Si è svolto ieri l’altro ad Antalya, in Turchia, il primo incontro interlocutorio tra il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba, mediato dal titolare degli Esteri di Ankara Mevlüt Çavuşoğlu.
Per il governo della Turchia si è trattato di un piccolo ma significativo successo diplomatico sfuggito finora a tedeschi, francesi e israeliani, che ne segnala in maniera piuttosto evidente l’intenzione di ritagliarsi un ruolo centrale nella crisi ucraina oltre che di difendere lo status di potenza regionale conquistato in questi anni.
La Turchia è tra i paesi più esposti ai contraccolpi del conflitto, visto che potrebbe perdere in un colpo solo un partner fondamentale sotto il profilo militare, economico e logistico come Kiev e assistere alla completa restaurazione dell’egemonia di Mosca nel bacino del Mar Nero. Per questo è costretta a seguire un equilibrato approccio alla crisi – fornendo i suoi droni da combattimento agli ucraini, senza però chiudere lo spazio aereo anatolico o imporre sanzioni alla Russia.
I prossimi sviluppi del conflitto potrebbero rendere insostenibile la postura di Ankara e la neutralità attiva perseguita fin qui dalla Turchia, soprattutto nel caso in cui Mosca dovesse riuscire a riconquistare l’Ucraina o una parte di essa. Come le regioni russofile a est del Dnepr o il ponte terrestre meridionale che serve ai russi per unire la Transnistria con la Crimea e il Donbas.
Sul campo di battaglia lo sviluppo più rilevante della settimana riguarda la chiusura in una gigantesca sacca di tutto l’angolo nord-orientale dell’Ucraina. Le forze russe stanno consolidando le proprie posizioni intorno alla capitale nemica, dove nel frattempo sono affluite nuove unità di fanteria cecena e di mercenari del gruppo Wagner.
L’obiettivo del Cremlino è di circondare Kiev, per tagliarla fuori dagli aiuti che arrivano via terra dal confine polacco e dalla Galizia e indurre alla resa il governo del presidente Volodymyr Zelensky. La manovra è molto complessa ed è rallentata da linee logistiche lunghe e insicure, costantemente aggredite dagli ucraini, e da un numero di forze probabilmente insufficiente a coprire tutti gli obiettivi.
La prossima settimana sarà decisiva per capire se la Russia riuscirà davvero ad assediare Kiev e per capire quali saranno le rispettive posizioni di forza al tavolo negoziale. Le operazioni belliche sono più dinamiche nel settore meridionale, dove l’esercito russo e le milizie alleate del Donbas hanno iniziato l’assalto contro Mariupol, il porto ucraino affacciato sul Mar d’Azov, dove sono asserragliati gruppi paramilitari banderisti di estrema destra.
La città è strategica perché dalla sua resa dipende la possibilità di liberare preziose risorse militari da impiegare contro Zaporižžja a nord-ovest. Questo grande centro urbano è uno dei principali punti di attraversamento del fiume Dnepr e la sua conquista è fondamentale per tagliare la via di fuga alle brigate ucraine schierate lungo la linea del fronte nel Donbas.
Per questo motivo la caduta di Mariupol potrebbe costringere Kiev a ritirare immediatamente tutti i reparti schierati a est del Dnepr, consegnando di fatto metà del paese all’invasore. Per il momento il morale dell’esercito ucraino è ancora alto, complici i ripetuti smacchi inflitti ai russi nei primi giorni di guerra e la capacità di difendere bersagli dal forte valore simbolico come Kiev e gli altri grandi centri urbani del paese, come appunto Sumy, Kharkiv e la stessa Mariupol.
Una sconfitta in una di queste battaglie potrebbe però cambiare molto rapidamente l’andamento del conflitto. Dopotutto, anche le forze ucraine stanno facendo i conti con perdite elevate, munizionamento che inizia a scarseggiare in attesa di ricevere gli aiuti occidentali e un morale che si sta abbassando nella popolazione civile a causa dei bombardamenti russi.
Nel mentre gli effetti del conflitto colpiscono l’Italia soprattutto sul fronte energetico. Il governo Draghi sta studiando nuove misure per calmierare le tariffe di imprese e famiglie a fronte di vincoli di bilancio stringenti, su cui gravano un debito pubblico altissimo e risorse “bloccate” negli scorsi mesi per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
In assenza di contromisure tempestive, l’impennata dei costi energetici rischia di generare un fortissimo malcontento sociale e di incidere negativamente sulla ripresa post-pandemica. Ma sono in progetto anche interventi sul fronte della decarbonizzazione, com’è attestato dallo sblocco improvviso di una decina di parchi eolici e fotovoltaici rimasti congelati da tempo immemore, e sarebbe allo studio persino una parziale correzione del Pnrr.
Il riferimento è in questo caso alla necessità di immettere nuove risorse nel sistema della Difesa e di ripensare il nostro modo di concepire la sicurezza. I vincoli imposti dalla Commissione europea non consentono di utilizzare i fondi del Recovery per le spese belliche, ma non impediscono agli Stati membri di finanziare progetti a uso duale aventi finalità sia civili che militari.
È il caso dei velivoli a pilotaggio remoto per la sorveglianza delle frontiere o dei traffici illeciti, come pure della sicurezza cibernetica che rappresenta la frontiera più sofisticata dello scontro in corso nel continente per la ridefinizione delle sue aree di influenza.