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Allenatori italiani: la fuga all’estero degli strateghi
Di Flavia Iannilli
“Ruggito azzurro”, Corriere dello Sport 30 giugno 1982. “L’Italia nel pallone”, Repubblica 6 luglio 1982. “Mennea, finalmente!”, La Gazzetta dello Sport, 7 settembre 1974. “Tutto vero!”, La Gazzetta dello Sport, 10 luglio 2006. “La Storia siamo noi”, Corriere della sera, 2 agosto 2021. Si potrebbe andare avanti per ore, dalle imprese più seguite come la vittoria del mondiale di calcio del 2006 o dell’europeo nel 2021, passando per Mennea e Pantani, fino ad arrivare a Tamberi e Jacobs e senza lasciare indietro Pellegrini, Goggia, Cagnotto, Montano, Tomba, Chechi e Berrettini.
L’Italia con i suoi 302.73 Km quadrati si mette in gioco, si qualifica, partecipa e non si limita a vincere ma regala gioie che rimangono memorabili. Lo sport, che lo si voglia epitetare con Azzurri, Settebello o Farfalle, seppellisce le scaramucce e fa venire la pelle d’oca.
Un orgoglio immediato del quale si fatica a trovare la fonte se non proprio nell’importanza di praticare sport e di chi ci dedica sì fatica, ma anche la propria vita nel seguire campioni e non nel loro percorso. Atleti, allenatori, direttori tecnici, istruttori, direttori sportivi, preparatori atletici, direttori di gara e tesserati; un intero settore che contribuisce a quell’inebriamento gratificante e glorificante che aggredisce vincitori e “semplici” sportivi.
Ma, nonostante le imprese che decorano il palmares italiano, attira l’attenzione il fenomeno degli allenatori che decidono di lavorare abbandonando il Bel Paese. Lavoratori ricercati, acclamati e che risultano altrettanto vincenti.
Sperando che la battaglia per il diritto allo sport porti risultati sempre più rilevanti al settore non limitandosi solo alle norme (vedi decreto correttivo bis alla Riforma dello sport del 26 luglio 2023), ma investendo – come dichiarò l’On. Mauro Berruto (Largo Chigi) – si intende volgere lo sguardo a quei traguardi che colpiscono l’Italia di riflesso.
La fuga degli strateghi italiani ha sfaccettature diverse, soprattutto a seconda dello sport preso in considerazione. Dalla carenza di possibilità, al potere dei soldi fino alla sfida personale. Qualsiasi sia la motivazione vengono presi in considerazione per la “bella figura” che fanno fare all’Italia.
Mancini ct della nazionale saudita è l’ultimo ad aver polarizzato l’attenzione, ma si attende per poter dare un giudizio del suo operato. Di sicuro Ranieri regalò un sogno più che tangibile non solo al Leicester, la sua impresa fece affezionare tutti alla squadra inglese. Ancelotti rimane un simbolo di autorevolezza indiscussa, godendo dello sguardo orgoglioso milanista e di tutti coloro a cui piace ricordare. E si potrebbero versare fiumi di inchiostro su Lippi, Conte, Guidolin e Capello.
Non solo calcio. Nel basket rimane un caso eclatante quello di Sergio Scariolo, con la nazionale spagnola ha conquistato tre titoli europei e due medaglie olimpiche. Non di meno, sempre tra cestisti, è Ettore Messina che si è prestato alla Spagna, alla Russia e anche all’Nba. Alessandro Campagna, ex pallanuotista e allenatore, oltre ad avere un palmarès invidiabile, per qualche anno venne chiamato dalla nazionale greca, con la quale vinse una medaglia di bronzo al mondiale di Montreal nel 2005.
A offrire un esempio lampante è il mondo del volley. Da Andrea Giani alla guida della maschile slovena, passando per Roberto Santilli recatosi in Polonia o Carlo Parisi che propese per la Repubblica Ceca. Ma rimanendo sull’attualità Daniele Santarelli è indiscutibilmente un caso tanto di orgoglio di riflesso quanto di sguardi sportivamente invidiosi. Ct prima della nazionale croata e successivamente di quella femminile serba vince il mondiale del 2022 e, non abbastanza appagato, si aggiudica la medaglia d’oro all’europeo del 2023 con la nazionale turca. Traguardi che non sono “solo” degli allenatori ma dello sport tutto.
Lo sport fa crollare i muri. Sì, i muri che separarono materialmente Berlino e ideologicamente tutto il mondo; quella storia abbiamo imparato a conoscerla. I muri che ogni persona indossa nella quotidianità. Quelli sono gli stessi muri che si sgretolano in ogni campo da gioco, perché davanti a una vittoria o ad una sconfitta non ci sono maschere da abitare. Lo sport spezza i filtri, essendo al contempo il filtro stesso della società