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Guerre, il punto: effetto Trump in Medio Oriente e Siria, Ucraina e Corea. Pianeta in ebollizione
Di Giampiero Gramaglia
L’elezione e l’imminente insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca hanno scatenato in tutto il Pianeta velleità belliche: i conflitti in Medio Oriente si allargano, invece di ridursi, e riesplodono scontri da anni «in sonno»; quello in Ucraina ritrova intensità, dopo mesi di stasi; la penisola coreana è scossa da fremiti – il dittatore nord-coreano Kim Jong-un si rifà notare e il presidente sud-coreano Yoon Suk Yeol fa affiorare venature autoritarie proclamando uno stato d’assedio che l’opposizione del Parlamento e le proteste dei cittadini lo costringono a revocare.
Ci torneremo. Per ora, aleggia sul Pianeta la sensazione che l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel condivide con Christiane Amanpour, in un’intervista alla CNN: «Donald Trump ha sempre avuto, e non ha mai celato, una fascinazione per i dittatori … Si capiva dal come parlava di Vladimir Putin e Kim Jong-un: ammirava il loro potere assoluto…».
I due fronti di conflitto principali restano il Medio Oriente e l’Ucraina. La tregua di una settimana fa tra Israele e Hezbollah è crivellata di violazioni, soprattutto da parte israeliana, ma sostanzialmente tiene, mentre nella Striscia di Gaza combattimenti e bombardamenti vanno avanti. Ma l’attenzione, nell’area, s’è spostata su quanto avviene in Siria, dove la guerra civile esplosa nel 2011 e da tempo sopita, ma mai risolta, è riesplosa in modo cruento, con la presa di Aleppo da parte degli jihadisti anti-Assad appoggiati dai turchi, mentre il regime gode del sostegno di Russia e Iran.
Il risiko della Siria è tanto complicato quanto pericoloso: Teheran avrebbe spostato nell’area milizie a lei fedeli, anche in funzione di riarmo degli Hezbollah in Libano; contro un’azione del genere, sono operative le forze statunitensi dislocate nella regione e anche quelle israeliane.
Come scrive sull’ANSA Stefano Polli, «le onde d’urto dei terremoti ucraino e mediorientale s’allargano e l’arco della crisi si fa sempre più ampio, disegnando un mondo con sempre meno certezze e sempre più tensioni. La nuova guerra siriana, ingarbugliata e inquietante, e l’improvvisa, e per certi versi poco comprensibile, crisi sud-coreana aggiungono altri tasselli al nuovo disordine mondiale, la cui costruzione è nata il 24 febbraio 2022, il giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Da quel momento, nulla è stato uguale a prima: i già precari equilibri internazionali esistenti sono stati spazzati via, lasciando un vuoto diplomatico e politico che viene via via riempito da conflitti e crisi che, in uno sguardo d’insieme, possono riportare a quell’ipotesi di “terza guerra mondiale a pezzi” di cui parlò Papa Francesco».
La rielezione negli Stati Uniti di Donald Trump – personaggio imprevedibile e fumantino – ha dato una scossa ai potenziali «trouble makers» planetari: se il 47° presidente vuole essere l’uomo che fa finire le guerre e non le incomincia, meglio provare a chiudere conti in sospeso prima che s’installi.
Israele tra una tregua fragile a Nord e una guerra continua a Sud
Se la situazione in Siria è indecifrabile, quella tra Israele e Hezbollah a Nord e tra Israele e Hamas, a Sud, pare abbastanza facile da leggere. La tregua è spesso violata, soprattutto da parte israeliana, ma non è ancora compromessa. Le forze israeliane conducono ripetute azioni oltre il confine contro – dicono – «attività che rappresentavano una minaccia per lo Stato di Israele e che violano le intese di cessate il fuoco».
Ad esempio, Israele sostiene che gli Hezbollah hanno di nuovo sparato razzi sul territorio israeliano lunedì scorso, il 2 dicembre, per la prima volta dall’entrata in vigore della tregua il 27 novembre; il Libano, invece, sostiene che, a lunedì, c’erano già state 50 infrazioni israeliane al cessate il fuoco.
