Esteri
Gabon, nuovo colpo di stato nell’Africa francofona: non ostilità anti-francese, ma rivolta contro governo corrotto
Di Giampiero Gramaglia
A mettere in fila gli eventi, si potrebbe immaginare un domino Wagner nell’Africa francofona: dopo il fallito ‘putsch’ in Russia dei mercenari di Evgheny Prigozhin il 24 e 25 giugno, c’è stato un colpo di Stato in Niger il 25 luglio della guardia presidenziale contro il presidente Mohamed Bazoum, filo-occidentale; e, ieri, a una settimana dalla tragica scomparsa di Prigozhin in uno schianto aereo, c’è stato un colpo di Stato in Gabon contro il presidente Ali Bongo Ondimba, appoggiato (non senza screzi) da Parigi. Ma se a Niamey il putsch era stato salutato da una parte della popolazione sventolando bandiere russe e inneggiando a Vladimir Putin, a Libreville non c’è nulla del genere.
Pascal Boniface, politologo, fondatore/direttore dell’Iris, Istituto francese di relazioni internazionali e strategiche, dice a Tullio Giannotti, corrispondente dell’ANSA da Parigi: “C’è un filo rosso che lega i cinque colpi di Stato degli ultimi mesi in Africa Occidentale – Malì, Guinea, Burkina Faso, Ciad e Niger, ndr -. Ma ciò che sta accadendo in Gabon è diverso dal Mali o dal Niger: più che all’esplosione di ostilità anti-francese, assistiamo alla rivolta contro un regime corrotto che restava al potere da oltre 50 anni”.
Gabon: che cos’è successo
Tutto è avvenuto nel giro di poche ore dopo l’annuncio del risultato delle contestate elezioni che avevano consegnato ad Ali Bongo un terzo mandato con oltre il 64% dei voti, mentre il suo rivale Albert Ondo Ossa aveva appena superato il 30%. La guardia pretoriana ha annullato il voto, sciolto tutte le istituzioni della Repubblica, imposto il coprifuoco e chiuso le frontiere fino a nuovo ordine. Il capo degli insorti, il generale Brice Oliqui Nguema, è stato nominato “presidente di transizione”.
In tv, un militare che parla a nome del Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni, denuncia “il governo irresponsabile e imprevedibile”, che provocava “un continuo deterioramento della coesione sociale” e che rischiava “di portare il Paese nel caos”. Proprio per questo, afferma, “Abbiamo deciso di difendere la pace e di porre fine all’attuale regime”.
Il deposto presidente Bongo, agli arresti domiciliari o – nelle parole di Oliqui Nguema, il nuovo uomo forte – “messo a riposo”, ha registrato un video nella sua residenza: invita tutti i suoi amici “nel mondo” a “fare un po’ di rumore”.
Il domino della FrancAfrique
Dopo il Niger, il Gabon: a un mese dal colpo di Stato nel Sahel, cade sotto il controllo dei militari un’altra tessera della galassia post-coloniale francofona, dove sono forti i gruppi francesi TotalEnergies – energia – ed Eramet –. Un indebolimento della FrancAfrique parrebbe evidente, pur se la lettura degli eventi è ancora inncerta: le reazioni di Parigi e Londra, di Mosca e Pechino e pure Washington, di Onu, Ue e Unione africana esprimono tutte cautela e preoccupazione, come se cancellerie e organizzazioni internazionali non sappiano ancora leggere il segno geo-politico dell’insurrezione militare. E c’è prudenza alla Farnesina per la sorte dei 150 italiani ivi residenti.
Molti sottolineano le differenze tra Niamey e Libreville e alimentano i dubbi sui reali ‘imprinting’ dei due putsch. Nel Niger in crisi di sicurezza, con l’ombra della Wagner dietro i militari golpisti, emerge un riflesso anti-francese e anti-occidentale, con l’espulsione dell’ambasciatore di Parigi.
