Innovazione

Safer Internet Day, le norme non bastano, serve più competenza digitale

08
Febbraio 2022
Di Massimo Gentile

Consapevolezza, educazione e comunicazione, questi i pilastri per contrastare in modo organico e concreto le varie forme di cyberbullismo. Oggi ricorre il Safer Internet Day, dedicato ad accendere i riflettori sulle insidie del web, derivanti da un uso distorto. Tutte pratiche che hanno dato vita negli ultimi anni a nuove fattispecie di reato, dal revenge porn al sexthing.

Il legislatore è stato attento ad adeguare le normative per disciplinare questi illeciti e introdurre una norma a tutela delle vittime di questi soprusi, ma per arginare il problema la soluzione giuridica non è sufficiente. Anche perché gli ultimi dati Kaspersky ci dicono che più di un bambino tra i 5 e i 10 anni ha ricevuto messaggi da sconosciuti e proposte di giochi o sfide pericolose online e il 40% dei bambini italiani fornirebbe informazioni private ad amici virtuali. Da quando è scoppiata la pandemia, poi, c’è stato tra i giovani un boom di dipendenza da device tecnologici: il tempo trascorso dagli under 18 davanti a questi strumenti è aumentato del 67%, un dato emerso da uno studio dell’Istituto Piepoli in collaborazione col Moige.

Ma il problema del cyberbullismo non può essere affrontato puntando il dito contro la tecnologia tout court, demonizzando il digitale e intervenendo solo sui vincoli. La ricerca digitale deve potersi sentire libera di evolvere per continuare nella sua mission di stimolare e semplificare la vita quotidiana delle persone. L’errore è insito nell’utilizzo distorto che si fa della tecnologia. «Non dobbiamo scaricare tutto sulla tecnologia – ha detto ieri Gastone Nencini, Country manager di Trend Micro, leader globale sulla cybersecurity, intervenendo al The Watcher Talk “Quando la tecnologia aiuta la sicurezza in rete” – noi genitori dobbiamo fare anche un esame di coscienza perché molto spesso non ascoltiamo i problemi dei nostri figli. Dietro la digitalizzazione – ha aggiunto – c’è un mercato nascosto che sfrutta quello che facciamo per fare soldi. Le istituzioni siano vicine anche ai problemi che sottoponiamo noi imprese della cybersicurezza. Se collaboriamo possiamo fare molta strada insieme».

Anche perché spesso proprio dalle tecnologie possono arrivare soluzioni utili al contrasto del cyberbullismo, come dimostra l’esperienza della start up TrueScreen, una giovane azienda che in poco tempo ha costruito un modello di business vincente partendo da un’intuizione: la certificazione dei file multimediali, tramite app, attribuendo loro il massimo valore probatorio: «I messaggi scompaiono sempre più velocemente, in questo modo diventa difficile appellarsi alle istituzioni. La nostra tecnologia – ha spiegato Fabio Ugolini, fondatore e Ceo di TrueScreen – è fondamentale per dare valore legale agli screenshot. La nostra mission è quella di rappresentare un primo “pronto soccorso” che interviene per provare il sopruso quando viene commesso. È importante – ha aggiunto – intensificare la consapevolezza sulle evoluzioni digitali. L’implementazione della tecnologia è un bene per la comunità, ma dobbiamo sempre avere a portata di mano gli strumenti adatti per evolverci insieme alle tecnologie».

Tuttavia sotto il profilo legislativo sono stati fatti molti passi avanti. Negli ultimi anni la normativa si è sviluppata con il riconoscimento di nuovi reati e l’introduzione di un adeguato sistema sanzionatorio. Anche se non sempre i giovani hanno consapevolezza dei rischi cui vanno incontro o, dall’altro lato, delle tutele previste dalla legge. C’è una tendenziale disinformazione in questo campo. Ed è anche questo il motivo per cui si sta intervenendo anche sull’aspetto educazionale e formativo, attraverso il coinvolgimento delle scuole. Innanzitutto per promuovere l’insegnamento dell’educazione civica nell’uso delle tecnologie; ma anche per rafforzare il processo formativo delle competenze digitali, strategiche per un utilizzo consapevole e anche competitivo delle tecnologie digitali, sin dalla scuola primaria.

Il fenomeno è complesso e richiede un approccio sinergico da parte di tutta la comunità educante, dalla famiglia alla scuola: «L’intervento normativo è molto importante – ha concluso Ivano Zoppi, segretario generale della Fondazione Carolina, una delle principali associazioni in Italia che si occupano di sicurezza sul web – ma ancora di più lo è il coinvolgimento della comunità educante: i genitori devono tornare a essere responsabili dell’educazione dei figli. I ragazzi da soli non ce la fanno e non è giusto scaricare tutto sulla scuola, serve un’azione sinergica diffusa sul territorio, che coinvolga tutti i soggetti. Alle istituzioni lanciamo un appello: ascoltateci, noi abbiamo dati ed elementi utili a contrastare in modo coordinato il problema».

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