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Guerre: Israele-Hamas, la speranza è un voto dell’Onu; Ucraina, aiuti in stallo

20
Dicembre 2023
Di Giampiero Gramaglia

Per una tregua tra Israele e Hamas, la speranza è un voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, più volte rinviato per cercare di mettere a punto un testo che possa essere votato senza suscitare veti. Una bozza, proposta dagli Emirati Arabi Uniti, impone la “sospensione” delle ostilità nella Striscia di Gaza per consentire la consegna di maggiori aiuti umanitari. La pausa dovrebbe pure essere utile alla liberazione di ostaggi: le trattative in merito proseguono, con contatti intrecciati a vario livello e in varie località tra Egitto e Qatar, Usa e Israele, persino a Oslo. Una volta adottato, il documento del Consiglio di Sicurezza ha carattere vincolante: Israele deve dunque uniformarsi.

Sui fronti di guerra aperti in questo tragico scorcio di fine 2023, l’Assemblea generale dell’Onu continua, invece, a sfornare risoluzioni senza impatto: dopo quella per un cessate-il-fuoco tra Israele e Hamas la scorsa settimana, ecco la condanna aggiornata delle violazioni dei diritti umani da parte della Russia nei territori ucraini occupati. La risoluzione, che lascia il tempo che trova, “chiede specificamente alla Russia di non attuare più deportazioni forzate e anzi di garantire il ritorno sicuro di tutti i bambini ucraini e degli ostaggi civili”, dice il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ai media ucraini.

Secondo Axios e la Cnn, Israele offre ad Hamas una pausa di una settimana in cambio del rilascio di 40 ostaggi – donne, anziani, persone bisognose di cure urgenti -: ve ne sarebbero più di 120, ancora in mani palestinesi. Il New York Times ipotizza, invece, una tregua di due settimane. A fine novembre, una sospensione delle ostilità di una settimana aveva consentito la liberazione di oltre cento ostaggi, in cambio di oltre 300 detenuti palestinesi dalle carceri israeliani e di aiuti umanitari. Per l’ambasciatore di Israele negli Usa Michael Herzog, Israele è disposto a una pausa se ciò significa il rilascio del maggior numero di ostaggi possibile. Hamas, che da giorni non pareva interessato a una tregua, ha ora riaperto i canali di negoziato.

Mentre la diplomazia celebra i suoi riti, i conflitti vanno avanti, letali e cruenti. In Ucraina, lo stallo al fonte, imposto dal Generale Inverno, è scandito ogni notte da bombardamenti russi su obiettivi militari e infrastrutturali ucraini, specie con missili e droni. In 22 mesi, dal 24 febbraio 2022 a oggi, l’invasione ha complessivamente fatto centinaia di migliaia di caduti sui due fronti – le cifre fornite dalle due parti sono diametralmente opposte e reciprocamente inattendibili –. Nelle stime dell’Onu, le vittime civili sono circa 10 mila, oltre a milioni di profughi in fuga dal conflitto.

Invece, le cronache dalla Striscia restano fitte di episodi cruenti. In 75 giorni di guerra, quasi 20 mila palestinesi sono stati uccisi – per il 70% donne e bambini -; i soldati israeliani caduti sono circa 140. Circa un abitante di Gaza su cento è morto nel conflitto, il 60% delle abitazioni sono andate distrutte. Il 7 ottobre, incursioni terroristiche dei miliziani di Hamas e di altre sigle palestinesi avevano fatto 1200 vittime israeliane.

Gli operatori umanitari delle Nazioni Unite, oltre cento dei quali sono fra le vittime, sono sconvolti dalla tragedia che vivono: le condizioni nella Striscia sono “orribili”; Gaza è “un incubo vivente” e “un cimitero di bambini”. I gionalisti caduti sono diverse decine.

Guerre: per l’Amministrazione Biden, una caporetto di consensi
La guerra tra Israele e Hamas è divenuta una caporetto di consensi per l’Amministrazione Biden: un’ampia maggioranza di americani non approva la gestione del conflitto da parte del presidente. Secondo un sondaggio di Ney York Times e Siena College, il 57/% lo boccia e solo il 33% lo promuove. Emerge una profonda spaccatura generazionale: i giovani sono decisamente più critici rispetto ai più anziani. L’opinione è fortemente divisa tra quanti spingono perché la guerra finisca e quanti vogliono che la vitttoria di Israele sia definitiva.

Un altro sondaggio, questa volta condotto fra i palestinesi, mostra che la brutalità del conflitto accresce, com’era prevedibile, l’appoggio ad Hamas. Il 90% dei palestinesi interpellati vuole che l’attuale presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, cui Washington vorrebbe afudare la gestione della Strischia, oltre che della CisGiordania, si dimetta, perché è considerato una marionetta nelle mani dell’Occidente.

