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Bergoglio, la morte, noi. Tra negazione e impreparazione davanti all’ultima porta
Di Daniele Capezzone
Nella Grande Distrazione che ci avvolge, un po’ tutti sembriamo aver perso la bussola. Credenti che ignorano il senso della loro stessa fede, e laici smarriti che confondono l’estraneità (ottima) alla dimensione dogmatico-confessionale con la lontananza (pessima) da un necessario percorso di ricerca di senso, di umanesimo agnostico, di crescita spirituale e interiore.
In questo impoverimento generale, era chiaro che la via più facile per noi occidentali fosse quella della negazione dell’idea stessa della morte: non ne parliamo, non ci prepariamo, ci illudiamo che un attivismo dispersivo e vitalistico possa esorcizzare quell’ultima porta. Ovviamente non è così.
A svelare i nostri piccoli trucchi, le maldestre operazioni di mascheramento tipiche della nostra società ipermediatizzata, basta una morte celebre e inattesa. Questa settimana, quella di Papa Francesco.
Anche stavolta, si è messa in moto la macchina del “lutto 2.0”, che ormai funziona da alcuni anni, determinando un regolare e prevedibile rimbalzo tra vecchi media e social network.
Noi, proprio noi, abituati di solito a negare la nozione di “morte”, d’un tratto – quasi per contrappasso – parliamo solo della morte per un fazzoletto di giorni: trasmissioni speciali in tv, ricordi a tutte le ore, umanissima galleria – tra testimoni e amici – di sincerità e ipocrisia, di affetto vero e furbizie mediocri, e naturalmente un’onda di emozione sui social, dove tutti abbiamo sentito il “dovere” di dire la nostra, e poi – questo accadrà nei prossimi giorni – trascorso poco tempo, sarà di nuovo oblio, negazione, rimozione, esorcismo del silenzio.
Siamo ridotti a una società-Snapchat, l’app che genera contenuti, foto, immagini, destinati però a sparire e ad autodistruggersi dopo pochi secondi. Metodo ormai utilizzato da ogni app di messaggistica, con l’autodistruzione più o meno rapida dei contenuti trasmessi da utente a utente. E così vale anche per noi: un’onda improvvisa di attenzione, e poi di nuovo il buio.
C’è modo di uscire da questa trappola di emozioni superficiali, e di riguadagnare il respiro di una “elaborazione” più profonda, magari più dolorosa, ma capace di renderci migliori, più pronti, meno presi di sorpresa? A ognuno di noi il compito di tentare questa ricerca, in mezzo a tanto rumore.
