Innovazione

Anche l’intelligenza artificiale deve fare i conti con la sostenibilità: i consumi s’impennano intorno ai data center

09
Agosto 2024
Di Jacopo Bernardini

Non c’è solo ChatGPT. Negli USA, già dai mesi scorsi, Google ha introdotto l’IA nei risultati di ricerca, con panoramiche – Overview, da cui il nome al tool – che, tramite Intelligenza Artificiale, sintetizzano le informazioni web.

Per ora, ha fatto notizia perché ha consigliato a un utente di usare la colla per cucinare una pizza, ma presto potrebbero emergere altre criticità. Non solo di Google, ma di tutta l’IA “generativa”. Secondo diversi studi, ogni volta che Google genera una risposta con IA Overviews consuma circa tre wattora, quantità d’energia da cinque a dieci volte superiore a quella che occorre per una ricerca “tradizionale” sul motore di ricerca.

Il consumo di energia dell’Intelligenza Artificiale è un problema di cui sono ben consapevoli gli addetti ai lavori. Già a gennaio, al World Economic Forum di Davos, l’amministratore delegato di OpenAI – l’azienda di ChatGPT – Sam Altman ha affermato che «è necessaria una svolta» per abbattere il consumo di energia e di acqua legato all’IA. Secondo la stima di un gruppo di ricerca dell’Università di Washington, ChatGPT necessita di circa 1 gigawattora (GWh) al giorno, l’equivalente del consumo di 33.000 famiglie statunitensi medie.

E stimare quanta energia potrà consumare il settore dell’IA nei prossimi anni è un’impresa. Alcuni studi ipotizzano che nel 2027 il settore potrebbe avere un fabbisogno energetico compreso tra 85 e 134 terawattora (TWh) all’anno. Un dato paragonabile al consumo annuo di Paesi come l’Olanda (108 TWh), la Svezia (125 TWh) e l’Argentina (134 TWh). Per avere un’idea di grandezza, l’Italia si attesta attorno ai 300 TWh annui.

Le IA generative, oltretutto, non consumano solo quando vengono utilizzate dagli utenti. Alla base della loro tecnologia ci sono infatti modelli linguistici di grandi dimensioni (detti anche LLM) che per apprendere hanno bisogno di grandi quantità di documenti di vario tipo (testi, immagini, video). Anche questa fase di addestramento è molto dispendiosa: secondo il sito The Verge, per “allenare” GPT-3 (il modello linguistico di OpenAI precedente all’ultimo rilasciato, GPT-4) sono stati consumati poco meno di 1300 megawattora di energia elettrica, all’incirca quanta ne consumano annualmente 130 case statunitensi.

Anche la produzione di immagini e – soprattutto – video consuma molta energia. In media, risulta che la generazione di una singola immagine da parte dell’IA consuma l’energia sufficiente a caricare uno smartphone.

Le reti elettriche di alcuni paesi, che devono gestire un notevole aumento della domanda da parte delle aziende tecnologiche, hanno già iniziato a risentirne, con il conseguente rischio di aumento dei prezzi e blackout. È il caso di alcuni Stati USA dove si concentrano i data center, come il Virginia, o quello di Paesi europei come la Svezia, dove la domanda di energia elettrica per data center è destinata a raddoppiare da qui alla fine di questo decennio, per poi raddoppiare ancora entro il 2040; nel Regno Unito ci si aspetta un aumento del 500% entro il 2030, mentre negli Stati Uniti il settore è destinato ad arrivare all’8% del consumo totale, sempre entro il 2030 (era il 3% nel 2022).

Le contromisure? Google ha in programma di alimentare completamente i suoi data center con energia proveniente da fonti rinnovabili entro il 2030, ma lo sviluppo di servizi basati sull’AI rischia di rendere difficile rispettare certi obiettivi.

Il settore è inoltre sempre più caratterizzato da aziende piccole e meno conosciute – molto più spregiudicate dei big costantemente sotto la lente d’ingrandimento – che spesso ancora utilizzano energia proveniente da combustibili fossili.

Inoltre, consapevoli del problema, ogni volta che un data center entra in funzione le aziende tecnologiche dichiarano di acquistare energia eolica, solare o geotermica in modo da compensare le sue emissioni. Come ha spiegato il Washington Post, però, «le aziende stanno operando sulla stessa rete elettrica di tutti gli altri», e questo costringe le imprese che erogano servizi energetici a comprare energia da combustibili fossili per soddisfare la domanda collettiva.

Non esiste, come spesso accade, una formula magica per risolvere il problema. Sarà fondamentale, dal punto di vista tecnico, sviluppare algoritmi più efficienti e hardware a consumo più basso, e prioritario rimarrà l’uso di energie (davvero) rinnovabili. Sarà utile anche un (eventuale) intervento legislativo, che ragioni criticamente sul problema ponendo, se necessario, limiti e obiettivi per il consumo di elettricità e acqua.

Perché la corsa allo sviluppo della tecnologia, in un momento in cui il mondo sta tornando multipolare, non si può fermare. Al contempo, il Doomsday Clock, l’orologio metaforico dell’apocalisse, che misura il pericolo di un’ipotetica fine del mondo per l’umanità, continua ticchettare. Anche – soprattutto – a causa del sovrasfruttamento delle risorse e dei cambiamenti climatici correlati.

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