Lavoro

Contact center, altro che “lavoretto”. Borgherese: «La politica ci ascolti di più»

05
Luglio 2022
Di Alessandro Caruso

«Diamo lavoro a una comunità di oltre 180mila persone, con varie ricadute positive sui territori. Abbiamo bisogno di un’attenzione costante da parte delle istituzioni», lo riconosce chiaramente Lelio Borgherese, Presidente di Assocontact, l’associazione che rappresenta le aziende del business process outsourcing, soprattutto nel giorno dell’Assemblea annuale 2022, in cui fare il punto su un settore alle prese con tante sfide. Dallo smartworking alla legge di riordino del settore, fino alla formazione nell’era della digitalizzazione dei processi. Tante priorità, tra cui quella necessaria di intervenire sulla reputazione di un lavoro, quello dei contact center, che la pandemia ha ricordato a tutti quanto possa essere strategico e funzionale.

Presidente, nell’Assemblea annuale 2022 presentate i risultati dello Studio realizzato dal Forum Ambrosetti. Cosa è emerso da questa indagine?
«Lo studio che abbiamo commissionato a The European House – Ambrosetti è il primo nel suo genere. Abbiamo chiesto di sviluppare un modello econometrico originale che ci aiutasse a calcolare l’impatto che i contact center hanno sui territori in cui sono collocati e sul paese. Sono emerse evidenze molto interessanti e per certi aspetti controintuitive. Intanto abbiamo rilevato che le nostre sono strutture sane e competitive, cresciute più della media di mercato nel settore dei servizi nel periodo 2014-2020, che quindi hanno fatto fronte alla pandemia in maniera resiliente confermando un trend di crescita, che hanno un tasso di occupazione stabile a tempo indeterminato di circa il 95%; sono strutture che impiegano in gran parte giovani e donne (rispettivamente +15% e +30% rispetto alla media nazionale), sono collocate prevalentemente al Sud, sono grandi volani di investimento in innovazione tecnologica, in ricerca e sviluppo e, in generale, in tutti i processi di digitalizzazione. Insomma parliamo di un settore che gode di una cattiva fama in maniera immeritata, questo studio parla di una realtà diversa da quella narrata in molti casi».

Come avete vissuto la pandemia? Che eredità ha lasciato al settore dei contact center?
«Nel nostro caso è stata per certi versi un’opportunità, perché ci ha consentito di acquisire una consapevolezza che non era così evidente, mi riferisco allo smartworking. Un cambiamento radicale dei modelli organizzativi che impone un cambiamento di mindset, oltre a un adeguamento delle competenze e un’esigenza di maggiore formazione».

Lelio Borgherese, Presidente Assocontact

Ma quali criteri dovrebbe seguire secondo lei la regolamentazione dello smartworking?
«Sono dell’avviso che serva un framework normativo comune a tutti i settori ma che sia fondamentale demandare la messa in opera degli accordi sullo smartworking alla contrattazione collettiva, quindi al confronto tra parti datoriali e sindacali, fino ad arrivare a una contrattazione aziendale sui singoli territori per confezionare accordi perfettamente sagomati sui fabbisogni di una specifica popolazione lavorativa. Perché in base al mestiere che si fa possono cambiare le esigenze. Nel nostro settore, per esempio, ci sono realtà più concentrate su attività di customer manager e assistenza tecnica, che fanno molto lavoro notturno, mentre ce ne sono altre più dedite al teleselling o telemarketing, che possono avere esigenze differenti. È chiaro che può essere utile stabilire un perimetro normativo uguale per tutti, ma è altrettanto necessario regolamentare ogni singolo segmento professionale, con le sue particolari esigenze».

Che impegno state riservando al tema della protezione dei dati?
«Tutti i nostri associati hanno sempre strutture dedicate alla gestione dei dati, hanno dipartimenti di information technology molto robusti, all’interno dei quali ci sono sempre professionalità specializzate in cybersecurity. Stiamo inoltre facendo molta formazione sul tema. Come associazione di categoria abbiamo lavorato molto sulla protezione dei consumatori, tanto da aver varato iniziative come il “bollino blu” insieme alla definizione di un codice di condotta che punti a superare anche le attuali normative. È un progetto che stiamo portando avanti con il garante privacy e una serie di stakeholder tra committenti, consumatori e altre associazioni datoriali».

