Innovazione
Tlc, il calo dei ricavi e il Pnrr impongono la questione degli incentivi pubblici
Di Giampiero Cinelli
Il mercato globale sta vivendo cambiamenti e riallineamenti che dopo la pandemia paiono accelerare. L’incertezza si avverte in modo particolare nel mondo delle telecomunicazioni (Tlc), i cui ricavi nell’ambito europeo sono in calo già da un po’. L’Italia è il Paese che ha più sofferto questa dinamica, con i ricavi che negli ultimi 11 anni sono scesi di 14 miliardi di euro, pari al 33% del valore iniziale sul totale del mercato. La Francia ha perso il 15%, la Germania il 7%, il Regno Unito l’8%. Anche i numeri definitivi del 2021 hanno il segno meno e per il 2022 le previsioni non sono migliori, complice l’inflazione e gli investimenti in sviluppo non ancora remunerati. Ma mentre i ricavi scendono in tutta Europa, i volumi di traffico crescono a ritmo sostenuto. Negli ultimi due anni il traffico da dati mobili ha registrato un +117%, il fisso +75%. Negli Stati Uniti non si soffrono gli stessi squilibri, forse perché il settore è meno concorrenziale, con 3 operatori principali, e ovviamente le aziende europee cominciano a temere davvero la presenza in alcuni servizi dei colossi big tech d’oltreoceano.
Ecco perché negli ultimi giorni è salito in evidenza il tema degli incentivi, che soprattutto nel nostro Paese farebbero respirare molto gli operatori. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha aperto alla possibilità di un taglio dell’iva per il settore Tlc dal 22% al 10%. I contatti sono andati avanti ma, a dire il vero, ancora non si può dare nulla per ufficiale e secondo alcune indiscrezioni apparse sulla stampa, al Ministero è circolata un po’ di sfiducia. Al massimo, gli aiuti ci saranno ma in estate, dopo aver pensato prima a contrastare il caro-bollette.
Ma proprio sugli incentivi continua a battere l’Ad di Tim Pietro Labriola, il quale ha incentrato l’ultimo tavolo avuto col governo la scorsa settimana su un sostegno fondamentale, proprio nella fase in cui l’Italia è concentrata a portare a termine gli impegni del Pnrr comprendenti in buona parte la transizione digitale. E, non meno importante, visto l’attuale quadro dello sviluppo di una nuova rete (legata agli investimenti del 5G e della Fibra) che il governo vorrebbe fosse nazionale – ancora prima che unica –, sostanzialmente a controllo pubblico ma con la probabile partecipazione di due azionisti stranieri, i fondi Macquarie (in pole) e Kkr, uno australiano l’altro americano. Nel quadro, inoltre, non si può non considerare il riassetto che sta operando Tim, decisa entro il 2024 a configurarsi in due unità legali. Da una parte la Compagnia di Rete (NetCo), essenzialmente per la rete fissa, le attività wholesale domestiche e quelle internazionali di Sparkle, dall’altra la Compagnia di Servizi (ServCo), per la rete mobile, Noovle, Olivetti, Telsy, il business consumer e Tim Brasil. Anche questo un processo che lo Stato dovrebbe riflettere se favorire.
Se i sostegni finanziari andranno in porto, gli effetti sul conto economico saranno importanti. Si stima per le Tlc complessivamente un Ebitda (i guadagni tolte le tasse e gli interessi) di circa 1,4 miliardi. E solo per il mercato delle utenze residenziali, al netto di quelle business. L’auspicio è quindi che il governo riesca a trovare la quadra, in modo da consentire agli operatori di proseguire il piano di investimenti necessari per completare gli obiettivi di digitalizzazione previsti dal Pnrr. L’esito della negoziazione dipenderà anche dalle previsioni del Pil 2023, su cui non si escludono ritocchi positivi.