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Bergoglio, la morte, noi. Tra negazione e impreparazione davanti all’ultima porta

28
Aprile 2025
Di Daniele Capezzone

Nella Grande Distrazione che ci avvolge, un po’ tutti sembriamo aver perso la bussola. Credenti che ignorano il senso della loro stessa fede, e laici smarriti che confondono l’estraneità (ottima) alla dimensione dogmatico-confessionale con la lontananza (pessima) da un necessario percorso di ricerca di senso, di umanesimo agnostico, di crescita spirituale e interiore.

In questo impoverimento generale, era chiaro che la via più facile per noi occidentali fosse quella della negazione dell’idea stessa della morte: non ne parliamo, non ci prepariamo, ci illudiamo che un attivismo dispersivo e vitalistico possa esorcizzare quell’ultima porta. Ovviamente non è così. 

A svelare i nostri piccoli trucchi, le maldestre operazioni di mascheramento tipiche della nostra società ipermediatizzata, basta una morte celebre e inattesa. Questa settimana, quella di Papa Francesco.  

Anche stavolta, si è messa in moto la macchina del “lutto 2.0”, che ormai funziona da alcuni anni, determinando un regolare e prevedibile rimbalzo tra vecchi media e social network. 

Noi, proprio noi, abituati di solito a negare la nozione di “morte”, d’un tratto – quasi per contrappasso – parliamo solo della morte per un fazzoletto di giorni: trasmissioni speciali in tv, ricordi a tutte le ore, umanissima galleria – tra testimoni e amici – di sincerità e ipocrisia, di affetto vero e furbizie mediocri, e naturalmente un’onda di emozione sui social, dove tutti abbiamo sentito il “dovere” di dire la nostra, e poi – questo accadrà nei prossimi giorni – trascorso poco tempo, sarà di nuovo oblio, negazione, rimozione, esorcismo del silenzio. 

Siamo ridotti a una società-Snapchat, l’app che genera contenuti, foto, immagini, destinati però a sparire e ad autodistruggersi dopo pochi secondi. Metodo ormai utilizzato da ogni app di messaggistica, con l’autodistruzione più o meno rapida dei contenuti trasmessi da utente a utente. E così vale anche per noi: un’onda improvvisa di attenzione, e poi di nuovo il buio. 

C’è modo di uscire da questa trappola di emozioni superficiali, e di riguadagnare il respiro di una “elaborazione” più profonda, magari più dolorosa, ma capace di renderci migliori, più pronti, meno presi di sorpresa? A ognuno di noi il compito di tentare questa ricerca, in mezzo a tanto rumore. 

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