Cultura
Emozioni olimpiche: oltre il gesto atletico, oltre lo sforzo produttivo, le Olimpiadi sono un fatto umano
Di Simone Zivillica
Di queste Olimpiadi di Parigi 24 rimarranno tante cartoline. Dalle polemiche su chi possa partecipare e chi no fino a quelle sulle interviste poco empatiche. Dall’inclusività in scena e sul campo gara fino all’esclusione di alcuni atleti stessi. Dagli sforzi produttivi enormi tesi alla sostenibilità fino alla cieca ricerca di grandeur a scapito della sicurezza degli atleti prima e del ritorno d’immagine poi. Resteranno i risultati, da quelli strabilianti cinesi, statunitensi e Francesi a quelli ancora una volta sorprendenti di italiani, australiani, olandesi, giapponesi e sudcoreani. Più di tutto, però, rimarranno le emozioni. Quelle vissute dalle atlete e dagli atleti, mostrate nelle immagini in mondovisione via cavo o via social e quelle fatte vivere a tutte e tutti noi che queste Olimpiadi le abbiamo seguite da casa, dall’ufficio, da sotto l’ombrellone o in un rifugio in alta quota. Proviamo a ripercorrere i momenti più significativi, per un motivo o per un altro, in un insieme che per natura della materia non può e non vuole essere esaustivo.
Rugby a 7: le olimpiadi degli Dei ovali tra canti e politica
La palla ovale è entrata nelle olimpiadi a Rio 2016 e da allora i Fijiani non hanno avuto sostanzialmente rivali. Succede che le Olimpiadi arrivano in Francia e che la Francia vuole imporre subito uno statement: il primo giorno di giochi è previsto il torneo di Rugby a 7 maschile. La Francia vola in finale guidata dalle magie di uno che nell’ambiente è già parecchio famoso: Antoine Dupont, numero 9 (mediano di mischia), capitano francese, miglior giocatore al mondo di rugby a 15 nel 2021, altre due nomination e tre volte miglior giocatore del Sei nazioni. Non uno di passaggio, insomma. Fatto, quello di cambiare sport – perché il rugby a 7 è effettivamente un altro sport rispetto al più conosciuto e giocato a 15 – non inedito ma certamente peculiare. Ancor di più se si aggiunge che il Presidente della Repubblica francese in persona Macron ha fatto la corte a Federazione, Dupont stesso e il suo club, lo Stade Toulousain – andandolo persino a trovare a casa sua con la sua famiglia – affinché abbandonasse molti degli impegni professionali, con il suo club (campione d’Europa) e la nazionale a 15 per dedicarsi quasi esclusivamente alla nazionale olimpica. Operazione riuscita, a pieni voti.
Il rugby a 7, però, ha regalato anche tantissime emozioni fuori dal campo, a cominciare dai canti della selezione Fijiana nell’hospitality parigino, talmente solenne che tutte le altre squadre, non solo di rugby, si sono affacciate alle finestre, o sono addirittura scese al piano terra, per ascoltare in religioso silenzio le melodie del Pacifico dei loro floreali colleghi.
Sulla stessa lunghezza d’onda la nazionale femminile di rugby a 7 canadese che nel tragitto sul bus verso gli impianti sportivi ha organizzato un corposo carpool karaoke con pezzi storici intonati molto creativamente, anche se non necessariamente impeccabili dal punto di vista tecnico. Che dire, inoltre, del ballerino di flamenco inedito sotto mentite spoglie: il giocatore di rugby a 7 spagnolo Manu Moreno si improvvisa – anche se c’è dell’evidente professionismo – in qualche decina di secondi di passi di flamenco negli spogliatoi dopo un allenamento.
Per chiudere questa rassegna canora e di danza partecipata da soli atleti della palla ovale, non può che ricevere menzione al merito e bacio accademico la Haka di celebrazione dell’oro olimpico nel rugby a 7 femminile delle Black Ferns, questo il loro nome di battaglia. Siamo abituati – anche troppo ormai – alle Haka dei loro colleghi uomini, ormai divenuti famosi anche grazie alla danza di guerra che inscenano prima di ogni incontro. Questa delle Ferns, però, non ce ne vorranno gli All Blacks, ha qualcosa in più, e fa salire i brividi lungo le braccia e inumidisce le pupille.
Terra rossa per cuori forti: l’Italia del tennis è olimpica
Il tennis italiano costruisce i suoi fasti in un presente spumeggiante e in un futuro che definire roseo è certamente cauto. Comincia Musetti che strappa il suo bronzo dopo essersi arreso solo a Sua Maestà Djockovic. Il duo femminile Errani-Paolini fa la storia contro le atlete “neutrali” russe, che in due avevano l’età della sola Errani, e portano a casa il primo oro olimpico del tennis Italiano.
