Economia / Lavoro

Come fare crescere l’azienda nel post-Covid. Parlano i manager

27
Dicembre 2021
Di Alessandro Caruso

Giovani, smart working, donne, tecnologia. Ma soprattutto mentalità, secondo Mario Mantovani, presidente di Manageritalia e della Cida, il sindacato dei dirigenti d’azienda, la chiave per la crescita aziendale sta nel saper mettere in dubbio “quello che ha sempre funzionato così”. Senza questa audacia si rischia di vanificare i vantaggi delle detrazioni fiscali introdotte dalla legge di bilancio per le imprese e i futuri benefici del PNRR. La fase post Covid apre una nuova logica del fare impresa. Dopo la tenuta nel periodo più difficile, adesso ai manager è affidata una sfida strategica, quella di saper accompagnare il cambiamento e declinarlo nel mondo del lavoro per tradurlo in un driver di crescita: «Ci aspetta un salto quantico», spiega Mantovani. Ma le idee non mancano.

La nuova Legge di bilancio ha introdotto degli importanti sgravi fiscali per le imprese. Siete soddisfatti, o si poteva fare di più? Quanto incide la pressione fiscale sulle scelte del management italiano?
«Il miliardo sull’Irap e i 7 sull’Irpef permettono di aumentare la retribuzione netta dei lavoratori, un segnale importante per gli attori principali del nostro sistema economico. Difficile fare di più nelle condizioni di debito pubblico ed evasione fiscale attuali; il vero problema è far crescere una base imponibile di contribuenti troppo ristretta. La priorità non è ridurre il costo del lavoro, ma la crescita del lavoro qualificato e la competitività delle imprese».

Mario Mantovani, presidente di Manageritalia e della Cida

Il Covid ha accelerato una trasformazione del mondo del lavoro. Qual è la sfida dei manager per assecondare questo cambiamento?
«Il Covid ha reso evidente a tutti il salto quantico che serve fare in azienda e più in generale nel mondo del lavoro per cogliere appieno i vantaggi della tecnologia e di un’organizzazione del lavoro davvero agile, capace di mettere l’innovazione tecnologica al servizio del benessere delle persone e della competitività delle aziende. Un passo in avanti che non può essere colto senza una vera e moderna gestione e presenza manageriale nelle imprese e più in generale nel sistema economico. I manager sono stati molto rapidi a prendere provvedimenti d’emergenza nelle aziende, consentendo di non interrompere filiere fondamentali, ora in tanti sono dedicati a veri cambiamenti organizzativi, basati anche sullo smart working, ma soprattutto orientati a rendere migliori servizi ai clienti. Ma nelle imprese meno strutturate ciò non accade: sono destinate a perdere competitività».

A proposito di smart working, una necessità per un periodo di difficoltà o un’opportunità da regolamentare e sfruttare per il lavoro del futuro? E in tal caso, che idee avete?
«Sicuramente un’opportunità da cogliere nel vero senso della parola: non è lavorare da casa, ma lavorare senza limiti di luogo e orario per la migliore sinergia tra le esigenze delle persone e delle aziende. Non possiamo certo lavorare tutti e sempre da casa, anche perché vedersi di persona è necessario per consolidare e vivere la cultura aziendale e favorire la collaborazione tra le persone e tra i team. Serve un sistema ibrido che preveda sia la presenza in azienda che il lavoro a distanza, adattato alle esigenze dei clienti. Le idee, corroborate anche da varie indagini sui manager, convergono su questo modello e quindi su un quadro normativo che garantisca flessibilità e tutela dei diritti delle persone. Il recente accordo tra ministero del lavoro e sindacati va in questa direzione, rendendo più flessibili i rigidi paletti della attuale legge, ma c’è ancora strada da fare a livello legislativo e culturale per costruire un rapporto maturo e di vera collaborazione e partecipazione tra aziende e lavoratori. E qui il sindacato e i manager hanno tanto da fare».

