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Cop28, oggi il via tra dubbi e divisioni

30
Novembre 2023
Di Giampiero Cinelli

Si apre oggi a Dubai la Cop28, l’ormai usuale conferenza mondiale sul clima, in cui convergono sia le speranze che le preoccupazioni e le perplessità dell’opinione pubblica, su una questione così complessa come quella della transizione climatica. Le delegazioni lavoreranno dal 30 novembre al 12 dicembre, giorno in cui verranno comunicati i risultati nella dichiarazione finale congiunta dei 28 Paesi partecipanti.

Coesione, questa sconosciuta

L’ultimo incontro fu giudicato deludente e già oggi, mentre tutti i leader politici arrivano (Joe Biden e Xi Jinping non ci saranno), l’idea è che molti Paesi abbiano in testa di andare per la loro strada. La Russia infatti deve mandare avanti la sua politica energetica nel quadro del conflitto che ha scatenato e di quello in Medio Oriente, la Cina e l’India hanno bisogno del gas russo e fanno ancora largo uso di carbone, i Paesi del Golfo non hanno molta voglia di cambiare il modello che li rende forti e se lo vogliono fare lo intendono secondo le loro logiche. Anche in Europa una nazione importante come l’Inghilterra, guidata ora da Rishi Sunak, ha annunciato un rallentamento del programma green. Mentre gli Stati Uniti oscillano tra l’ala del potere più ecologista, quella afferente al mondo Democratico, e l’ala contraria all’agenda verde che fa capo ai Repubblicani, più precisamente all’area di Donald Trump, candidato (e tutt’altro che fuori dai giochi) alla Casa Bianca.

Le emissioni

Ne viene fuori un elemento prevedibile, evidenziato dai rapporti Onu ben prima della Cop28, ovvero che l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura terrestre verrà mancato. Se anche da ora si rispettassero i parametri di riduzione, nel 2030 si sarebbe tra i 2,4 e i 2,6°C. Con la dinamica attuale, invece, si potrà arrivare tra i 2,5 e i 2,9°. L’ipotesi sul tavolo è quindi quella di concordare una riduzione più morbida, del 15% entro il 2030 e del 65% entro il 2050, accompagnate da impegni per porre fine a nuove produzioni ed esplorazioni e ai sussidi ai fossili, aspetto che però si scontra con la prassi che vediamo in molte nazioni e anche ultimamente in Italia. Quasi impossibile pensare che stavolta si arrivi a sottoscrivere l’uscita dai fossili, comunque giudicata da molti esperti irrealistica. Quantomeno si tenterà di frenare le spinte a maggiore produzione di carbone, aumentando la media della presenza di impianti di rinnovabili e puntando a investire sui meccanismi di cattura e stoccaggio della CO2.

Le risorse

Andrà visto poi se si riuscirà a rendere operativo il Fondo Loss and Demage, per risarcire i paesi più poveri dai danni creati dal cambiamento climatico. Dovrebbe essere la Banca Mondiale ad amministrarlo per un periodo di quattro anni. Il fondo dovrebbe superare i 150 miliardi di dollari all’anno, ma servirebbero cifre di gran lunga più alte. A finanziare il Fondo pare debbano essere solo i Paesi più ricchi che storicamente hanno inquinato di più, ma ovviamente sul punto ci sarà bagarre, e probabilmente anche alcune economie emergenti, come Emirati Arabi e Arabia Saudita, tuttora classificati come paesi in via di sviluppo ai sensi della convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico del 1992, potrebbero essere incluse tra i contributori. Diverse Ong chiedono che il Fondo venga pagato anche con tasse imposte alle compagnie fossili. Si parlerà poi di un altro dispositivo, un Fondo da 100 miliardi all’anno fino al 2025 a sostegno delle economie in via di sviluppo.

La faccenda della carne

Da voci non ufficiali, si apprende che in occasione della ventottesima conferenza sul clima, le grandi aziende produttrici di carne hanno messo in atto un piano di comunicazione allo scopo di mandare un messaggio politico ben preciso: la carne va ritenuto un alimento sostenibile. In particolare, dei documenti analizzati dal Guardian e prodotti dall’Alleanza globale della carne, sottolineano il desiderio del settore di promuovere le proprie prove scientifiche al vertice.

L’inchiesta della Bbc

Intanto circola una notizia legata alla Cop28, che se concreta ha certamente grande peso. Da un’inchiesta della Bbc, in collaborazione con il Center for Climate Reporting, sono stati rinvenuti documenti preparati dal team di Al Jaber, presidente della Cop28 e ministro dell’industria degli Emirati Arabi in vista degli incontri bilaterali, nei quali, oltre alle questioni della crisi climatica, vi sono «punti di discussione» e «richieste» da presentare ai vari paesi.

Nello specifico, viene auspicata una collaborazione con la Cina per estrarre gas naturale in Mozambico, Canada e Australia, la richiesta al Brasile di «garantire l’allineamento e l’approvazione» dell’offerta di Adnoc per acquistare la maggioranza nella più grande società petrolifera e del gas dell’America Latina, la Braskem, più il sostegno alla Colombia nello sviluppo delle sue risorse fossili e altre 12 proposte per l’estrazione di gas e petrolio con altrettanti paesi, tra cui Germania ed Egitto.

In più, vi è la posizione su una politica comune agli altri paesi produttori di petrolio, come l’Arabia Saudita e il Venezuela, con la raccomandazione di spiegare che «non c’è conflitto tra lo sviluppo sostenibile delle risorse naturali di un paese e il suo impegno nei confronti del cambiamento climatico».

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