La loro corsa in bike sharing nella notte parigina, documentata dai colleghi di Ala News, è stata senza dubbio propiziatoria, così come il sorriso contagioso della lucchese Paolini e le lacrime piene di forza e orgoglio della bolognese Errani.
La finale per l’oro tra l’astro nascente Alcaraz e The Goat (il più grande di tutti i tempi) Djockovic è un match dal livello ultraterreno. Finisce nelle mani del trentasettenne serbo che scoppia in singhiozzi e lacrime sulla terra rossa di Parigi prima di abbracciare la famiglia in tribuna. Lacrime che hanno raggiunto anche lo sconfitto Alcaraz, che a soli 21 anni può già essere deluso di una sconfitta contro uno dei mostri sacri del suo sport, e non riesce a proseguire l’intervista post-gara con un giornalista che si è dimostrato un gigante di intelligenza professionale e ancor prima emozionale, confortandolo e dandogli tutto il tempo che gli occorreva. Un esempio per molti, e molte.
Emozioni olimpiche in pedana tra talento ed esperienza
Per raccontare di spade, fioretti e sciabole non basterebbero libri interi. Si proverà qui in un paio di paragrafi a raggruppare le cose più significative successe in queste Olimpiadi in pedana. Alla sciabola individuale, Luigi Samele raggiunge la sua seconda medaglia olimpica, stavolta di bronzo, dopo l’argento di Tokyo. Due medaglie olimpiche a 34 e 37 anni. Della serie, non mollare mai.
Nella spada a squadre femminile è storia: le francesi padrone di casa del Grand Palais si inchinano 30 a 29 contro il quartetto d’oro italiano composto da, nomi e cognomi, Giulia Rizzo, Rossella Fiammingo, Mara Navarria ed Alberta Santuccio. Semplicemente grandiose.
La scherma olimpica ha regalato anche storie incredibili oltre il podio. A cominciare dalla brasiliana Nathalie Moellhausen che si sente male in pedana, ed è costretta a lasciare la gara: ha un tumore da prima dell’inizio della sua partecipazione, ma ha voluto partecipare comunque, provandoci finché il corpo le ha detto di no.
Di segno certamente più positivo, la storia della sciabola e dottoressa egiziana Nada Hafez che ha gareggiato incinta al settimo mese. Una di quelle frasi che si fa fatica a condire con altri dettagli. Semplicemente incredibile. Come ha detto lei stessa, in pedana si può stare anche in tre. Auguri!
Il fioretto a squadre maschile vede arrendersi il quartetto italiano ai nipponici in finale per l’oro. È “solo” argento, probabilmente a causa dell’assalto perso dal veterano Foconi. In pedana, però, si vince in 4 e si perde in 4. Gli abbracci degli altri tre moschettieri, giovani e talentuosissimi, lo hanno dimostrato a tutti, giornalisti e agitatori social in primis.
Trave, parallele, volteggio, corpo libero: olimpiadi storiche per la ginnastica femminile
Hanno combattuto con i mostri sacri della ginnastica mondiale, universale si potrebbe osare, di Simone Biles, di Sunisa Lee, di Rebeca Andrade. Hanno incassato qualcosa a squadre, ma hanno portato a casa l’argento. Hanno sbancato in singolare alla trave. Due gradini del podio su tre sono tricolore: Alice d’Amato d’oro e Manila Esposito bronzo. Menzione d’onore per la diciottenne cinese d’argento Zhou Yaqinche non capisce il gesto di mordere la medaglia delle azzurre, ma le guarda e le imita con dolcezza infinita da film disney.
Al corpo libero Rebeca Andrade, storica avversaria della Dea Biles, trova il suo trionfo e conquista l’oro, ovviamente davanti proprio a Simone Biles e alla sua connazionale Jordan Chiles. Podio all black, ed è la prima volta nella storia della ginnastica olimpica. Le due americane si inchinano all’ingresso sul gradino più alto del podio della brasiliana. Altra lezione di sport e altra scena mai vista alle olimpiadi.
Volley, una storia olimpica, una lezione di sport e una di umanità tra popoli
Impresa sportiva dell’Italia del volley maschile ai quarti di finale quando contro il Giappone che ci regola subito due set a zero. Rinasciamo e sotto la guida di Giannelli che si prende responsabilità pesanti come tutta l’arena, vinciamo al tie break. È semifinale. Purtroppo è l’ultimo traguardo positivo perché lì perdiamo e anche il bronzo della finalina va agli statunitensi.