Il ricambio generazionale è un tema a voi caro. Di cosa c’è bisogno per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e soprattutto per velocizzare il loro ingresso nell’ambito manageriale?
«Occorre migliorare notevolmente la sintonia tra scuola e mondo del lavoro: oggi il dialogo è molto limitato e la distanza culturale è notevole. Non si tratta di identificare solo le materie e le professioni del futuro, ma di insegnare ai giovani a studiare e apprendere per tutta la vita, finalizzando ciò che s’impara per ottenere un risultato. Ma serve anche un sistema economico che aumenti il numero di aziende che competono in business ad alto valore aggiunto, e non tanto o solo sul costo, che siano strutturate e/o capaci di collaborare nelle catene del valore e quindi utilizzino, sviluppino e valorizzino le competenze e le possano pagare adeguatamente. In un sistema e in aziende di questo tipo l’ingresso e lo sviluppo dei giovani anche verso ruoli manageriali viene naturale e indispensabile».

La svolta digitale sta prendendo piede, quali sono i vostri auspici in ottica Pnrr? Quali secondo voi le priorità dell’agenda digitale nazionale? 
«Gestire bene i fondi che vuol dire spenderli in progetti validi e capaci di migliorare la capacità della nostra economia e di tanti suoi settori, di ragionare e agire in termini di sistema e collaborazione. Le priorità sono quelle di digitalizzare davvero la PA e il sistema aziende, ma per farlo serve cambiare obsoleti modelli organizzativi e culturali che guardano ancora troppo all’economia fordista e non ragionano mettendo al centro i cittadini e le aziende». 

A livello di management, quali sono le competenze di cui avvertite maggiore bisogno?
«Dando per scontate le competenze trasversali e quelle specialistiche, servono manager che abbiano visione, capacità di rischiare, innovare, mettere in dubbio “quello che ha sempre funzionato così” e soprattutto capaci di sviluppare e gestire relazioni mettendo al centro persone, valori e idee. Servono manager che sappiano dare alle persone gli strumenti e il clima giusto per giocare appieno il loro ruolo e realizzarsi. Fare bene il manager oggi vuol dire mixare al meglio il senso del lavoro, lo scopo e la capacità di competere dell’azienda».

A livello manageriale, quanto incide il gender gap? Cosa state facendo per ridurlo? 
«Da sempre Manageritalia opera, anche con un Gruppo Donne diffuso sul territorio e partecipato anche da uomini, a favore della piena inclusione delle donne nel mondo del lavoro. A questo proposito proprio un’organizzazione del lavoro moderna e incentrata sul merito è il miglior modo per superare questo atavico gap, che esiste purtroppo non solo sul lavoro ma anche nella società. Abbiamo da sempre fatto tanto promuovendo ad esempio l’idea che la maternità sia un normale evento della vita, che non deve avere impatto negativo sulla carriera: l’iniziativa Un Fiocco in Azienda crea un percorso ad hoc che già tante aziende, purtroppo quasi solo grandi ed evolute, stanno utilizzando. Abbiamo promosso, anche qui con progetti concreti, merito, smartworking e worklife balance. Da ultimo la legge sul Gender pay gap alla quale i nostri esperti e il Gruppo Donne di Manageritalia Lombardia hanno dato un contributo deciso in fase di redazione e di collegamento tra le diverse proposte di legge, fino a favorire la convergenza sul testo finale, approvato con ampio consenso di tutte le forze politiche».

Infine la burocrazia, più volte avete fatto presente quanto il suo peso incida sulla crescita…
«Incide molto senza dubbio, ma spesso le cause non sono del tutto comprese. Certamente non abbiamo investito in organizzazione, sistemi digitali, formazione nelle pubbliche amministrazioni, ma i maggiori danni sono provocati da una cultura del controllo – non necessariamente finalizzato – dal terrore della discrezionalità del manager pubblico – con l’illusione che servano norme sempre più dettagliate – e dall’ipertrofia normativa di un Parlamento che usa spesso le leggi come meri strumenti di comunicazione politica. Ma siamo a una svolta davvero epocale: le nostre PA sono talmente indebolite e ridotte che i cambiamenti si possono realizzare senza grandi costi. In termini di licenziamenti, come sarebbe invece accaduto 20 anni fa. Ma non possiamo perdere l’occasione del PNRR: se assumessimo migliaia di giovani senza semplificare norme, modificare organizzazione e sistemi informativi ci ritroveremmo allo stesso punto di prima in pochi anni».