Con sconcertante nonchalance, potremmo dire “in scioltezza”, numerosi commentatori, sia favorevoli sia ostili all’attuale governo, hanno candidamente collegato l’offensiva giudiziaria oggettivamente in corso contro esponenti della maggioranza di centrodestra all’avvio della riforma della giustizia appena incardinata dal guardasigilli Carlo Nordio.
Non sappiamo se le cose stiano così. Ma il solo fatto che se ne discuta in questi termini dà la misura dei danni devastanti che il trentennio del giustizialismo ha determinato. In particolare, veicolando la perniciosa idea (che travolge ogni separazione fra i poteri) che tocchi al giudiziario concorrere alla scrittura delle leggi travolgendo il legislativo (e, nel tamponamento, colpendo pure le prerogative dell’esecutivo).
Sarà bene ricompitare alcune nozioni perfino elementari: né il Csm né tantomeno l’Anm (e meno che mai le singole correnti della magistratura) possono trasformarsi in una “terza Camera” supplementare e abusiva. Questo non vuol dire sacrificare la possibilità di esprimersi dei magistrati: vuol dire però che chi desideri fare politica deve candidarsi alle elezioni, entrare in Parlamento, e lì svolgere funzioni da legislatore. Non altrove, né con altri mezzi.
Dunque, la maggioranza farà bene a non rispondere con le parole, ma con i fatti. Facendo correre veloce l’iter parlamentare del primo pacchetto Nordio (abuso d’ufficio, traffico di influenze, intercettazioni), e accelerando l’incardinamento del secondo (inclusa la decisiva separazione delle carriere).
Siamo ad un punto di svolta. Il centrodestra del passato disse sulla giustizia parole quasi sempre giuste, ma – per una serie di fattori – non fu in grado di realizzare riforme garantiste davvero incisive. Sarebbe un peccato se anche l’attuale centrodestra si limitasse a intervenire sulla superficie delle cose: Carlo Nordio è un fuoriclasse, è gran merito di Giorgia Meloni averlo scelto, e dunque siamo in presenza dell’opportunità storica di varare riforme che cambino le cose sul serio e in profondità.