Lavoro

Studio INAPP: in Italia solo lo 0,2% del Pil per politiche del lavoro

30
Marzo 2022
Di Alessandro Cozza

La spesa per i servizi e le misure di attivazione per i disoccupati rappresenta lo 0,2% del Pil, a fronte di un valore medio europeo dello 0,6%, malgrado la spesa complessiva per prestazioni sociali resti sopra la media Ue (28,3% del Pil contro il 26,9%). Questo quanto è emerso presso l’Auditorium dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) a Roma, nel corso del convegno “Lavoro, welfare e sicurezza sociale: le nuove sfide”. L’evento è stato l’occasione per discutere con rappresentati delle istituzioni e dell’università sull’attuale sistema di welfare e sulle implicazioni che le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro hanno sul sistema di protezione sociale italiano.

I risultati di due rapporti di ricerca, frutto rispettivamente di una convenzione dell’INAPP con l’Università Luiss Guido Carli e del progetto europeo Mospi (Modernizing social protection systems in Italy), evidenziano come dal punto di vista della composizione della spesa sociale l’area di intervento ‘vecchiaia e superstiti’ copre il 58,3% della spesa sociale, seguita da ‘malattia/salute e invalidità’ (28,6%), ‘famiglia/figli’ (3,9%), ‘disoccupazione’ (5,7%) e ‘contrasto alla povertà ed esclusione sociale’ (3,5%). Malgrado alcuni cambiamenti marginali, dunque, l’Italia continua a costituire nel panorama europeo un paese sbilanciato, da un lato per la scarsità di investimenti sociali (in capitale umano, in servizi di cura, conciliazione, politiche attive del lavoro) e dall’altro per un perdurante squilibrio verso i trasferimenti monetari. Le misure più recenti hanno attutito gli effetti della crisi pandemica su disuguaglianze e rischio povertà, ma resta ancora in ombra il fronte dei servizi, per quanto riguarda sia la presa in carico socio-assistenziale, sia l’attivazione per l’inserimento lavorativo. Resta bassa la spesa per le politiche sociali e persiste un sovraccarico di funzioni di cura sulla famiglia.

“Prevale un generale orientamento verso i trasferimenti monetari, e per lo più di natura previdenziale. Per molti aspetti l’Italia sembra un paese che resta indietro anche rispetto alla nuova agenda di investimento sociale dettata a livello europeo – ha affermato Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP – Da questa linea non si discostano le trasformazioni che negli ultimi anni hanno dato luogo a interventi di grande rilievo, a cominciare dal contrasto della povertà”.

“Ai giovani dovremmo dare un lavoro e più salario perché è il problema dei bassi salari ad obbligarci a pensare ad una pensione di garanzia per il loro futuro”. Così il presidente Inps, Pasquale Tridico, spiega come il sistema contributivo sostanzialmente si avviti intorno ai bassi salari. “In un modello contributivo la pensione di garanzia è quasi un ossimoro visto che con il sistema scelto nel ’96 la contribuzione dovrebbe essere sufficiente a pagare le future pensioni”, spiega. E ribadisce: “il problema dunque sono i bassi salari che ci costringono a ideare una pensione di garanzia. Ma ai giovani invece dovremmo dare un salario e un lavoro”.

Quanto emerge dal report è che tutto questo mondo frastagliato di occupazione precaria e discontinua pone un duplice problema: quello della realizzazione di un salario minimo e quello di una tutela di chi non può raggiungere sufficienti contributi previdenziali.

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