande esempio” di difesa Nato dei confini atlantici e un segnale per la Russia e la Bielorussia: “Creeremo un’architettura di dissuasione tale che nessun nemico vorrà mettere alla prova la nostra determinazione”.

L’Ucraina abbassa l’età della leva da 27 a 25 anni, per rinfoltire le fila delle truppe rarefatte dalle perdite, ma deve fare fronte al rifiuto di molti di andare a combattere – giovani fuggiti all’estero all’inizio dell’invasione e che non rispondono alla chiamata alle armi -, proprio mentre la Russia sta preparando – riferiscono fonti d’intelligence – una nuova grossa offensiva nel Donbass e forse in direzione di Kharkiv e continua a condurre bombardamenti notturni sulle infrastrutture energetiche e industriali ucraine.

Come Kiev, anche Bruxelles – Ue o Nato che sia – paventa l’ipotesi di un avvicendamento alla Casa Bianca, che potrebbe preludere al disimpegno degli Usa dall’Ucraina, anche se Donald Trump ha sentire l’esistenza d’un piano di pace attribuitogli dal Washington Post.

Si tratterebbe di premere sull’Ucraina perché lasci alla Russia la Crimea e la regione del Donbass, attualmente occupata e annessa. Secondo il WP, l’ex presidente ritiene che l’Ucraina e la Russia “vogliono salvare la faccia e avere una via di uscita”. Ma la pace ‘alla Trump’ pare sostanzialmente una vittoria dei russi. L’ex presidente è convinto che gli abitanti di alcune province ucraine preferiscano essere russi.

All’idea di pace di Trump, lontana dalla ‘pace giusta’ di cui parla l’Amministrazione Biden, si pone in antitesi un editoriale del New York Times, per cui l’Ucraina sta difendendo “la sua democrazia e il suo territorio dalla Russia” e ha bisogno degli Usa. L’editoriale esorta lo speaker della Camera Mike Johnson, che è una marionetta di Trump, ad agire e a sbloccare gli aiuti: se la Russia “imporrà la sua volontà all’Ucraina, la credibilità e la leadership americana subiranno un duro colpo”. Ma questo è, in fondo, quel che il magnate vuole: uno smacco per Biden, più che una vittoria per Putin.

Per il NYT, Trump e i “suoi seguaci possono sostenere che la sicurezza dell’Ucraina, o addirittura dell’Europa, non è un problema degli Stati Uniti”. Ma una vittoria della Russia in Ucraina avrebbe come conseguenza un Mondo in cui i sistemi autoritari “si sentono liberi di spegnere il dissenso e occupare territori…. Questa è una minaccia alla sicurezza dell’America e del Mondo”. Per farvi fronte, la Nato pensa a garantire sostegno militare all’Ucraina a lungo termine: un fondo da cento miliardi di dollari per cinque anni – non è chiaro se i 50 miliardi di euro già decisi dall’Ue per lo stesso periodo ne sarebbero parte o sarebbero aggiuntivi – e che non potrebbe essere rimesso in discussione dal ritorno di Trump alla Casa Bianca.

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