Uno dei problemi che accompagna da anni la vostra attività è il gap reputazionale. Che strategie avete per ridurlo?
«È il tema chiave per Assocontact: rovesciare la narrazione mainstream a nostro vantaggio. La pandemia per certi versi è stata utile a questo scopo grazie all’impegno dei nostri operatori durante i vari lockdown, che ha consentito a molte persone di mantenere la comunicazione con i servizi essenziali pubblici e privati. Questa eredità della pandemia sulla reputazione positiva del nostro settore cerchiamo di rinfocolarla anche con azioni di sistema, come il codice di condotta. E abbiamo in questi anni anche portato avanti una proposta di legge di riordino del settore, che rimetta in fila alcuni elementi un po’ disaggregati della regolamentazione che ci riguarda, come le clausole sociali, le tabelle ministeriali, gli ammortizzatori, il rapporto con la committenza, il reshoring dall’estero all’Italia. Un progetto di legge apprezzato trasversalmente che troverà compimento probabilmente nella prossima legislatura. Dobbiamo lavorare molto anche a comunicare le cose positive che facciamo tutti i giorni, ma siamo a lavoro per migliorare anche su questo aspetto».

Avete in mente una campagna di comunicazione in particolare?
«Faremo azioni di comunicazione dura e battagliera per denunciare, anche penalmente, le strutture illegali, che sono una vera rovina per noi, specialmente per la parte outbound. Stiamo pensando anche a un grande progetto di comunicazione ispirato al modello del maestro Manzi: ieri la tv di Stato diede un contributo determinante all’alfabetizzazione del nostro Paese; oggi bisognerebbe ragionare in modo analogo per supportare l’alfabetizzazione digitale senza la quale le trasformazioni che abbiamo in mente non potranno mai dirsi compiute. Ci stiamo lavorando, ma il concept sarà quello di un’alfabetizzazione digitale che veda come protagonisti i contact center».

Parlava della formazione, un tema strategico nei prossimi anni, soprattutto in vista della digitalizzazione. Quali iniziative avete in programma?
«Abbiamo la necessità di una poderosa azione di upskilling e reskilling perché sicuramente nei prossimi anni una serie di task legati al customer manager saranno svolti da applicazioni o automi , i cosiddetti chatbot, e non più da operatori, che potrebbero rischiare di essere espulsi dal circuito lavorativo se non ci muoviamo per tempo per innalzare il loro livello di competenza e professionalità. È giusto che le persone assolvano a compiti più complessi e meno routinari. Per aiutare questo percorso vorremmo aggiungere a quelle aziendali una nostra iniziativa: si chiama BPO Academy, una vera e propria scuola di formazione legata al business process outsourcing. A questo vogliamo affiancare percorsi di certificazione delle competenze, da tradurre in percorsi formativi proprio nel BPO».

Insomma, era nato come un lavoretto, oggi quello dei contact center è una professione sulla quale pensare di investire il futuro. Ma la politica lo ha capito?
«Era nato come lavoretto, adesso è una professione a tutti gli effetti, di conseguenza ci dobbiamo porre il problema di fare evolvere la figura professionale per difendere l’employability dei lavoratori, che è l’unico modo per difendere il posto di lavoro. Per quante leggi si possano fare, l’unico vero modo per difendere il posto di lavoro è difendere l’impiegabilità di chi lo occupa. In che modo? Implementandone competenze e professionalità. Quindi il life long learning nel nostro campo è ormai acquisito. Chi forse non lo ha compreso del tutto sono le istituzioni, a cui chiediamo ancora oggi un sostegno economico, perché questi impegni che abbiamo intrapreso sono poderosi e pluriennali. Il Fondo nuove competenze è stato molto utile in tal senso, renderlo strutturale sarebbe corretto e opportuno».

È soddisfatto, in generale, dell’interlocuzione istituzionale?
«In generale sono soddisfatto del livello di attenzione ricevuto in questi anni da tutte le forze politiche. Registro però con rammarico che l’attenzione è più alta quando ci sono evidenti crisi in atto che si aprono sui territori. Avremmo bisogno invece di un’attenzione costante, del resto diamo lavoro a una comunità di circa 180mila persone quindi abbiamo delle ricadute importanti sulla società. Siamo fiduciosi che nella prossima legislatura si possa fare un percorso che porti all’approvazione della legge di riordino del sistema».