Innovazione
Intelligenza artificiale, la strategia italiana tutela le persone? Limiti e punti di forza
Di Axel Donzelli
L’Italia si è finalmente dotata di una strategia nazionale per l’Intelligenza artificiale, in linea con il Piano coordinato europeo. Infatti, attraverso un passaggio in Consiglio dei ministri, è stato adottato il Programma Strategico per l’intelligenza artificiale (IA) 2022-2024 che individua 6 obiettivi principali, 11 settori prioritari, 3 aree di intervento e 24 politiche da implementare.
Sappiamo però che l’intelligenza artificiale è un tema che porta sempre con sé quel timore proprio delle grandi rivoluzioni, in cui si prospettano futuri dal destino ambivalente o quantomeno più immaginifici di quanto la realtà ci condurrà ad accogliere. E possiamo prevedere che questa tecnologia avrà un impatto straordinario su una miriade di settori di natura economica e sociale.
Nick Bostrom, ad esempio, uno dei più noti studiosi del settore, attribuisce all’IA anche la capacità di generare quello che lui stesso definisce come “rischio-esistenziale”. Senza arrivare a scenari tanto apocalittici, basterebbe riflettere sul titolo provocatorio “Le persone non servono. Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale”, libro dell’imprenditore informatico Jerry Kaplan il quale ci dà immediatamente un’idea dell’impatto potenziale di questa tecnologia in un settore cruciale come quello del lavoro e di quanto sia necessario pensare a soluzioni di sistema per gestire le implicazioni di questa tecnologia sul tessuto sociale. Pertanto, sappiamo che nel progresso tecnologico dell’universo IA non si potrà rimanere disarmati di vele e di governo. Infatti, la guida imposta allo sviluppo di questo settore, quanto la responsabilità ad essa conseguente, risulteranno assolutamente decisive per il futuro economico e sociale della nostra società.
In tale prospettiva, ci chiediamo: il Programma del Governo basterà a colmare i gap del nostro paese garantendo al contempo sviluppo e sicurezza?
La strategia italiana sull’IA, nel dettaglio
Entrando nel dettaglio di quella che vuole essere una strategia generale per il prossimo triennio, volta essenzialmente a concentrare gli investimenti, si intuisce come l’urgenza di tale Programma derivi dall’essere molto indietro anche rispetto a Paesi come Francia e Germania. Nel Programma viene evidenziato come l’Italia registri un divario significativo in quasi tutti gli aspetti valutati, in particolare se si considerano fattori tra cui: spesa industriale in ricerca e sviluppo, brevetti e applicazioni dell’intelligenza artificiale. L’unico fattore in cui i nostri risultati sono superiori a quelli dei nostri vicini è la produttività media dei ricercatori IA, dato quantificato a partire dal rapporto tra numero di ricercatori e pubblicazioni prodotte (4,57 per l’Italia, 2,00 per la Germania, 1,22 in Francia e 2,23 per UK). Il dato in questione può di certo farci constatare, ancora una volta, quanto la capacità italiana di formare talenti sia unica ma, in questo genere di considerazioni, emerge anche l’amarezza per un sistema infrastrutturale non sempre all’avanguardia, a testimonianza del quale, è posto nel Programma il bassissimo numero di domande di brevetti presentate.
In tal senso, di certo il Programma strategico mira a colmare una serie di gap infrastrutturali e a contribuire al lavoro svolto dai ricercatori cercando, non solo di ampliare il numero di professionisti in questo settore, ad oggi presenti con numeri decisamente esigui rispetto alla media europea, ma anche di rendere l’Italia un luogo più attrattivo per studiosi stranieri e concentrare le risorse, ad oggi troppo frammentate, in centri specializzati.
Intelligenza artificiale, il nodo delle competenze
Rimane quindi un problema fondamentale che pregiudica l’attrattività del nostro Paese, ovvero quello della reperibilità delle competenze tecnico specialistiche, mirate allo sviluppo concreto di queste tecnologie. La difficoltà, infatti, di individuare risorse tecniche adeguate inficia anche il volume degli investimenti privati nel settore poiché porta le realtà imprenditoriali più all’avanguardia a stanziare risorse in Paesi con un ecosistema IA più strutturato.
Al fine di colmare tale lacuna, il Programma strategico prevede percorsi formativi mirati in materie STEM e incentivi alla carriera in queste discipline, un aumento dei dottorati di ricerca e un’intera area di intervento dedicata a “Talenti e competenze”.
Come riportato nel Programma strategico, il World Economic Forum 2020 stima che, entro il 2025, 85 milioni di posti di lavoro potrebbero sparire proprio per il ruolo che l’IA andrà a rivestire nel mercato del lavoro ma che, al contempo, potrebbero emergere 97 milioni di nuove figure professionali. Ciò significa che al fine di governare il cambiamento sociale, il legame tra formazione professionalizzante e mercato del lavoro dovrà partire da questi dati per definire i futuri obiettivi.
Il rischio di crisi sociale: i settori in cui investire
In questo senso, il libro di Kaplan dimostra che sarà davvero necessario attuare e realizzare per davvero le politiche prefigurate nel Programma strategico al fine di evitare che questa transizione si consumi come una profonda crisi sociale, pagata soprattutto dagli individui con minori competenze tecniche e difficilmente rimpiegabili in altri settori.