Anche le donne trovano dall’altra parte della rete le americane. La storia qui, però, è diversa. Siamo in finale per l’oro ed è la prima volta nella storia del volley femminile. Sylla, Orro, Egonu, Fahr e compagne hanno perso un solo set all’esordio nel torneo, poi solo punteggio pieno in tutti gli incontri. Un solo risultato possibile per la squadra capitanata da Anna Danesi e guidata da Velasco: 3-0. Non potevano smentirsi in finale: le statunitensi non hanno mai avuto una palla facile, anzi giocabile, e si arriva presto, dopo solo 1 ora e 20 di gioco, alla premiazione delle azzurre campionesse olimpiche dopo 17 set vinti. Semplicemente storiche. E la storia passa anche dalle lacrime in campo e da quelle di chi ha commentato quest’impresa memorabile.
Nel beach volley, invece, si è consumata la scena madre di questo film meraviglioso che sono state le Olimpiadi. Canada-Brasile femminile finisce quasi alle mani e mai come stavolta la rete che divide il campo è stata barriera fisica e metaforica che ha impedito di un soffio lo scontro fisico tra le due compagini – anche se l’arbitro è dovuto scendere e mettersi di mezzo per scongiurare il peggio. Quando gli animi sembravano placati, ma continuavano a volare improperi a distanza, il DJ dell’arena decide di prendere il toro per le corna e “sparare” Imagine di John Lennon nell’impianto audio. Il riflesso condizionato di tutte e quattro le atlete si fa sorriso sui loro volti e, mentre tutto lo stadio canta all’unisono la canzone di Pace per eccellenza, si distendono in un applauso e un cenno di scuse per la scena poco olimpica, ma molto umana, di cui si erano rese protagoniste. Poesia.
Veloci e in alto, con qualche sospiro: le olimpiadi dell’atletica
La vittoria storica di Julien Alfred nei 100m donne, prima medaglia e primo oro per Santa Lucia, isola caraibica grande come Modena, è una di quelle storie da film che vorresti vedere praticamente ogni sera. Invece è realtà e Julien Alfred è la donna più veloce del mondo.
I 100m maschili non sono i più veloci – sua maestà Bolt ancora domina nei tempi – ma di certo i più serrati della storia. Il nostro Jacobs risulta ancora competitivo con il suo ottimo 9.85″ ma si piazza solo quinto arrendenosi ad americani e al favorito jamaicano. Gli italiani ci riprovano nella staffetta 4×100 e si avvicinano ancora di più, ma arrivano quarti. Siamo, comunque, ancora tra i più veloci del mondo.
Tamberi con i calcoli renali rischia di saltare le sue olimpiadi, ma riesce a raggiungere Parigi e a qualificarsi per le finali con qualche difficoltà. Arriva a Parigi stremato per le qualificazioni. Centra la finale anche se non è al massimo della forma. Ci pensa il suo amico Brahim a dargli forza, con un altro dei loro storici abbracci. Non bastano, però, nella finale, quando deve arrendersi a una misura che sicuramente non lo rappresenta. Ora, però, è il momento delle cure.
Nella corsa sulle distanze, invece, torniamo a mettere i piedi sul podio con l’argento di Nadia Battocletti nei 10mila metri, spinta anche dalla comunità delle sue montagne di Cles, in Trentino Alto Adige, dov’era stato anche installato un maxi-schermo per sostenere la loro concittadina. Stessa cosa, tra l’altro, era stata fatta a Bagni di Lucca per Jasmine Paolini, deve portar bene. Una gara, quella dei 10mila donne, che ha visto un’altra di quelle scene da film da non crederci: la favorita mezzofondista etiope, ma naturalizzata olandese in quanto rifugiata nei Paesi Bassi, cade a qualche centinaio di metri dal traguardo. Come se poco fosse, si rialza, supera tutte, o quasi, come fosse una domenica qualsiasi per Marc Marquez in sella alla sua Ducati, e si va a prendere il suo bronzo. Sifan Hassan lo fa anche con i 5000m prima di andarsi a prendere l’oro nella maratona che chiude i Giochi di Parigi. Insomma, un qualcosa che non era mai stato fatto prima. Ci ha pensato una donna, rifugiata. Com’è giusto che sia.
Altri protagonisti di questi Giochi Olimpici di Parigi 2024 sono stati sicuramente i piloti delle macchinine radiocomandate che andavano a recuperare i giavellotti lanciati dagli atleti. Proprio il giavellotto ha portato con sé, nei 92,97m di volo prima di conficcarsi nel prato dello Stade de France, una storia che è lo stendardo dello spirito olimpico, della sportività, del gesto umano. Quel lancio l’ha fatto Arshad Nadeem, portando al Pakistan il primo oro alle Olimpiadi della sua storia. Quella stessa storia vuole che il Pakistan non finanzi la partecipazione e la preparazione ai Giochi Olimpici dei suoi atleti. Nadeem, però, è un talento e crede nel suo sogno. Non è l’unico. Un indiano, detentore dell’oro olimpico in carica, Neeraj Chopra, decide di aiutarlo a fare un crowdfunding (e sarà anche il suo maggior finanziatore) per pagarsi gli allenamenti e la trasferta olimpica. Ricapitolando: un lanciatore del giavellotto indiano finanzia e aiuta un collega pakistano a partecipare alle Olimpiadi, finendo poi secondo proprio dietro a colui che ha aiutato, riuscendo a lanciare “solo” a 89,45m. Se non è lo spot olimpico per eccellenza questo, davvero non può esisterne uno.
