Innovazione
Intelligenza artificiale, la utilizza meno del 10% delle imprese
Di Ilaria Donatio
Tra 10 anni l’Intelligenza Artificiale potrebbe svolgere il lavoro di 3,8 milioni di italiani: non solo un grande passaggio di innovazione e tecnologia, dunque, ma una vera scommessa sul futuro di tutto il sistema imprenditoriale, alle prese con una tecnologia generativa dagli sviluppi solo in parte oggi conosciuti. Lo ha dichiarato, in apertura del convegno “Il lavoro al tempo dell’Intelligenza Artificiale”, organizzato da Sole 24 Ore e Unioncamere, Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio.
Formazione e accompagnamento per le Pmi
Una scommessa che – ragiona Sangalli – ha chance di essere vinta a patto che si offrano alle «pmi strumenti per utilizzare al meglio la straordinaria opportunità che arriva dall’IA: e per fare questo grande salto di qualità occorre fornire alle imprese reti infrastrutturali». L’Ia, se ben utilizzata, dice Sangalli, «può migliorare la competitività delle aziende, ma esse devono essere pronte a sfruttare questa novità rivoluzionaria». Per esserlo, è necessario interrogarsi sulle «responsabilità che abbiamo nei confronti delle aziende, soprattutto su quelle più piccole che hanno bisogno di venir accompagnate in questa veloce rivoluzione». Perché micro e piccole e medie imprese hanno bisogno di accompagnamento e formazione per fare fino in fondo questo percorso.
Appena il 10% delle imprese utilizza l’IA
Sul digitale le imprese italiane hanno fatto passi da gigante, ma meno del 10% utilizza l’Intelligenza artificiale mentre il 15% intende investire in questa tecnologia nei prossimi tre anni. «Le imprese hanno capito che l’Intelligenza artificiale è uno strumento imprescindibile per la competitività», sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, «ma le aziende che si sono già attrezzate sono ancora poche».
Le Camere di commercio si sono attivate, spiega Prete, per aiutare le imprese con attività di informazione e formazione attraverso i Pid – Punti impresa digitale – ma resta però un problema: quello delle competenze dei lavoratori. Richieste lo scorso anno a più di 6 assunti su 10, sono considerate difficili da trovare nel 45,6% dei casi.
Gli impatti diversi dell’Ia sul lavoro
«Oggi 1 impresa italiana su 2 non trova il personale di cui ha bisogno e la carenza cresce negli anni», spiega il presidente di Unioncamere, ma occorre come capire che impatto avrà l’Intelligenza Artificiale «e chi la subirà di più e chi di meno perché non lo sappiamo sul lungo periodo», dal momento che gli studi sono molto recenti. Certamente, non avrà impatto su lavori manuali come colf, commessi o baristi, mentre ne avrà uno importante sul «lavoro impiegatizio».
C’è da tenere presente che il lavoro è visto ancora come 50 anni fa «in termini di contratto», ma con le nuove tecnologie «verranno meno alcune categorie come l’orario di lavoro»: le 40 ore settimanali erano un elemento necessario, ma «con i nuovi strumenti come l’AI è palese che tutto verrà messo in discussione». Mentre, infatti, prima avevamo la certezza di dominare la tecnologia, ora questa certezza manca ma ci serve perché possiamo «essere ancora noi al suo governo» e non esserne governati, ha concluso Prete durante il panel “Un nuovo mondo targato intelligenza artificiale: le strategie delle istituzioni e del Sistema Camerale”.
Europa: Ai Act e pacchetto innovazione da 5 miliardi
L’Europa appare come il regolatore del mondo hi-tech e i giganti dell’innovazione tecnologica, spesso, faticano a comprenderlo. «Il gioco tra regolato e regolatore non è semplice, ma l’Europa ha un mercato troppo grande» per mettere a qualcuno di ignorare le regole, ha dichiarato Roberto Viola, direttore generale del Communications Networks, Content and Technology (CNECT) della Commissione Europea, parlando dell’AI Act, il primo regolamento mondiale sull’intelligenza artificiale.
«Adesso si apre un nuovo capitolo, con l’Europa che ha due asset fondamentali»: il primo è la prima legge sull’AI che verrà approvata a breve, e il secondo riguarda la nostra rete di supercalcolatori più grande al mondo. «Questi due pilastri sono il punto di partenza che farà sì che l’AI Act diventi realtà in tempi brevi, cui si aggiunge un pacchetto innovazione da 5 miliardi circa per implementare l’intelligenza artificiale a livello europeo», ha concluso Roberto Viola.
Pubblica Amministrazione ancora alla finestra
Sull’Intelligenza artificiale, ancora oggi, la Pubblica Amministrazione è alla finestra. Lo ha ha detto Alessandro Fermi, assessore a Università, ricerca e innovazione della Regione Lombardia, nel corso del convegno di Unioncamere.
Gli scenari sono due: o si ha un atteggiamento passivo oppure si prova a vedere se la Pubblica Amministrazione riesce a dare un contributo: «Noi abbiamo scelto la seconda risposta e come Regione Lombardia abbiamo creato una cabina di regia ancora aperta, con due scopi»: valutare l’impatto della tecnologia che entrerà nelle aziende più velocemente e nella Pa più lentamente. E poi provare a capire come Pa quale contributo possiamo dare al tessuto economico: «Nel peggiore dei casi avremo speso qualche soldo e un po’ di tempo», ha concluso Fermi.
Calderone: enorme lavoro di formazione e riqualificazione sull’IA
«Come tutte le situazioni di cambiamento ci troviamo di fronte a rischi da affrontare e opportunità da cogliere», ha dichiarato la ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, nel messaggio inviato all’evento.
La titolare del dicastero sul Lavoro, ha argomentato dicendo che mentre ritiene ridotto il rischio di sostituzione di manodopera, «restano e vanno affrontati quei rischi che il massiccio uso delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale determinano sull’organizzazione del lavoro».
La gestione equilibrata degli strumenti digitali è oggi «una nuova frontiera delle nostre relazioni industriali e sindacali»: gestire l’impatto dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro è «determinante», ha scritto la ministra nel messaggio, e riguarda anche «le regole e non solo gli strumenti di cui ci vogliamo dotare. Il nostro sistema recepisce ancora oggi solo in parte queste sfide, le competenze digitali nel prossimo quinquennio saranno le più ricercate».
Si tratta non solo di fare il grande sforzo di «formare gli attuali lavoratori», ma anche di «riqualificare i nostri disoccupati, e al tempo stesso significa formare i giovani verso competenze che per la maggior parte dei casi risultano ancora di difficile reperibilità», ha concluso Calderone.