Nel Gabon, schiacciato da oltre mezzo secolo di potere corrotto e familista, passato senza soluzione di continuità da Bongo padre (Omar) a Bongo figlio (Ali), il contesto internazionale è meno chiaro: il sostegno di Parigi ai Bongo è un dato storico – nel Paese, sono stabilmente presenti 400 militari francesi -, ma s’è di recente un po’ stemperato. Bongo jr ha fatto scelte non condivise dalla Francia: non ha mai condannato all’Onu l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e, nel 2022, è entrato nel Commonwealth con il Togo per beneficiare di vantaggi commerciali.
Il Gabon, grande poco meno dell’Italia e con poco più di due milioni di abitanti, ha una rilevanza economica e strategica: è il quinto produttore di greggio in Africa e fa parte dell’Opec, ha risorse (gas naturale, diamanti, uranio, ferro, oro) ed è sede di numerosi progetti petroliferi e minerari internazionali. L’ENI è di nuovo nel Paese dal 2008: vi gestisce, fra l’altro, sei contratti d’esplorazione petrolifera.
Un’epidemia di colpi di Stato, parola di Macron
Dinamica dunque simile a quella nigerina, ma storia forse diversa, come sostiene Boniface. Però, c’è un denominatore comune: la sostituzione del potere militare a quello civile, nel segno di pretese (e surrettizie?) operazioni di pulizia contro corrotti e vassalli. Un trend in crescita negli ultimi anni, se si considera che quello in Gabon è l’ottavo colpo di stato nel Continente dl 2020 in qua.
E mentre in Niger s’inneggia a Putin, anche il Camerun, dove è al potere uno dei leader d’Africa più longevi, Paul Biya, ha di recente concluso un accordo di difesa con Mosca. Notizia di questa notte: truppe senegalesi si stanno preparando ad essere schierate in Benin in vista di un intervento in Niger sotto l’egida della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas): 900 soldati e mezzi da combattimento stanno per arrivare a Cotonou, che dovrebbe essere la base di partenza delle forze dell’Ecowas – ammesso che l’intervento “per ripristinare l’ordine costituzionale” si faccia davvero -.
Solo lunedì, parlando agli ambasciatori francesi, il presidente Emmanuel Macron, aveva definito “un’epidemia di golpe” quanto avviene in Africa: “I colpi di Stato si moltiplicano – nota Boniface -, ma oggettivamente non si può dire che quello in Gabon sia un attacco alla democrazia, perché lì non c’era democrazia… Il presidente si manteneva al potere grazie ad elezioni truccate e svoltesi senza osservatori internazionali, il regime non era trasparente… E, al momento, a differenza di altri casi, non c’è segnale che chi ha preso il potere in Gabon non voglia rispettare gli impegni internazionali”.
Prima del Gabon e del Niger, il Burkina Faso l’anno scorso aveva conosciuto due colpi di Stato successivi: a gennaio, il presidente Roch Marc Christian Kaboré era stato spodestato dai militari, che avevano insediato al potere il tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, a sua volta rovesciato a settembre.
Nel Sudan in preda da mesi a una guerra civile, i leader civili di transizione, che dovevano guidare il Paese verso la democrazia dopo una dittatura trentennale, sono stati estromessi nell’ottobre 2021 dai militari. In Guinea il presidente Alpha Condé era stato rovesciato il mese prima dall’esercito, che promette di restituire il potere a civili eletti entro fine 2024.
In Mali, nell’agosto 2020 il presidente Ibrahim Boubacar Keïta è stato rovesciato dai militari, che hanno formato un governo di transizione. Poi, nel maggio 2021, gli stessi militari hanno arrestato presidente e premier, insediando come leader di transizione il colonnello Assimi Goïta. La giunta s’è impegnata a restituire il potere ai civili dopo le elezioni previste per febbraio 2024.
Che cosa succederà in Gabon? Nessuno, al momento, lo sa per certo: un colpo di Stato ha sempre conseguenze imprevedibili. Se qui non emerge un’ostilità anti-francese ed anti-occidentale, palese nel Niger, un po’ ovunque i regimi rovesciati – avverte Boniface – erano “democrazie corrotte”, che non temevano conto “dei bisogni e degli orientamenti del popolo”. Ma non c’è garanzia che il nuovo sia meglio del vecchio.