In particolare, lunedì, un raid aereo ha colpito un veicolo su cui miliziani di Hezbollah stavano caricando lanciarazzi, scatole di munizioni ed «altro equipaggiamento militare» – la fonte è l’esercito israeliano. Inoltre, viene riferito, «è stata monitorata un’attività terroristica di Hezbollah» alla periferia del villaggio di Baisariyeh, a sud di Sidone, che conteneva «piattaforme missilistiche». E ancora l’aeronautica ha condotto un attacco su un veicolo militare che operava nell’area di un sito di produzione di razzi di Hezbollah a Majdal Zoun, poco lontano dal confine.
Nella giornata di martedì, poi, vi sono stati raid su Damasco, riconducibili a quanto avviene in Siria collegato al fronte libanese. Ma nessuna delle parti, né Israele né Hezbollah, intende denunciare l’intesa e riaprire le ostilità. Il che consente al portavoce del Dipartimento di Stato a Washington Matthew Miller di dire che «complessivamente il cessate il fuoco tiene, è un successo».
Nella Striscia di Gaza, raid con aerei e droni, bombardamenti e rastrellamenti proseguono, invece, senza sosta e senza una prospettiva di tregua, nonostante contatti negoziali e voci – mai sostanziate – di possibili accordi.
A Khan Younis, un drone ha ucciso cinque persone, tra cui tre operatori umanitari della ONG statunitense World Central Kitchen, già colpita letalmente il 2 aprile. Per l’esercito israeliano, una delle vittime era un terrorista che aveva partecipato ai massacri del 7 ottobre 2023. La ONG ha di nuovo sospeso le sue attività.
Per le autorità libanesi, le vittime civili dell’offensiva israeliana nel Libano meridionale e su Beirut sono state oltre tremila, con 13 mila feriti. Per le autorità palestinesi, le vittime nella Striscia superano le 44 mila, con centinaia di migliaia di feriti. Gli attacchi terroristici palestinesi contro Israele del 7 ottobre fecero 1.200 vittime e portarono alla cattura di oltre 250 ostaggi, un centinaio dei quali non sono stati ancora restituiti alle famiglie (di questi, una cinquantina sarebbero vivi).
Video filmati dai soldati israeliani a Gaza e postati sui loro social, visionati dal Washington Post, mostrano abitazioni minate e fatte esplodere o incendiate, scene di giubilo alla distruzione di case o immobili, occupazioni di edifici distrutti, atti di scherno all’indirizzo dei palestinesi e dichiarazioni di sostegno a un ritorno a Gaza degli insediamenti israeliani.
Dagli Stati Uniti, Trump ha fatto sentire la sua voce sul suo social Truth, dopo la pubblicazione di un video in cui un ostaggio lo implorava di farlo tornare a casa. Trump ha sollecitato il rilascio degli ostaggi prima del suo insediamento, minacciando altrimenti «conseguenze devastanti»: quanti «hanno perpetrato queste atrocità contro l’umanità saranno colpiti più duramente di chiunque altro nella lunga e travagliata storia Usa… Rilasciate gli ostaggi subito!».
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha pubblicamente apprezzato «la forte dichiarazione» sulla necessità che Hamas rilasci gli ostaggi, «sulla responsabilità di Hamas … Questo aggiunge altra forza al nostro continuo lavoro per il rilascio di tutti gli ostaggi».
Ucraina, corsa al sostegno fuori tempo massimo
In Ucraina, i russi colpiscono con missili e droni dal cielo e avanzano sul terreno, c’è chi dice “centinaia di metri”, c’è chi dice “chilometri” al giorno. Il presidente Usa in esercizio Joe Biden è particolarmente generoso di aiuti militari, in questa fase: dopo i missili Atamcs e le mine anti-uomo, ecco sistemi anti-drone, munizioni e altri dispositivi per 725 milioni di dollari.
