Innovazione

Industria 5.0, tredici miliardi di incentivi. Ora bisogna saperli usare

15
Maggio 2024
Di Giampiero Cinelli

Gli incentivi del governo, sottoforma soprattutto di credito d’imposta, per la digitalizzazione delle imprese e delle piccole-medie imprese sono stati rinnovati e coprono gli investimenti progettati dalle aziende fino al 31 dicembre 2025. Ma mancano i decreti attuativi, insomma le regole dettagliate su cui muoversi e il mondo produttivo teme di essere rallentato dalla burocrazia e di non avere gli effetti sperati. Nel frattempo la parte istituzionale e associativa più vicina al settore resta in ascolto e spinge affinché le operazioni vadano per il meglio: in tutto ci sono 13 miliardi sul piatto, relativi al Piano 5.0 che si integra a Industria 4.0. Gli Incentivi di Industria 5.0 saranno destinati anche all’acquisto di software gestionali, non solo dei macchinari e sicuramente si penserà ad alcuni software basati sull’intelligenza artificiale.

Eppure in Italia la penetrazione dei sistemi di tecnologia avanzata nella produzione è ancora lenta. Secondo i dati Unioncamere, meno del 10% delle imprese italiane utilizza l’IA. Stando all’Osservatorio del Politecnico di Milano, il 39% delle Pmi è «timido», il 16% «scettico» sulla digitalizzazione. Mentre il 61% degli italiani non si sente preparato di fronte all’intelligenza artificiale, come ha rilevato un sondaggio della Fondazione Pensiero Solido in collaborazione con YouTrend.

Non esattamente come negli Stati Uniti, dove un report di Microsoft ha evidenziato che il 50% dei lavoratori dipendenti utilizza l’intelligenza artificiale senza dirlo ai capi. Ciò, secondo Luca Zorloni di Wired.it, intervenuto a “Largo Chigi”, un format di The Watcher Post, genera comunque uno scollamento nella struttura sociale e può creare disagi, secondo lui infatti il passaggio all’intelligenza artificiale va gestito in modo armonico, con leadership ma mettendo tutti nelle condizioni giuste, continuando a formare.

A Largo Chigi ha parlato Pierfrancesco Angeleri, presidente di Assosoftware (Confindustria), spiegando che, come indicano i dati dell’Associazione, una digitalizzazione ben riuscita può incrementare il Pil dai 2 ai 5 punti nei prossimi 5 anni, trainando l’occupazione. «Noi abbiamo perso il treno treno quando le grandi aziende americane non hanno delocalizzato in Italia. Oggi ci sono 5 milioni di sviluppatori in India. Va detto però che il nostro Paese aveva tutti gli ingredienti per attrarre gli investimenti, ovviamente partendo dal know-how. Conosco bene quelle realtà e posso assicurare che il gap nel costo del lavoro rispetto all’India è solo del 20%, quindi il problema vero è che non siamo stati attrattivi. Come Assosoftware dobbiamo diffondere la consapevolezza degli strumenti digitali e della loro utilità, in modo da favorire gli investimenti. Nel campo digitale non servono centinaia di milioni ed enormi fabbriche, va già bene investire sul fattore umano e sulla remunerazione delle figure utili. Poi per quanto riguarda i capitali da smuovere, ci sono i player adatti, come anche Cdp», ha detto Angeleri.

Chi ha parlato non ha dubitato che l’intelligenza artificiale sarà sempre più presente. Non solo l’IA generativa ma anche quella deduttiva, che ad esempio supporta nelle valutazioni legali. In Europa si va nella strada dell’open source, ma Luca Zorloni ha segnalato che un’importante e vasta azienda di intelligenza artificiale francese, la Mistral AI, dopo la firma di un accordo con Microsoft probabilmente passerà al closed source. Si aprono quindi spazi per le imprese tecnologiche italiane che devono spingere sull’open source tenendo conto della competizione con un’altra realtà influente, questa tedesca, qual è Aleph Alpha. Tale lavoro continuerà a migliorare i modelli linguistici dell’IA.

La deputata del Pd Silvia Roggiani, a Largo Chigi, si è augurata che Industria 5.0 vada in porto, esprimendo preoccupazione per i tempi stretti, esortando in generale alla formazione per un’ampia fascia della popolazione sugli strumenti digitali, partendo non solo dalle università ma dai gradi di istruzione più bassa e coinvolgendo anche gli istituti tecnici. Per Roggiani è importante che gli acquisti dei macchinari da parte delle imprese siano anche fatti nei prodotti in grado di comunicare tra loro i dati. Se necessario si potrebbero prorogare i tempi del piano e andrebbero legati a un piano industriale.

«Su Industria 5.0 ci sono 6,3 miliardi che si aggiungono agli altri 6.4 di industria 4.0, quindi nel complesso 13 miliardi. Serve a risolvere il gap delle scorse legislature, permettendo all’industria di acquistare beni materiali e immateriali. Ricordo che con lo strumento del credito d’imposta abbiamo affrontato la crisi del Covid ed è ancora utile soprattutto a Pmi, modificandosi da ammortamento a credito d’imposta. Così penetra di più nel tessuto produttivo. Con Industria 5.0, quindi la digitalizzazione, l’umano resta al centro e si apre il tema della sostenibilità, perché così si riesce a razionalizzare la spesa energetica e a rispondere meglio alle crisi. Dobbiamo ambire a creare un hub europeo del software, abbiamo territori vocati al connubio tra tradizione e tecnologia, immaginate il software che supporta i processi nella moda, nella manifattura… Il software non pone confini e il sud può avere più terreno fertile per gli aiuti governativi legati alla tecnologia», ha detto a Largo Chigi il deputato di Fratelli D’Italia Fabio Pietrella, che è membro della Commissione Attività Produttive.

L’Istat ci dice che, al 2023, solo il 21% delle Pmi ha un alto grado digitalizzazione. «Deve preoccupare – ha osservato a Largo Chigi Andrea Barabotti, deputato della Lega –, perché il sistema produttivo necessità di armonia, con uno sviluppo organico tutto il sistema funziona meglio. Ma metto in evidenza che ci sono due transizioni da compiere, quella digitale e quella ecologica. Per quella ecologica c’è chi dice che dobbiamo produrre meno e diversamente. Altri invece pensano che ci si arriva attraverso la tecnologia e producendo meglio. E proprio qui si inserisce Industria 5.0. Come Lega abbiamo presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro Urso sollecitando la considerazione, nel piano Industria 5.0, anche dei beni immateriali dei software Made in Italy, il nostro lavoro è volto a ottimizzare gli effetti positivi della transizione digitale ricordando che dietro ogni software c’è un umano. Si parla molto delle possibili ricadute occupazionali, il processo va guidato e sarà positivo se puntiamo ad essere protagonisti e non soltanto consumatori in questa nuova dinamica, ponendoci all’apice della catena produttiva».