Precarietà, stipendio basso, scarse possibilità di carriera, mancanza di offerta qualificata di lavoro. Sono queste le ragioni del fenomeno (ormai strutturale) dei cervelli in fuga dall'Italia tornato a far discutere grazie al Ministro dell'Economia, Giovanni Tria. Un fenomeno che costa al nostro Paese quasi un punto di Pil all'anno (oltre 14 miliardi di euro) e che dovrebbe essere tra i primi punti di qualsiasi programma di governo responsabile.
L'emorragia di cervelli italiani provoca un doppio effetto negativo: diminuisce il capitale umano del nostro Paese e arricchisce i nostri competitor.
Sgombriamo il campo, però: la fuga di cervelli non è un fenomeno che riguarda solo il nostro Sud. Negli ultimi 5 anni (dice l'Istat) se ne sono andate 244.000 persone e la tendenza è costante. A partire sono soprattutto persone che abitano città ricche come Bolzano e regioni con bassa disoccupazione (dalla Lombardia in 21980, dal Veneto in 11132, dalla Sicilia 10649 e dalla Puglia 8816).
Dove vanno? Molti in Germania (20007 trasferiti), Regno Unito (18517) e Francia (12870).
Il governo Lega-M5S sta provando a suturare l'emorragia con incentivi fiscali che dovrebbero favorire i rientri dall'estero di queste figure professionali. Nel decreto crescita è stato inserito uno sconto Irpef che consente alle aziende italiane che puntano su italiani all'estero intenzionati a tornare di risparmiare dal 64 al 93%, a patto che i candidati individuati siano iscritti all'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero che conta 5,3 milioni di iscritti.
Nel dettaglio il decreto crescita prevede l'estensione del bonus a chi avvia un'impresa o non ha titoli di studio particolari, la possibile estensione da 5 a 10 anni del bonus, un ulteriore sconto del 10% per chi si trasferisce al Sud e una riduzione dell'imponibile tassato dal 50 al 30%.
Opportunità concrete che avvicinano la tassazione italiana ai livelli dei Paesi che ospitano i nostri connazionali. Basterà a convincerli a rientrare?
Paolo Bozzacchi
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