Le decisioni di Biden, apparentemente precipitose, fanno discutere a Washington e a Bruxelles: è chiaro che il presidente vuole fare quanto può per sostenere l’Ucraina, prima che il suo successore cambi eventualmente approccio; ma fra i militari c’è il timore che aiuti così massicci all’Ucraina compromettano gli arsenali statunitensi e mettano a rischio le esigenze difensive su altri scacchieri, senza peraltro incidere sull’andamento del conflitto
Nella riunione a Bruxelles del Consiglio atlantico, a inizio settimana, il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiga ha reiterato la richiesta urgente di più sistemi di difesa anti-aerea: “L’Ucraina ha urgentemente bisogno di almeno altri 20 sistemi di difesa anti-aerea per evitare i blackout”. I russi, infatti, colpiscono le infrastrutture energetiche per esporre al gelo invernale le città ucraine.
Il segretario generale dell’Alleanza atlantica Mark Rutte ammette che la situazione sul campo è difficile – negli ultimi mesi, l’avanzata dei russi nel Donbass è stata “evidente” – e chiede all’Occidente di “fare tutto il possibile per far arrivare a Kiev più munizioni ed equipaggiamenti”.
Il segretario di Stato Usa Anthony Blinken conferma che l’amministrazione Biden, per quel poco che resterà in carica, non abbandonerà l’Ucraina. Nessuno dichiara la causa persa; e Olaf Scholz, cancelliere tedesco, anch’egli a termine come Biden, fa ammenda della telefonata fatta a Putin poche settimane or sono andando a trovare a Kiev il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
In un’intervista al Financial Times, Rutte avverte che un accordo di pace sbilanciato in Ucraina potrebbe comportare una “grave minaccia” per la sicurezza di Europa e Stati Uniti. Rutte dice d’avere avvertito il presidente eletto Usa Trump, incontrato in Florida il 22 novembre, dei rischi d’un ulteriore avvicinamento tra Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, se l’Ucraina accettasse un’intesa che ‘retribuisca’ Mosca dell’invasione.
E’ in atto uno sforzo per convincere Trump l’isolazionista a mantenere il sostegno all’Ucraina, magari accantonando il tema dell’adesione dell’Ucraina alla Nato – un tabù per la Russia e una criticità per Stati Uniti, Germania e altri Paesi alleati -. Per Rutte, aumentare il sostegno a Kiev, nella prospettiva di colloqui di pace, conta di più che discutere dell’adesione. “La cosa più importante ora è assicurarsi che quando Zelensky decida di partecipare ai colloqui di pace, possa farlo da una posizione di forza”.
Una delegazione ucraina, composta dal capo dell’ufficio del presidente ucraino, Andriy Yermak, e dai ministri della Difesa Rustem Umyerov e dell’Economia Yuliya Svyridenko, intende incontrare negli Stati Uniti collaboratori di Trump, per sondarne le intenzioni in vista dell’insediamento.
Corea del Sud, fiammata di tensione a Seul
Quello che accade a Seul resta, al momento, confuso nelle dinamiche e incerto nelle cause. Martedì, il presidente Yoon impone, con un annuncio televisivo a tarda ora, la legge marziale, accusando l’opposizione, che controlla il Parlamento, di essere connivente con la Corea del Nord e di bloccare l’attività governativa con attività ‘anti-Stato’. Yoon, la cui popolarità è in forte calo, sostiene che intende proteggere l’ordine democratico costituzionale e che vuole sbarazzarsi degli elementi filo-nord-coreani.
Ma il Parlamento è unanime nel denunciare quello che appare come un colpo di Stato e la protesta della piazza è forte e immediata. Poche ore dopo, la mattina di mercoledì, Yoon revoca la legge marziale e ordina il ritiro delle truppe dalle strade di Seul. La partita della legge marziale sembra chiusa, nonostante un’iniziale riluttanza militare a rientrare nei ranghi. Quella del futuro di Yoon è, invece, apertissima.