Esteri
Francia: elezioni, sinistre avanti, estrema destra battuta e relegata al terzo posto, rebus governo
Di Giampiero Gramaglia
Per l’ennesima volta, i francesi dicono, forte e chiaro, che non vogliono essere governati dall’estrema destra: più di due su tre vanno alle urne, con un tasso di partecipazione senza pari nel XXI Secolo. Ma le sorti del Paese sono un rebus: c’è da formare un governo che disponga di una maggioranza nell’Assemblea nazionale.
Dal ballottaggio delle politiche, escono vincitrici le sinistre coalizzate nel Fronte popolare (182 seggi su 577), davanti al partito del presidente Emmanuel Macron Ensemble (168 seggi). Solo terzo, con 143 seggi, il Rassemblement national di estrema destra di Marine Le Pen, che si ritrova prevedibilmente relegato all’opposizione dopo che, una settimana fa, sembrava avviato alla maggioranza assoluta. La destra ‘repubblicana’, gollista, sostanzialmente stabile, ottiene 60 seggi, gli altri sono distribuiti fra formazioni minori.
La Francia è divisa tra città di sinistra e campagne di destra. A Place de la République a Parigi, esplode la festa della ‘France républicaine’. Ma il giubilo degenera in incidenti, quando gruppi di ‘casseurs’ si prendono la scena.
Il ballottaggio coinvolge circa 43 milioni di elettori francesi, meno che al primo turno perché una settantina di seggi sono già stati assegnati. Il premier francese Gabriel Attal annuncia, come da copione, le proprie dimissioni, ma dovrebbe restare in carica per gli affari correnti fino alla designazione del suo successore e alla formazione di un nuovo governo.
Che è, come già detto, un rebus. Ma un dato è netto: la sconfitta dell’estrema destra. La disfatta del partito di Marine Le Pen è stata evidente fin dai primi exit-polls, con dati ancora fluttuanti, ma univoci: la spallata al potere di anti-europeisti e xenofobi, sovranisti e ‘putiniani’, è fallita, anche se il Rassemblement national conta comunque una cinquantina di seggi in più rispetto alla precedente Assemblea nazionale e ottiene il suo miglior risultato assoluto.
Francia: elezioni, ipotesi governo e contraccolpi europei
La nuova Assemblea nazionale si riunirà il 18 luglio, contemporaneamente alla prima sessione plenaria del nuovo Parlamento europeo uscito dal voto del 9 giugno. C’è una coincidenza, ma anche un intreccio di temi, tra i due appuntamenti.
L’esito del voto apre un problema di governabilità per la Francia: il presidente Macron, che vede quasi dimezzati i suoi seggi, non ha più una maggioranza, neppure relativa; e la sinistra del Fronte popolare è formazione composita, che si sfilaccia già nelle dichiarazioni post-voto. Inizia una fase di negoziati e consultazioni: la Francia non ama i governi di coalizione e non ha una tradizione di governi tecnici.
Il voto, indetto dal presidente Macron con un’improvvisa decisione dopo le elezioni europee – una scommessa solo parzialmente riuscita -, apre una fase per ora indecifrabile: Macron non potrà più sciogliere l’Assemblea nazionale e, di qui alle presidenziali del 2027, quando non potrà più candidarsi, dovrà ‘coabitare’ con una maggioranza ancora indefinita.
Nell’Ue, l’asse franco-tedesco è debole, perché i suoi leader, Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, sono usciti ‘ammaccati’ dalle competizioni elettorali dell’ultimo mese; e l’avanzata delle destre subisce una battuta d’arresto, mentre ci sono spinte alla disgregazione dei gruppi di destra esistenti. Il premier ungherese Viktor Orban modella nuove aggregazioni e, intanto, conduce una dinamicissima – e dirompente – diplomazia nel segno della presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Ue che l’Ungheria esercita dal primo luglio – dopo Kiev e Mosca, è ora a Pechino -.
Le Pen si consola con il miglior risultato nella storia del Rassemblement National – ma la sua, rispetto alle speranze di una settimana fa, è una cocente delusione – e dichiara che “la marea continua a salire” e che “la nostra vittoria è solo rimandata”: un ritornello stantio, che va avanti dal 2002, quando il refrain lo intonava il padre Jean-Marie. Gli accoliti della leader se la prendono con il sistema elettorale francese, che è sempre lo stesso dal 1958, cioè da quando esiste la Quinta Repubblica.
Il delfino di Marine, Jordan Bardella, 28 anni, che già si sentiva primo ministro ‘in pectore’ d’una Francia consegnata all’estrema destra, deve rassegnarsi alla sua dimensione molto più modesta di deputato europeo. La sconfitta della sorella di Marine, Marie-Caroline, che era largamente in testa al primo turno, completa la ‘serata no’ della famiglia Le Pen.
Il pesidente Macron non parla a caldo, mentre le voci che vengono dal Fronte popolare fanno già cacofonia. “il blocco centrista è vivo”, osservano dall’Eliseo, invitando, però, alla cautela quando la domanda è “chi governerà”.
A sinistra, il leader della France Insoumise Jean-Luc Mélenchon usa toni tribunizi, nel tripudio dei suoi sostenitori: “Macron deve andarsene o nominare premier uno dei nostri”. Invece, Raphaël Glucksmann, leader della sinistra moderata, constata “un’Assemblea divisa” e invita “a comportarsi da adulti” – sembra detto più a Mélenchon che a Macron -.
I socialisti riportano all’Assemblea nazionale dalla Corrèze un ex presidente della Repubblica, François Hollande, cui alcuni attribuiscono ambizioni di governo – ma un ex presidente premier sarebbe ingombrante: magari gli Esteri gli andrebbero giusti -.
Anche il campo di Macron ha distinguo e incrinature. Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin è tagliente: “Nessuno può dire di avere vinto”, “specialmente non il signor Mélenchon”. L’ex primo ministro Edouard Philippe invita le forze politiche a un accordo, senza l’estrema destra, ma anche senza la France Insoumise, cioè senza l’ala estrema, e pure la componente più forte, del Fronte popolare.