Innovazione

Dazi? Nulla di nuovo, la exit strategy è una sola: stare uniti

22
Aprile 2025
Di Renato Loiero*

(*Articolo di Renato Loiero, Consigliere Politiche di Bilancio – Presidente del Consiglio) pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Nihil sub sole novi, verrebbe da dire commentando le vicende recenti relative ai dazi. Il disavanzo di bilancia commerciale USA ha infatti caratteristiche ormai croniche e le politiche per ridurlo non sono state efficaci, per il semplice motivo che non sono passate attraverso gli unici strumenti idonei, né quelli più dolorosi (la deflazione interna) né quelli ortodossi, ovvero una politica dei fattori idonea a rendere competitiva la produzione di beni e servizi negli USA. Le global value chains della produzione di beni, rese profittevoli da numerosi fattori, a partite dai costi della manodopera, rappresentano una caratteristica difficilmente comprimibile nell’economia globale. Per far fronte da altre direzioni a questa situazione ormai da tempo gli USA hanno moltiplicato le barriere tariffarie e non. I dazi sono già applicati da tempo su vari prodotti, mentre nel novero di quelle non tariffarie rientrano, ad esempio, il FSMA, le quote e le licenze di importazione. A loro volta, gli Usa imputano alla UE l’esistenza di analoghe restrizioni su OGM e altro. È chiaro che la risposta protezionistica al disavanzo commerciale può essere controproducente per l’economia USA e fortemente destabilizzante per gli equilibri geo-economici globali. I dazi restano uno strumento antico, dimostratosi efficace solo in situazioni particolari, classicamente per proteggere i paesi in via di industrializzazione. Nel caso di acciaio e alluminio, solo per fare un esempio, i dazi favoriscono l’attività siderurgica USA ma penalizzano molti settori manifatturieri domestici che si riforniscono di metallo. Studi empirici ed esperienze passate puntano a un effetto complessivamente negativo per l’economia USA, per non parlare degli effetti inflazionistici quasi inevitabili. Una misura illogica, quindi, che si giustifica solo da un altro punto di vista: l’obiettivo evidente di Trump è quello di cambiare le regole del gioco degli scambi globali e far valere il peso degli USA in contrattazioni bilaterali con i partner commerciali. L’UE è consapevole di ciò ed ha già sperimentato questa dinamica nel corso del primo quadriennio Trump. Il lettore ricorderà che già nel luglio 2018 si arrivò all’accordo Trump-Juncker per una riduzione progressiva dei dazi e l’aumento delle esportazioni di gas naturale liquefatto verso l’UE. Anche ora, a sette anni di distanza, la proposta dell’UE per tentare di ristabilire una condizione di “zero per zero”, cioè nessun dazio da entrambe le parti, sembra prevedere importazioni di gas naturale liquefatto, garanzie sulle eventuali triangolazioni sui beni cinesi e la sospensione delle misure di tassazione del settore big tech.

Estendendo lo sguardo, anche l’analisi classica deve cedere il passo ai fattori politici. Fino a pochi decenni fa, segnatamente prima dell’ingresso della Cina nel WTO, una sorta di “evento spartiacque”, la cornice metodologica vedeva confrontarsi democrazie a capitalismo di mercato, liberiste, senza pregiudiziali verso pratiche di offshoring con al centro l’economia USA e con il G7 come unico forum di coordinamento internazionale. Ora quel paradigma appare spesso stravolto: prevalgono le autocrazie, a capitalismo di stato, il protezionismo e il near o friendshoring. All’unico forum G7 si è sostituito spesso il G20 che a sua volta soffre la “concorrenza” dei paesi BRICS e la Cina è un interlocutore sempre più autorevole per molte economie. In sintesi, siamo passati dal multilateralismo di stampo USA ad un unilateralismo a geometria variabile nel quale i fattori politici prevalgono sempre più spesso sui paradigmi dell’economia liberale. Piaccia o meno, questo nuovo contesto è evidentemente più incerto, più pericoloso, più complesso ed in esso una leadership autorevole e stabile non può che fare bene all’Italia. La missione del presidente Meloni negli USA è una iniziativa bilaterale maturata in pieno contatto con Ursula von der Leyen. All’interno dell’UE, chiunque ha buone relazioni con gli USA fa bene ad usarle per difendere gli interessi unionali. È esattamente la logica alla base dell’incontro, ferma restando ovviamente la competenza esclusiva della UE in tema di politica commerciale.