Emozioni in vasca: le olimpiadi del nuoto riportano in alto il tricolore
L’Italia del nuoto non ha fatto felici gli addetti ai lavori, ma ha comunque portato a casa 5 medaglie. I due ori delle nuove leve Ceccon (dorso 100m) e Martinenghi (rana 100m) sono commoventi, così come la felicità strozzata di Benedetta Pilato a cui sfuma il bronzo per una manciata di centesimi, con buona pace di chi le ha dato della fallita a 19 anni. L’argento del gigante Paltrinieri nei 1500m, infine, è la riconferma della sua grandezza sulla lunga distanza.
Ring e tatami: approcci diversi, storie che pesano
Cyndy Ngamba, camerunense pugile del team rifugiati vive in Inghilterra da quando ha lasciato, con la famiglia, il Camerun: lì essere lesbica – così come ogni altro orientamento sessuale oltre a quello etero – è reato punito con carcere e multe pecuniarie. Conquista la medaglia di bronzo per la prima volta nella storia per il team rifugiati da quando esiste (ossia Rio 2016). Una medaglia olimpica vale tanto sempre. In questo caso vale di più.
Teddy Riner vince il terzo oro consecutivo nel judo: è storia contro il coreano, a sua volta campione del mondo in carica. Gennaro Pirelli se lo trova sul tatami con i suoi 50kg e 20cm in più. Il napoletano, coriaceo e orgoglioso dell’opportunità, non fa una piega e si arrende solo al Golden Score. Nessun urlo allo sconvolgimento dell’ordine naturale del mondo, solo sport che fa il suo corso, consapevolezza dei propri mezzi e abnegazione. Un insegnamento per molti, e molte.
Mijaín López si ritira dopo la quinta medaglia d’oro nella lotta greco-romana. È l’unico nella storia delle Olimpiadi ad essere riuscito in quest’impresa. Di pari iconicità è il gesto dell’atleta cubano alla fine del suo ultimo match: si toglie le scarpe da gara e le lascia al centro del tatami, simmetricamente, e simbolicamente, all’interno del simbolo della fiamma olimpica di Parigi 2024.
Prendere la mira alle olimpiadi: ognuno a suo modo
Tema poco dibattuto ma centrale proprio per lo sforzo produttivo di un evento come questo, è quello dell’enorme mole di volontari che hanno contribuito a rendere le Olimpiadi di Parigi 2024 possibili: sono stati 45mila. In altre Olimpiadi, quelle di Rio, tra i volontari c’era anche la guademalteca Adriana Ruano. Un’ex ginnasta che si è vista sfilare il sogno olimpico per un brutto infortunio ma che continua a credere nei cinque cerchi. Come sport si sceglie il tiro al volo e si qualifica 26esima a Tokyo. A Parigi ha 29 anni e si ritrova sul gradino più alto del podio a stringere tra i denti la sua medaglia d’oro, tra l’altro davanti alla nostra Silvana Stanco.
Si scrive basket, ma si legge Team USA, ancora una volta
Sembrava scontato ma non lo è stato. Quando c’è il basket e ci sono gli Stati Uniti il risultato sembra uno e uno solo. Invece gli alieni hanno dovuto giocare per davvero, difendere per davvero, impegnarsi per davvero. Hanno rischiato contro un meraviglioso Sud Sudan che li ha costretti agli straordinari di uno storico 101-100, così come la Serbia che li ha dominati in semifinale fino a quando Steph Curry non ha deciso di chiudere la questione. Alla fine, anche stavolta, il basket è quello sport giocato bene in tutto il mondo ma dove alla fine vince il Team USA. Non conta se sia il Dream Team, il Redeem Team o questo, l’Avengers Team, così com’è già stato rinominato dal suo Re, LeBron James. Proprio lui arriva al terzo oro olimpico, a 40 anni, e qualcuno il dubbio che si presenti anche tra 4 anni a Los Angeles, a casa sua, ce l’ha. Ma è in buona compagnia, dal già citato Curry all’incredibile 4 volte campione olimpico Kevin Durant. 4 ori, e già pensa a un possibile prossimo. Non resta che aspettare quattro anni.