Le pressioni su Israele crescono, anche da parte dell’Amministrazione Usa, che, però, resta sempre a metà del guardo: da una parte, chiede moderazione, rispetto dei civili e dei diritti umani; dall’altra, dichiara che il sostegno a Israele è “incrollabile” e continua a fornire armi. All’Angelus, domenica, Papa Francesco ha di nuovo aggiunto la sua voce a quella di tutti i leader che chiedono a Israele d’allentare la stretta sui civili nella Striscia.

La diplomazia statunitense continua ad avere intense presenze nella Regione, col segretario di Stato Anthny Blinken, il segretario alla Difesa Lloyd Austin e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, ma l’effiaccia della ‘moral suasion’ è finora relativa. Si ha l’impressione che il peso di Washington sia condizionato dalla prospettiva delle elezioni presidenziali del 5 novembre 2024: Benjamin Netanyahu, da una parte, e Vladimir Putin, dall’altra, puntano sul ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu insiste per condurre la guerra “fino alla fine”, nonostante le pressioni interne perché dia priorità alla liberazione degli ostaggi; e in prospettiva non fa propria la soluzione dei due Stati. I suoi avversari politici, come l’ex premier laburista Ehud Olmert, lo accusano di “sbagliare i calcoli” su Gaza e di mettere a repentaglio l’esistenza di Israele. Ma non è l’ora delle rese dei conti interne.

Guerre: nella Striscia, orrori ed errori
Una spinta alla ripresa delle trattative è venuta da due ‘incidenti di percorso’ israeliani, due ‘errori’ che aprono però nelle coscinenze uno squarcio sugli orrori che, ogni giorno, si perpetrano a Gaza: l’uccisione di tre ostaggi israeliani ad opera di soldati israeliani, che non hanno seguito le regole d’ingaggio e hanno sparato anche di fronte a una bandiera bianca sventolata; e l’uccisione di due donne palestinesi cattoliche, madre e figlia, colpite da un cecchino nella parrocchia di Gaza dove lavoravano.

E’ chiaro che i militari agiscono per uccidere e sono, a loro volta, condizionati dalla paura: giorni fa, nove di essi sono caduti in un’imbuscata a Gaza. Segno che l’esercito continua a incontrare un’accanita resistenze, inasprita dalla virulenza delle forze d’occupazione. Nella notte tra martedì e mercoledì, almeno otto palestinesi sono stati uccisi e altri 34 feriti, in un bombardamento israeliano su un edificio residenziale di Deir al-Balah, nel centro della Striscia: i dati sono della Mezzaluna rossa palestinese, citata dalla tv araba Al Jazeera.

Si combatte nel Sud della Striscia, ma il Nord non è ancora totalmente bonificato. Bombardamenti, combattimenti, uccisioni si susseguono pure in CisGiordania e nel Sud del Libano, dove il ministro della Difesa Yoav Gallant non esclude l’apertura di un secondo fronte, per spingere i miliziani d’Hezbollah al di là del fiume Litani. Esperti Usa pensano che l’attuale fase delle operazioni di terra israeliane possa andare avanti fino a gennaio, prima di una transizione ad azioni di minore intensità, con attacchi mirati contro leader e militanti di Hamas.

Anche se Israele fa sapere di avere messo in atto tattiche per ridurre il numero delle vittime civili, sul terreno la realtà resta “terrificante”. Gli abitanti della Striscia, nella stragande maggioranza ammassati al Sud, si lamentano di ricevere indicazioni confuse e contraddittorie su dove andare e dove rifugiarsi, per non trovarsi in mezzo ai combattimenti, sballottati da un campo di battaglia all’altro.

Per il segretario Austin, i generali israeliani vanno verso “una disfatta strategica”, se le loro azioni spingono i civili nelle braccia di Hamas. E l’intelligence statunitense calcola che circa una metà delle munizioni utilizzate da Israele in questa guerra non sono ‘intelligenti’, cioè non sono precise e, quindi, costituiscono per i civili un rischio molto elevato, soprattutto in un contesto dove obiettivi militari e civili sono interconnessi.

Contemporaneamente, proprio gli Usa lavorano ad aprire a un nuovo fronte, tra Mar Rosso e Golfo di Aden, dove i ribelli Houthi dallo Yemen minacciano la libertà di navigazione attaccando navi merci – cisterne o cargo -. Una flotta internazionale, con partecipazione italiana, dovrà ora garantire il traffico in un tratto di mare dove transita una fetta importante degli scambi mondiali.

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