Il Programma strategico è, quindi, un buon punto di partenza in cui sono individuati i settori chiave di investimento ma sarà importante guardare anche alle modalità attraverso cui rendere operativi questi investimenti. Come attuare i piani è oggi il punto fondamentale. Nella discussione su quello che sarà, è necessario istituire dei canali di consultazioni pubbliche di approfondimento per dialogare con le principali imprese operanti nel settore anche per comprendere le autentiche esigenze di queste aziende ed evitare che questo programma, ancora troppo indefinito in alcuni aspetti, orienti gli investimenti in settori non protagonisti del futuro dell’innovazione. Di certo, un ambito di grande interesse è quello della manifattura digitale, il quale richiederà una notevole implementazione negli anni futuri. Ad oggi, il settore della manifattura è oggetto del maggior numero di progetti pienamente operativi in Italia nell’ambito dell’IA (22% del totale dei progetti iniziati), ed è condivisibilmente posto dal Piano tra i settori prioritari di investimento.
L’importanza di un quadro normativo adeguato e bilanciato
Nel tentativo di colmare il ritardo strutturale del nostro ecosistema produttivo in ambito IA, credo non si possa fare a meno di evidenziare l’importanza di raggiungere un quadro normativo adeguato e bilanciato. La proposta di regolamento europeo sull’intelligenza artificiale deve segnare un momento di riflessione sugli elementi fondanti dell’ecosistema ricerca e sviluppo, e che gli permetteranno di prosperare in futuro. In un sistema integrato come quello europeo, non si può pensare alla propria strategia nazionale e alla negoziazione del regolamento come processi che corrono su due binari separati. Cosa si intende per AI provider, e ancor di più, come definire ciò che è intelligenza artificiale, non sono solo questioni teoriche, ma definizioni che impattano direttamente il futuro delle tecnologie e delle applicazioni. Perdere l’opportunità di determinare chiaramente gli spazi di azione in seno ai forum europei può avere l’effetto di limitare sensibilmente la dinamicità del mercato, anche dopo aver disegnato la migliore Strategia nazionale possibile.
Inoltre, la regolamentazione a livello europeo dovrà impegnarsi a definire adeguatamente gli standard e i beni da tutelare. L’individuazione di tali standard non è orientata a porre limiti alla ricerca, su cui è opportuno evitare di intervenire a priori per non contraddire l’essenza della stessa indagine scientifica, ma di individuare adeguatamente quei valori, quei beni individuali e collettivi che possono essere interessati da uno sviluppo incontrollato. I più puntigliosi obietteranno che anche indicare un bene da tutelare ai ricercatori potrebbe essere interpretato come un limite. Certo, ma un limite di questo tipo significa anche contribuire alla direzione del pensiero, porre un argine che dona sostanza al vuoto delle possibilità illimitate e ordinare le priorità in seno alla nostra società. Quest’ultimo è un esercizio a cui sarebbe opportuno lasciare più spesso spazio, proprio per non porre obblighi privi di fondamento che possono generare limitazioni allo sviluppo, all’attrazione degli investimenti e penalizzare aziende senza al contempo fornire adeguate tutele ai cittadini.
Conclusioni
Infine, va fatto un piccolo riferimento a ciò che rimane essenziale sulla carta sebbene sia declinato costantemente in termini piuttosto indefiniti: i principi. I principi guida esposti nel Programma strategico sono cinque:
- l’IA italiana è un’IA europea,
- l’Italia sarà un polo globale di ricerca e innovazione dell’IA,
- l’intelligenza artificiale italiana sarà antropocentrica, affidabile e sostenibile,
- le aziende italiane diventeranno leader nella ricerca, nello sviluppo e nell’innovazione di IA
- le pubbliche amministrazioni italiane governeranno l’IA e governeranno con l’IA.
In primo luogo, sono probabilmente più assimilabili a dichiarazioni di intenti, promesse o aspettative anziché principi. In secondo luogo, si è sicuramente rassicurati nel leggere di un’IA umano-centrica ma oltre i titoli e i comunicati serve individuare soluzioni che rispettino i caratteri essenziali dell’essere umano e dei diritti inalienabili riconosciuti alla sua natura. Sarebbe auspicabile definire quali tecnologie, quali modalità di apprendimento del sistema e quali azioni andrebbero a ledere la persona al fine di tutelarla autenticamente.
In conclusione, il Programma Strategico per l’intelligenza artificiale (IA) 2022-2024 rappresenta certamente un passo in avanti nella prospettiva di implementare le politiche per l’IA e per cercare di recuperare ciò che al nostro Paese manca in termini di competitività anche in ottica europea. Di certo, data la complessità del settore, non può considerarsi esaustivo proprio per la molteplicità di fattori e ambiti interessati dal macrosettore dell’IA. Il Programma Strategico per l’intelligenza artificiale rimane comunque un documento utile per riflettere sul capitale umano e per cominciare a discutere le strategie per rinforzare le competenze. Un primo passo a partire dal quale ci si attende molto.